Col fiato sospeso e senza parole. Pensiamo: oggi è il massacro. Forse domani sarà peggio. Perché nessuno sa se questa guerra (ma è una guerra o una ininterrotta macelleria?) si espanderà. L’Iran ha minacciato: è stata superata la linea rossa. C’è una soglia oltre cui interverrà militarmente? E come si comporteranno nel lungo conflitto – perché Netanyahu ha detto che sarà lungo – Hezbollah e la Siria? E le petromonarchie del Golfo? E l’Egitto, la Tunisia, la Libia (quello che ne rimane), l’Algeria, il Marocco, cioè tutto il nord Africa? E in particolare la Turchia? Per non parlare, ovviamente, degli Stati Uniti.

Proviamo a raccogliere le idee, per quanto sia difficile mentre si stanno massacrando migliaia di persone, colpevoli di essere palestinesi. È una retrodatazione dell’idea stessa di giustizia, un colpo al cuore alla civiltà umana, perché è il ritorno rabbiosamente dichiarato alla pratica arcaica della vendetta, con qualche ispirazione religiosa. Analoga ispirazione, per altro, dell’eccidio di più di mille ragazzi, in quanto ebrei, da parte di Hamas. Scompare la responsabilità personale e trionfa un concetto ancestrale, la colpa di essere popolo.

E così, mentre si combatte casa per casa, sotterraneo per sotterraneo, il Segretario generale delle Nazioni Unite viene platealmente sfiduciato dalle autorità israeliane in ragione di una sua dichiarazione equilibrata, in cui alla condanna inappellabile del terrore di Hamas ha fatto seguito la denuncia delle responsabilità israeliane; né più né meno della fotografia delle decine di risoluzioni ONU mai rispettate dal Paese della stella di Davide. Doppio risultato: da un lato Israele ha negato alle Nazioni Unite il ruolo di autorità mondiale che presiede alla composizione pacifica delle controversie internazionali; dall’altro Israele si è trovata isolata all’atto delle presentazioni della conseguente Risoluzione. E l’Unione Europea? Francia, Spagna, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Portogallo hanno votato a favore. Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia hanno votato contro. Germania, Olanda, Svezia, Polonia, Bulgaria, Romania, Slovacchia e – ahimè! – Italia si sono astenute. In altre parole: l’Unione Europea si è dissolta. In sintesi: 120 Paesi a favore su 193, con 45 astenuti e 14 contrari.

Ma il fuoco dei massacri non divora solo le vite. Divora anche le coscienze. C’è il rischio di un’ondata di antisemitismo. Non nascondiamocelo dietro il paravento del sacrosanto diritto dei palestinesi ad avere uno Stato. E non confondiamo la giusta, doverosissima critica alla politica israeliana con l’antisemitismo, come spesso si fa per buttare tutto in caciara. I pogrom sono nati nell’800. Contro gli ebrei a Odessa nel 1821, ancora in Ucraina e nelle terre viciniori nel 1881, e ancora quarant’anni dopo in Bielorussia e in Galizia (oggi Ucraina). Per non parlare dei mostruosi eccidi negli anni 40 da parte dei nazisti e dei collaborazionisti, in particolare ucraini, nei confronti degli ebrei. Insomma, è una roba europea. Dell’est e dell’ovest.

E c’è il rischio dell’islamofobia, ove si confonde l’Islam con Hamas, e il tutto con i palestinesi e magari con gli arabi. E si vaneggia su di un’Europa fortezza, da difendere contro i nuovi barbari. Non è stato forse Josep Borrell, capo della diplomazia europea, a definire il vecchio continente come “un giardino” abitato da “persone privilegiate”, ma circondato dalla “giungla”? Dalla tragedia alla farsa: Salvini promuove per il 4 novembre a Milano una manifestazione nazionale “a difesa dell’Occidente”.

Intanto, mentre continua il massacro a Gaza, dal 7 ottobre secondo l’organizzazione israeliana per i diritti Yesh Din sono avvenuti centinaia di episodi di violenza da parte dei coloni contro i palestinesi in almeno 62 comunità palestinesi in Cisgiordania.

C’è smarrimento, senso d’impotenza davanti alla catastrofe in corso piombata su Gaza. Che fare se non chiedere in ogni modo legittimo, in ogni momento e con ogni mezzo il cessate il fuoco? Questo stiamo facendo, facciamo e faremo nelle piazze d’Italia. Assieme, non cessiamo di denunciare le gravissime responsabilità di Hamas; era ovvio che dopo quel disgustoso massacro Israele avrebbe attaccato Gaza; ed era prevedibile che Netanyau avrebbe spianato la Striscia, seppellendo sotto le macerie i suoi abitanti. Infatti, novello cuore di tenebra, lo sta facendo, evocando il colonnello Kurtz e il suo mondo dell’orrore di Apocalypse Now. E così, rimestando gli odi e seminando morte, l’uomo di Tel Aviv danneggia profondamente Israele e la sua immagine nel mondo. Mai forse come in questa drammatica circostanza Israele si è trovato isolato, quando mai come dopo la strage perpetrata da Hamas avrebbe potuto contare su una nuova solidarietà o quanto meno su di una doverosa comprensione.

Azzardo una previsione, spero sbagliata: o si arriva a uno scambio di prigionieri – gli ostaggi in mano ad Hamas contro i detenuti palestinesi, a cominciare da Marwan Barghuthi, unico leader in grado presumibilmente di rappresentare la grande maggioranza del popolo – o con tutta probabilità gli ostaggi saranno uccisi da Hamas o sotto i bombardamenti dagli stessi militari israeliani.

Con i palestinesi, quindi, perché abbiano uno Stato, una terra in cui vivere in pace e sicurezza. È la oramai antica proposta di due popoli in due Stati, mai realizzata perché mai Israele si è davvero ritirata dai territori occupati. Quel ritiro, dunque, è la premessa per una pace duratura. E vuol dire – sia chiaro – ritiro dalla Cisgiordania della grande maggioranza degli 800mila coloni che si sono insediati per esplicita volontà e complicità del governo Netanyahu. Questo ha come contraltare la certezza che Israele possa vivere in pace e sicurezza. In parole povere: proprio sapendo che si parte da una smisurata asimmetria di forze fra lo Stato di Israele e il non-Stato di Palestina, vanno garantite le due comunità da un impegno internazionale inderogabile che eviti – come è avvenuto – la riduzione dello Stato di Palestina ad una amara terra sotto il controllo militare di Israele e luogo di continui insediamenti e violente incursioni dei coloni. Ci vuole una conferenza internazionale di pace che si concluda con un impegno internazionale. Di questo impegno, su posizioni terze, senza furbizie da tifoserie, potrebbe far parte l’Unione Europea. Se solo rinascesse dalle ceneri della sua vacua e faziosa insipienza.

Ma, attenzione: se, per quanto aspra e difficile, questa è la via, Hamas deve essere isolata e condannata senza tentennamenti, senza alcun retropensiero. La politica del terrore impedisce la costruzione di uno Stato palestinese, è nemica di qualsiasi prospettiva di pace, fa il gioco dei fondamentalisti israeliani. E puzza di guerra santa.

Più di mille ammazzati il 7 ottobre, e ad oggi più di 8.000 ammazzati a Gaza: il primo conflitto mondiale è scoppiato per molto meno, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi (Imagoeconomica)

Calvino ha scritto: “l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui”. Si chiama Gaza, credo. È il luogo del dolore. E brucia, con tutti dentro: militanti di Hamas e persone che odiano Hamas, donne e bambini, anziani e ragazzi, personale delle Nazioni Unite e cittadini di altri Paesi, sani e ammalati. A tutti costoro, circa due milioni di portatori di umanità, è negata una speranza di liberazione, di vita normale o, più semplicemente, di vita.

Gaza brucia. Apocalypse Now. Occorre fermare il colonnello Kurtz. Occorre spegnere quel fuoco maledetto.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi