Eccoci. Quelli che hanno aperto il “caso neofascismo” qui ed ora, nel Paese ed in tante città.

Quelli che hanno denunciato l’esistenza di centinaia di pagine neofasciste e neonaziste su Facebook.

Quelli che domani – scrivo il 5 aprile – si vedranno alla Sala della Protomoteca, in Campidoglio, dove nacque l’ANPI, per parlare del “buon cammino” iniziato nel lontano 1944 e continuato per così tanti decenni arrivando all’oggi, quando, nella piena continuità, dai partigiani ai giovani, si continua a lottare per la Costituzione, per l’antifascismo, per la democrazia.

Quelli che fra tre settimane riempiranno tutte le piazze, a cominciare da Milano, in occasione della festa dell’Italia libera e liberata, il 25 aprile.

Quelli che studiano la storia nostra, del Bel Paese, e nell’approfondimento critico scoprono una Resistenza sempre più ampia, non solo militare, ma anche civile, sociale, partecipata, di cervello e di cuore, non solo rinchiusa fra gli italiani del nord, ma allargata a migliaia di meridionali e a tante località del Mezzogiorno.

Quelli che hanno contribuito in modo determinante alla ricostruzione di tante sottaciute mostruosità nazifasciste in Italia, con “l’Atlante delle stragi”.

Quelli che non cessano d’indignarsi davanti agli insulti ed alle offese dei tanti Pansa ai ragazzi del 43/45, che combattettero per offrirci un altro Paese e un altro mondo, libero dalla Bestia Nera che aveva insanguinato interi continenti, e che per questo, in tanti, ci lasciarono la pelle: il sangue dei vincitori, da troppi oggi dimenticato.

Eccoci. Siamo noi, l’ANPI. Senza boria. Senza spocchia. Ma con molto orgoglio, consapevoli di svolgere una funzione di servizio repubblicano che si rinnova, mai cessando, nel succedersi delle generazioni e degli eventi – così imprevedibili – della politica. Nel tempo e nel mondo in cui viviamo, quando trovi la ragazza laureata in lingue che fa il caffè al bar, lo specialista informatico che porta la pizza a domicilio col motorino, il plurititolato che non trova lavoro perché è troppo bravo, e tanti altri paradossi che ci insegnano che non solo non è affatto finita la storia, come incautamente teorizzato oramai tanti anni fa dall’economista Francis Fukuyama, ma – tutt’al più – è tornata indietro, come si scopre registrando forme di lavoro schiavile, povertà dilaganti e tanti altri batteri che sembravano estinti.

Sembravano. Come, all’occhio del miope, sembra estinto il batterio che sconvolse il mondo, dalla dittatura fascista al Terzo Reich. Ma con tutta evidenza non lo è se ancora – certo, in forme diverse e diversificate – in tanti Paesi d’Europa, rinnovandosi, crea consensi ed adepti, fra lo sventolio di croci uncinate e simboli runici e dichiarazioni postume di fedeltà al duce. Insomma, la realtà spesso invisibile al lontano sguardo dai merli della torre d’avorio.

Da ciò l’opportunità che da quella torre, ancorché d’avorio, si scenda di gran carriera. Il che vuol dire, fuor di metafora, che il sistema politico attuale deve immergersi in un bagno d’umiltà, nell’acqua della vita quotidiana dei cittadini, cioè di quello che, con un termine molto complesso ma molto importante perché costituzionale, si chiama “popolo”. Così la politica potrà davvero riconquistare il prestigio che merita e rivitalizzare una democrazia che sembra ansimante ed un parlamento che appare in difficoltà. Trattasi di cosa urgente, perché – fino a prova contraria – l’alternativa al parlamento ed alla democrazia è tutto il potere ad uno solo.

Immergersi in questo bagno d’umiltà è nella natura dell’antifascismo, che dal popolo, dalla sua partecipazione consapevole e critica, trova linfa e ragione. Parafrasando Amleto che, rivolto ad Orazio, afferma: “ci son più cose in cielo e in terra, che non sogni la tua filosofia”, è ragionevole (e forse doveroso) affermare: ci sono più cose al supermercato, nella metropolitana, nella vita di un cantiere, nelle conversazioni fra ragazzi a scuola o al bar, che in tanti arzigogoli della cattiva politica.

Eccoci. Questa è l’ANPI. Una storia e una vita di dignità.