Gianfranco Pagliarulo25 aprile 2016: la memoria non è il passato, ma ciò che del passato rimane nel presente delle donne e degli uomini. Nel loro cervello, nelle loro parole, nelle loro emozioni. E anche nelle loro azioni.

Quando è rimpianto e nostalgia, si ferma a contemplare ciò che avvenne, svuotata di energia, incapace di progetto. In Portogallo usano spesso una parola che indica un sentimento simile, struggente, che esclude la speranza: saudade. A Napoli utilizzano un termine dall’analogo senso, appocundria, come profonda malinconia dello spirito. Ciò che caratterizza questo stato d’animo, a ben vedere, è una oscura percezione di solitudine.

Quando la memoria esplora il ricordo del passato per affrontare la vita, cioè ciò che avviene e ciò che avverrà, allora si illumina e disegna il vigore con cui si opera nel presente, per riempirlo del senso di sé, per informare il mondo che ci circonda – piccolo o grande che sia – della propria possibilità, o aspettativa, o speranza. Quando diviene uno strumento collettivo intellettuale e pratico per interpretare la realtà e per cambiare, possiamo parlare di memoria attiva.

Questo è il 25 Aprile. Giornata di religione civile, si dice. E a ragione. Sembra che le radici della parola “religione” indichino l’avere riguardo, l’aver cura. E, assieme, l’unire. Dunque una religione civile unisce una comunità nell’aver cura d’un valore e d’un simbolo laico. Quel valore è l’atto del liberarsi. Il 25 Aprile è la data simbolo della liberazione dall’occupazione nazista e dal regime fascista. Ed dalla guerra.

L’atto del liberarsi è avvenuto 71 anni fa. Eppure rimane nella memoria d’un intero Paese. E giustamente è una festa, cioè una solennità per onorare la Repubblica con gioia. Assieme, è un’occasione per riflettere su cosa, di una Repubblica conquistata a così caro prezzo, non si è ancora realizzato.

Certo, nella lunga strada segnata dal tempo che ci separa da quel 25 aprile, l’Italia è incomparabilmente cambiata in meglio. Quella guerra, quella fame, quelle distruzioni sono davvero un ricordo del passato. Come un ricordo del passato è lo spietato e grottesco tallone di ferro della dittatura. L’arma che ha consentito la rinascita è stata – diciamolo senza alcuna retorica – la democrazia, cioè quell’insieme di regole di libertà, di socialità, di dignità e rispetto che hanno consentito a diverse culture, punti di vista, visioni del mondo, di concorrere al cambiamento del Paese.

Eppure sappiamo bene quanto lungo sia l’elenco dei ritardi e delle sorde resistenze che si frappongono fra le aspettative di chi liberò l’Italia liberando un popolo e la realtà che ci circonda oggi.

Basta uno sguardo sul presente: disoccupazione, razzismo, xenofobia, neofascismo, corruzione, crisi. Un gigantesco buco nero. Rimane da completare l’opera di rimozione di quegli “ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come prescrive la Costituzione. È ciò che occorre  fare, il programma del divenire.

Manifesto ANPI SPI Studenti 25 aprileIn concreto vuol dire lavoro ai giovani, salvaguardia della pensione per gli anziani, solidarietà verso i più sfortunati, contrasto verso qualsiasi discriminazione, piena partecipazione democratica. Che li si chiami cittadini, o lavoratori, o persone, il punto è rimettere al centro di un nuovo progetto di rinascita le donne e gli uomini della comunità che chiamiamo Italia, dentro la più grande comunità che chiamiamo Europa, nell’ancor più grande comunità che è il genere umano. Perché l’antifascismo, che ispira questo periodico e i suoi lettori, o è un umanismo o non è.

Per la memoria attiva, il 25 Aprile è sempre un progetto. A maggior ragione oggi. Quando leggiamo la mostruosa contabilità degli annegati nel Mediterraneo. Quando assistiamo alle stragi degli assassini nichilisti dell’Isis. Quando sentiamo il frastuono dei bombardamenti in territori vicini e vicinissimi. Quando vediamo ancora sventolare svastiche e vessilli fascisti in tanti Paesi d’Europa, compreso il nostro. Quando in città ad ogni angolo c’è qualcuno che chiede la carità. Quando il figlio o il nipote è disoccupato da anni o l’altro, laureato, serve il caffè al bar. Quando alle ragazze, ai ragazzi, viene negata di fatto una speranza di felicità. No, così non si può andare avanti.

Erano ragazze e ragazzi la grande parte dei partigiani e delle staffette. I ragazzi della Resistenza. Sono loro, molti dei quali scomparsi in combattimento o sotto la tortura, ad averci donato, dallo scrigno della loro vita, democrazia e libertà. Patria Indipendente è nata tanti anni fa come il periodico dei partigiani. Oggi, online, si rivolge a tutte le generazioni, ma guarda in particolare alle ultime. I ragazzi della crisi.

Nessuna nostalgia, ma una straordinaria energia per un progetto repubblicano di cambiamento per la democrazia, la libertà, l’eguaglianza. Questa energia, l’energia del 25 Aprile, si chiama antifascismo.