Sono ottant’anni della storia d’Italia quelli che l’Anpi compie il 6 giugno. E da quel lontano 1944 l’Anpi si è sempre mossa all’interno dell’elastico continuità-rinnovamento, per arrivare ai giorni nostri in piena salute: oltre 153mila iscritti su tutto il territorio nazionale. Certo, c’è stato un momento periodizzante quando, nel 2006, si decise di aprire le iscrizioni a tutti gli antifascisti che condividessero lo statuto e le finalità dell’associazione. Fu una scelta – come si dice oggi – esistenziale, perché riservare l’adesione all’Anpi ai soli partigiani, com’era in passato, ne avrebbe segnato in pochi anni la fine per la inesorabile legge del tempo.

Da quella data non solo è, com’era ovvio, aumentato il numero di iscritti con un fondamentale aumento percentuale di donne, ma si è spalancata la porta a tutte le generazioni successive a quella dei ragazzi del ’43-’45, incorporando così esperienze, sensibilità, culture che da un lato assumevano i valori della Resistenza e dei suoi protagonisti, dall’altro la attualizzavano nei diversi contesti sociali e politici dei diversi tempi.

Questa progressiva evoluzione dell’associazione si è simbolicamente rappresentata, negli ultimi anni, prima con la presidenza di Carla Nespolo, classe 1943, donna e ovviamente non partigiana, poi con la presidenza mia, classe 1949.

Carla Nespolo, la presidente nazionale Anpi scomparsa nell’ottobre 2020 (Imagoeconomica)

Fra continuità e rinnovamento
Se l’apertura agli antifascisti ha rappresentato il momento fondamentale della recente storia dell’Anpi, l’intreccio fra memoria e impegno civile è sempre stato una caratteristica dell’associazione, né poteva essere altrimenti, dato che fin dalle sue origini lo statuto prevedeva (e prevede) fra i compiti dell’associazione il “concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”. L’intera storia dell’Italia repubblicana si può leggere all’interno dello scontro fra le forze che hanno operato per la piena attuazione della Costituzione e quelle, al contrario, che hanno lavorato per disattenderla o per svuotarla più o meno parzialmente. Basti pensare che la Corte Costituzionale è nata nel 1956 e le Regioni, enti di rilievo costituzionale, nel 1970.

Le stesse riforme del premierato e dell’autonomia differenziata, entrambe volute dal governo Meloni, si muovono su di una traccia più o meno esplicitamente esterna al perimetro costituzionale, disegnando una sorta di Frankenstein istituzionale, dove da un lato si cancellano la centralità del Parlamento e i poteri fondamentali del Presidente della Repubblica consegnando a un solo uomo (o donna) una sorta di comando, e dall’altro si nega di fatto l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, umiliando per di più la funzione dei Comuni, sottoposti all’accentramento regionale e differenziando i diritti a secondo delle Regioni.

Ma della Costituzione rimangono fra le altre ancora sostanzialmente inattuate, o parzialmente attuate, le disposizioni riguardanti il lavoro; basti pensare all’articolo 36 ove si recita al primo comma “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”: nulla di più lontano dalla realtà attuale, caratterizzata dal dilagare del lavoro precario e del lavoro povero.

Non solo: più volte negli ultimi decenni la partecipazione italiana a imprese militari all’estero ha messo in fibrillazione il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, ma in particolare da più di due anni la continua escalation nell’invio di armi in Ucraina – Paese, com’è noto, che non fa parte della Nato – entra, per diversi costituzionalisti, in palese contrasto con il “ripudio della guerra” sancito dai Costituenti.

Si comincia alle 20.30 con la BandaJorona per continuare con la “Milonga Partigiana” di Massimiliano Taggi “musicalizador” e infine il grande Enrico Capuano con la sua “Tammuriata Rock”! Sarà presente il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo

L’impegno civile dell’Anpi non è affatto una novità: tutte le battaglie per la pace, dagli anni 50 in poi, hanno visto sempre l’associazione in prima fila; in prima fila era l’Anpi durante il grande movimento popolare contro il governo Tambroni, che costò lacrime e sangue, perché il governo sparava sulla folla, da Licata a Reggio Emilia, da Palermo a Catania; l’Anpi fu una delle anime della mobilitazione permanente prima contro lo stragismo fascista, poi contro il terrorismo; ricordo infine l’impegno dell’associazione in occasione dei referendum del 2006 e in particolare del 2016 contro riforme costituzionali sbagliate e pericolose. Ecco la continuità di un’associazione che non si è mai limitata alla pur necessaria e doverosa deposizione di corone, ma è stata protagonista della vita civile e sociale del Paese.

Il terribile mondo attuale
Ma oggi l’Anpi si misura con un mondo completamente diverso sia da quello dei mesi della Resistenza, sia da quello degli ultimi decenni del 900: la popolazione è passata da circa 2 miliardi e mezzo nel 1950 agli attuali 8 miliardi, aprendo inediti problemi di approvvigionamento alimentare, idrico, abitativo, in un pianeta soffocato dai fenomeni di riscaldamento globale e da una diffusione pressoché istantanea delle pandemie a causa della globalizzazione dei trasporti delle persone e delle merci; l’esperienza sovietica si è spenta con un’implosione che ha manifestato limiti ed errori di un intero progetto politico e sociale; la successiva idea di “fine della storia” basata su una ipotetica insostituibilità della formazione economico-sociale capitalistica e della democrazia liberale come punto di arrivo universale e definitivo di governo del mondo si è dimostrata fallimentare: stiamo infatti assistendo alla allarmante decadenza delle democrazie occidentali, sempre più svuotate della loro intrinseca natura di potere popolare, al fiorire di regimi autoritari e autocratici e alla nascita di una nuova stagione di nazionalismi, cesarismi, razzismi, neofascismi, neonazismi.

Davanti alla ricorrenti crisi finanziarie, economiche e sociali abbiamo assistito all’esplosione delle diseguaglianze; la digitalizzazione e, più recentemente, l’intelligenza artificiale, hanno sconvolto la tradizionale organizzazione del lavoro col conseguente declino della fabbrica tradizionale e la nascita di una infinita quantità di modalità di lavoro isolate, parcellizzate, a bassissimo costo, segnando l’avvio di una nuovissima e drammatica questione sociale.

L’unipolarismo americano è messo in discussione dalla grande maggioranza dei Paesi e dei popoli del pianeta che richiedono più eque ragioni di scambio e la fine del dominio del dollaro come moneta dominante nelle transazioni internazionali; il potere delle multinazionali si è moltiplicato rendendo spesso sfuggente e inarrivabile il luogo del comando padronale, mentre il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni bibliche, anche in conseguenza dei conflitti degli ultimi trent’anni; il tutto, nella prospettiva sempre più ravvicinata di scenari di guerra generalizzati e catastrofici.

Fare i conti con la realtà
Con questo mondo, con questa Europa e con questa Italia, per la prima volta dal dopoguerra governata da forze di estrema destra, tutti devono oggi fare i conti. Anche l’Anpi, col suo bagaglio di esperienza e di passione. L’Anpi ha ereditato dall’esperienza resistenziale un complesso insieme di valori: democrazia, libertà, eguaglianza, solidarietà, lavoro, pace. Questi valori hanno informato poi la Costituzione della Repubblica, diventando principi inseparabili. Che vuol dire inseparabili? Vuol dire – per esempio – che non può esserci piena giustizia sociale senza libertà, ma assieme che non può esserci piena libertà senza giustizia sociale. In questa Italia così cambiata rispetto al primo dopoguerra, ai venti mesi della Resistenza, agli anni della Costituzione, quei valori/principi così interconnessi e inseparabili possono ancora informare un’idea di società moderna? La risposta non è solo “possono”, ma è “devono”. E così si disegnano oggi i nostri compiti, in primo luogo la promozione di una resistenza moderna davanti al vento di destra che spira in Europa e nel mondo e che trova fra i suoi capifila proprio l’attuale governo italiano.

Ma questa resistenza sarebbe velleitaria se fosse separata dal perseguimento di una visione, di un orizzonte di cambiamento che, in piena coerenza, anzi, in attuazione dei principi costituzionali, restituisca alla parola democrazia pienezza e vigore, contrastando la sua riduzione al solo rito del voto quinquennale, arricchendola col ritorno della partecipazione popolare, della difesa delle proprietà pubbliche e dei beni comuni, nel disegno di una società in cui finalmente libertà ed eguaglianza siano davvero due facce della stessa medaglia.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi (Imagoeconomica)

A poche ore dalle elezioni europee (e da quelle in circa 3.700 Comuni oltre che per le regionali piemontesi), nel momento del suo ottantesimo compleanno, l’Anpi rinnova il suo impegno civile invitando tutte e tutti ad andare a votare e a votare antifascista, perché è qui, nell’antifascismo, il fondamento storico dell’idea stessa di unità europea, e, a maggior ragione, della nascita e della costruzione della Repubblica italiana. Ma non basta il voto. Ci aspetta una stagione lunga di lotte per la libertà, la democrazia, l’eguaglianza e la pace. Insomma, il distillato, nella stagione in cui viviamo, delle ragioni della lotta partigiana. Anche oggi è tempo di resistenza. Sta a noi trasformarlo in tempo di liberazione.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi

 

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La cerimonia in Campidoglio

L’Anpi è nata 80 anni fa in Campidoglio, a Roma, e il 6 giugno ha celebrato il compleanno proprio in Campidoglio, nell’Aula Giulio Cesare, dove si è tenuta una cerimonia solenne. All’incontro, coordinato da Marina Pierlorenzi, presidente Anpi provinciale Roma, sono intervenuti il partigiano Aldo Tortorella, Claudia Cammarata, presidente Anpi Caltanissetta, lo storico Francesco Filippi e il presidente nazionale Anpi Gianfranco Pagliarulo. A portare i saluti del sindaco, l’assessore alla Cultura del Comune di Roma, lo storico Miguel Gotor. Riportiamo qui i quattro interventi. In sala anche i partigiani.

Il saluto dellassessore alla Cultura, Miguel Gotor

Tutto quello che abbiamo come Paese libero lo dobbiamo alla Resistenza. Si è trattato, come sappiamo di un movimento ad altissimo tasso di mortalità, che non ha soltanto liberato l’Italia, ma per la qualità degli uomini e delle donne che lo hanno composto, meglio di altri Paesi, ha creato le condizioni per una ricostruzione civile dopo 20 anni di dittatura. Queste sono state le caratteristiche tipiche del nostro Paese di una Resistenza che è stata caratterizzata da due elementi centrali: la pluralità delle esperienze e delle culture e la difesa della dignità della Patria che era stata aggredita. Lo hanno fatto provenendo appunto da esperienze e con prospettive diverse, ma hanno avuto la capacità politica di trovare un minimo comun denominatore in grado di condurre la lotta fino alla vittoria. Si è trattato di una lotta nazionale che però era inserita dentro un movimento mondiale. Infuriava la Seconda Guerra mondiale, la caduta del fascismo all’interno di un momento storico in cui la Germania nazista veniva chiusa a tenaglia da due fronti, 80 anni fa, proprio in questi giorni. La pluralità è stata una ricchezza fondamentale per innervare la democrazia nascente, un incontro di valori che hanno portato alla sintesi scolpita nella Carta Costituzionale. L’elemento della pluralità della Resistenza è stato subito la ricchezza di una democrazia allo stato nascente. Sul secondo aspetto è fondamentale specificare che non esiste un movimento armato che possa prevalere isolato. Per vincere fu fondamentale un consenso (anche silenzioso) nella società civile. Solidarietà spontanea delle donne, al lavoro delle staffette, grazie agli scambi e informazioni. L’Anpi 80 anni fa ha raccolto le storie e le testimonianze. Bella notizia è l’associazione più viva e vitale, con oltre 150 mila iscritti, nobile lavoro di trasferire di generazione in generazione. Collaboriamo da anni, tante cose fatte anche insieme quest’anno. Grazie per questi 80 anni e auguri per il futuro.

L’intervento di Aldo Tortorella

Roma, Campidoglio, Aldo Tortorella interviene per l’80° dell’Anpi

Innanzitutto debbo chiedervi scusa perché, contrariamente a ciò che avrei desiderato, dovrò lasciarvi dopo questo mio breve saluto, che il nostro presidente, cui va il mio ringraziamento, ha voluto organizzare con la mia presenza, la prima dopo anni in cui, per malattie in famiglia , ho potuto comunicare solo attraverso il computer. Debbo l’onore di aprire questo incontro alla mia più che tarda età, di cui non ho alcun merito ma che fa di me uno dei primissimi testimoni e partecipi di questa nostra gloriosa associazione nata nel 1944 per decisione del CLN a Roma quando ancora noi stavamo in guerranel nord dell’Italia. I suoi 80 anni si sommano ai 18 che avrei compiuto quell’anno nel pieno della Resistenza cui partecipavo nel Fronte della Gioventù insieme ad altri adolescenti miei coetanei studenti e operai milanesi. Quattro di essi furono assassinati dai fascisti all’inizio del 1945 in una strage per rappresaglia. E molti furono i giovani che caddero nelle città e nelle montagne nella lotta contro i nazisti e di fascisti al loro servizio. A loro e a tutti i caduti della Resistenza e dell’antifascismo di ogni età e di ogni parte politica vorrei dedicare questo ricordo.

Si dice che noi abbiamo a cuore solo i nostri caduti. Non è vero. Noi abbiamo pietà anche per i giovani che persero la vita scagliati contro di noi o in aggressione contro popoli stranieri perché ingannati dai fascisti in nome della patria che i fascisti avevano prima violentato con la soppressione della libertà e poi tradito portandola alla catastrofe. Pietà per tutti ma diverso deve essere il giudizio. Si deve ricordare sempre che c’è chi ha sacrificato la vita per affermare la libertà e la democrazia e chi è caduto per confermare la tirannide.

I partigiani fecero la loro parte per fondare uno stato democratico. Anche chi si batte per una causa giusta può fare errori. Errori ne furono fatti e poi pagati a dismisura. Ma i singoli errori di partigiani non hanno rapporto con gli orrori di cui si macchiò il fascismo fino dalla sua nascita. Certo, furono squadristi fascisti a uccidere Matteotti, don Minzoni, i fratelli Rosselli, a provocare la morte di Amendola e centinaia di altri, ma erano assassini al servizio e coperti da Mussolini, che fece morire Gramsci per il carcere e mandò alla morte in 10 anni di guerre d’aggressione contro Paesi che non ci avevano fatto nulla centinaia di migliaia di soldati italiani e poi di civili uccisi dai bombardamenti. E coprì l’Italia di infamia partecipando al genocidio degli ebrei.

Il fascismo non è una opinione ma un crimine, come disse il partigiano presidente Pertini.

Questo ricordo avviene nel momento in cui nuovamente ma in modo più pericoloso di altri tempi sono minacciate quelle conquiste che sono costate tanti sacrifici, tante sofferenze e tanto sangue. Io ho definito “gloriosa” questa nostra associazione non per retorica e non solo perché essa ha voluto e vuole tenere viva la memoria di quel tempo lontano, ma perché essa ha saputo essere protagonista delle lotte per difendere la democrazia in tutti questi anni. Prima, quando ancora la associazione rappresentava l’insieme delle formazioni partigiane, era venuta la vittoriosa campagna per conquistare la Repubblica, la Costituente e la Costituzione. Poi quando fu rotta la unità dei governi che esprimevano i Comitati di Liberazione Nazionale che avevano guidato la Resistenza e nacquero anche altre associazioni partigiane, fu innanzitutto l’Anpi, senza mai rinunciare alla sua vocazione per l’unità antifascista, a farsi protagonista essenziale della difesa della Costituzione attaccata dall’esterno e dall’interno del potere governativo.

Fu l’Anpi a impegnarsi per prima nella lotta del luglio 1960 per abbattere, come avvenne, il primo governo di una maggioranza con i neofascisti del Msi raccogliendo e suscitando l’indignazione giovanile – furono detti i ragazzi delle magliette a strisce – per quel primo tentativo di riabilitazione dei fascismo, una lotta che ebbe i suoi caduti per l’ordine alle forze di polizia di sparare sui manifestanti. A Reggio Emilia si ripetette la strage di Modena di 10 anni prima. E tra i caduti unitamente ai più giovani ci furono ancora ex partigiani scampati ai rischi della Resistenza e alle persecuzioni giudiziarie. Perché c’era stato anche il tempo in cui un’amnistia pensata per la pacificazione si era trasformata in pesanti condanne per centinaia di partigiani da parte di una magistratura che per le stesse accuse assolveva i fascisti e condannava i partigiani. Ogni epurazione era stata cancellata e tutti i vecchi magistrati di regime erano tornati in funzione compresi quelli dei tribunali speciali creati per condannare antifascisti e perseguitare gli ebrei.

E fu l’Anpi a tenere la barra dritta e a battersi in prima linea in difesa della democrazia quando le trame eversive coltivavano propositi e tentativi di colpi di stato e quando venne la stagione dello stragismo nero da piazza Fontana e piazza della Loggia sino all’eccidio alla stazione di Bologna e del terrorismo detto rosso , dalle prime gambizzazioni sino all’assassinio di Aldo Moro, capolavoro della destra con mani dette rivoluzionarie, e di Guido Rossa, estremo confine del crimine fratricida.

Per 60 anni l’Anpi fu presieduta da un geniale comandante partigiano medaglia d’oro che dovrebbe essere ricordato come uno dei protagonisti non solo della vittoria della Resistenza e della democrazia ma della sua salvaguardia in un cammino asperrimo seminato di tragedie, un parlamentare comunista italiano che fu sostenitore della inscindibilità di socialismo e democrazia, e fu attivamente solidale di tutte le lotte per la pace e per le liberazioni anticoloniali di quel mezzo secolo del 900: parlo di Arrigo Boldrini, detto Bulow.

In mezzo secolo le generazioni cambiano. Ma non mutavano i valori per cui i partigiani si erano battuti. E l’Anpi nel nuovo secolo, anche per volere di Boldrini, decise di aprire le porte a tutte e a tutti gli antifascisti, a chiunque volesse battersi per la democrazia e la pace tra i popoli, per la difesa e l’affermazione della Costituzione che chiede alla Repubblica di superare “ gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto la libertà e la eguaglianza di tutti i cittadini”. È l’idea irrealizzata di una libertà solidale cioè diversa da quella che viene insegnata e praticata come mezzo per affermare se stessi sopraffacendo l’altro. E sono queste cause che chiedono oggi una nuova capacità di azione anche all’Anpi , divenuta un’associazione che conta più di 150 000 persone per merito di tutti gli attivisti e dei nostri dirigenti.

Noi siamo testimoni oggi del sovvertimento della natura a causa di un modello di sviluppo pensato come infinito in un mondo finito e allo stesso tempo viviamo nuovamente i tentativi di una parte rilevante dei ceti dominanti di rispondere con regimi autoritari anziché con maggiore giustizia sociale alla crisi della democrazia rappresentativa. E vediamo il ritorno della guerra tra le potenze prima in Libia e in Siria e poi in Europa con l’aggressione Nato alla Serbia per toglierle il Kossovo, poi con l’aggressione alla Ucraina della Russia divenuta modello di nazionalismo autoritario a capitalismo selvaggio. E ora quella che poteva somigliare a una guerra civile in cui stare dalla parte dell’aggredito può sfociare in una più vasta guerra europea, potenzialmente mondiale. Battersi contro il cieco fanatismo che preme per una guerra che dia un colpo definitivo alla Russia già sconfitta nella guerra fredda non vuol dire essere indulgenti con Putin. La solidarietà piena con i democratici russi che si battono contro la dittatura non solo non è in contraddizione ma è pienamente coerente con una lotta per la pace , unica via per la salvezza dell’Europa e del mondo intero.

E intanto si consuma in Palestina una strage orribile non si sa quante volte più grande dell’eccidio barbaro che ha generato una guerra impari. Nella Resistenza abbiamo combattuto l’antisemitismo dei nazisti autori di un mostruoso genocidio e non mutiamo parere. Siamo contro ogni forma di antisemitismo, e contro ogni razzismo. E dunque anche contro il razzismo che nega ai palestinesi lo stato deciso dall’Onu e nega l’esistenza stessa del popolo palestinese. Un popolo che essendo del tutto incolpevole fu chiamato pagare con la terra che abitava da secoli le persecuzioni cristiane contro gli ebrei e il genocidio nazista. E’ antisemitismo quello del governo di estrema destra israeliano che genera l’indignazione del mondo e non quello di chi lo critica.

Ma non è solo un riflesso di pericolose tendenze mondiali il fatto che in Italia si siano venute affermando nei luoghi del potere politico idee diverse o opposte a quelle che hanno ispirato la Costituzione figlia dell’antifascismo e della lotta di Resistenza. Qui vi è stato anche il disorientamento di quelle forze politiche laiche e cattoliche che avevano salvaguardato la Costituzione per mezzo secolo.

L’Anpi non è un partito. Ma come sempre è suo dovere pronunciarsi e battersi come e più di ogni altra associazione democratica sui pericoli che corre la democrazia costituzionale: e cosi fu, infatti, anche quando pochi anni fa uno stravolgimento costituzionale fu proposto da un governo detto di sinistra.

Con la elezione diretta del presidente dell’esecutivo arricchito di una maggioranza parlamentare automatica, ritorna il tentativo di un sistema di potere personale che esautora la funzione di arbitrato del presidente della Repubblica e annulla la funzione del Parlamento, già da tempo violentato da leggi elettorali incostituzionali che trasformano maggioranze relative di votanti sempre in diminuzione in maggioranze assolute, negando il pari valore di ogni voto delle cittadine e dei cittadini.

In più l’autonomia differenziata minaccia una vera divisione dell’Italia, riaprendo una spaccatura faticosamente e mai completamente sanata. Questi che si spacciano da patrioti non rispettano neanche il Risorgimento che unì l’Italia riproponendone solo gli errori. E mettono in pericolo le fondamenta della Costituzione e le sue radici che affondano nella cultura dell’antifascismo. Avanza anche dal potere governativo una contraffazione della storia volta a riabilitare il fascismo e a riproporre una mentalità subalterna di odio vero i diversi di colore o di sentimenti, verso gli immigrati senza i quali saremmo al disastro economico, verso gli intellettuali liberi e creatori, verso la cultura che ha salvato l’Italia. L’antifascismo non fu non è solo una negazione. Nega il fascismo per affermare i valori della democrazia, della libertà , della solidarietà, dei diritti sociali e civili di ciascuna e ciascuno. Nega il fascismo bellicista per affermare la pace e la fraternità tra i popoli.

Noi vecchi abbiamo fatto quello che abbiamo saputo. Ma evidentemente non è bastato, anche mettendo a parte gli errori di quelli che hanno ceduto alle mode dimenticando il passato e ritenendolo superato per sempre. Avrete molto da fare nella ricerca e nell’azione voi care amiche e amici voi che siete le nuove partigiane e nuovi partigiani della pace, della democrazia progressiva, della libertà solidale. Grazie.

Lettera allAnpi di Claudia Cammarata, presidente Anpi Caltanissetta

Cara Anpi, in questo giorno così importante, in cui sono stata invitata a celebrarti qui, nel luogo in cui ottant’anni fa sei nata, ho scelto di scriverti questa lettera. Una lettera per onorare il mio impegno insieme a te e l’impegno di tanti e tante giovani che ancora oggi proseguono il cammino della resistenza nelle istanze che li vedono protagonisti nel loro, nel nostro tempo. Ad unirci, nella tua casa dalle fondamenta forti e sicure, quell’alleanza di valori che spiega le sue ali nell’antifascismo e nella nostra Costituzione che da esso è nata. Ad unirci l’alleanza tra le generazioni, dobbiamo ammetterlo, non sempre facile ma certamente necessaria per consolidare il ponte tra passato e futuro: essere Anpi insieme significa attraversare quel ponte – che altro non è che il presente – con il confronto, l’ascolto e il nutrimento reciproco.

Essere Anpi insieme vuol dire creare nuovi e stimolanti spazi di dialogo e di partecipazione: in questa prospettiva il nostro assetto unitario, intergenerazionale e plurale rappresenta un punto di forza importante e necessario per ripercorrere la Storia, per trovare in essa la comprensione del presente e la proposta per definire la trama del progresso. Il nostro impegno insieme è iniziato dieci anni fa in quel territorio di estrema periferia – la provincia di Caltanissetta – che ancora oggi fatica a ritrovare nella sua Storia e nella sua Memoria un bene comune da vivere e da far rivivere. Tre anni fa costituisco la prima sezione cittadina di Caltanissetta dedicata al partigiano nisseno Gino Cortese, il commissario “Ilio”. In questi anni sono stati fatti moltissimi passi avanti. Abbiamo percorso strade importanti ed inesplorate verso la riaffermazione del valore sociale della Memoria con la costruzione faticosa ma entusiasmante di una comunità attorno ad essa: abbiamo incontrato tante studentesse e tanti studenti, abbiamo raccontato loro quanto significativa sia stata la partecipazione di uomini e donne meridionali nella lotta di Liberazione. Abbiamo provato a decostruire l’immaginario di un Meridione spettatore, immobile, poco incisivo nelle grandi questioni nazionali.

È la nostra grande sfida: essere speleologi della storia e delle storie che lo scorrere del tempo ha relegato – quando è andata bene – alla sola e sbiadita memoria familiare. Rafforzare l’intreccio di quel filo rosso che unisce la Resistenza ad altri grandi movimenti di massa siciliani: i fasci dei lavoratori, la lotta per la terra contro i potentati mafiosi del latifondo per la conquista della riforma agraria, le rivolte degli zolfatari, il movimento antimafia che ha visto tra i suoi protagonisti uomini come il sindacalista Placido Rizzotto e il magistrato Gaetano Costa, entrambi partigiani durante la lotta di Liberazione.

Antifascismo e antimafia sociale non possono rappresentare campi di discussione e di partecipazione isolati, non soltanto in Sicilia: sono lotta contro l’oppressione, contro le ingiustizie e le disuguaglianze. Allo stesso modo dall’antifascismo non possono prescindere i grandi temi dell’attualità che vedono impegnati i giovani e le giovani del nostro Paese: il rifiuto della guerra, le battaglie per il futuro del nostro pianeta, il diritto allo studio e quello per la dignità del lavoro. Le disuguaglianze di genere che ancora oggi, nonostante le innumerevoli battaglie, causano atti di violenza e di sopraffazione nei confronti delle donne. Questi e molti altri temi sono emersi con forza nel corso della prima Assemblea nazionale dei giovani dirigenti Anpi, tenutasi lo scorso dicembre a Riccione: sono stati momenti preziosi di dibattito e di confronto tra realtà ed esperienze molto diverse eppure così vicine nelle aspirazioni e nei valori. Guardare ai bisogni dei giovani senza tener conto delle aspirazioni significa, per il nostro Paese – oggi – perdere di vista una risorsa importante: la passione che anima le nuove generazioni, l’urgenza di raccontarsi attraverso nuovi linguaggi e nuovi spazi di partecipazione.

In una società che cambia velocemente, che elargisce stimoli ed informazioni di ogni natura, dissemina fake news, in cui lo spazio per la vita comunitaria sembra restringersi inesorabilmente in favore dell’individualismo, del merito, del successo e della competizione, tante giovani e tanti giovani sentono l’urgenza di incidere attraverso la politica, di ritrovare in essa la fiducia, di rappresentare ed essere rappresentati. Il bisogno e prima ancora l’aspirazione di essere protagoniste e protagonisti del proprio tempo ci chiama in causa come cittadine e cittadini il cui futuro più che una sfida deve rappresentare un diritto. Il diritto a realizzarsi scegliendo di farlo nella propria terra d’origine, il diritto di trovare la propria strada altrove per scelta non per necessità. Il diritto di sbagliare. Il diritto di non essere sovrastati dalla paura del fallimento. Il diritto all’emotività e alla sensibilità. Il diritto di esserci con la nostra voce, le nostre insicurezze, le nostre certezze, le nostre visioni.

Cara Anpi, quello che oggi viviamo è un tempo che va veloce, che ci chiede di essere forti e performanti. Ovunque in Italia rappresenti ancora oggi uno spazio di partecipazione e discussione che ci da la possibilità di procedere verso il futuro con la luce accesa sulla Memoria che continueremo a coltivare e a difendere. L’esempio delle donne e degli uomini della Resistenza può e deve rappresentare per le nuove generazioni l’impulso ad impegnarci, oggi, per una società, per un Paese e un mondo giusto e solidale. Ho portato qui con me, oggi, le vite partigiane che ho – in diversi modi – incontrato in questi anni e tutte quelle che non ho ancora conosciuto: storie di donne e di uomini, di ragazze e ragazzi che hanno scelto da che parte stare. Il mio augurio per te e per tutte e tutti coloro che ti abitano lo esprimo con le parole del poeta Mahmoud Darwish:“Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio”. Buon compleanno, Anpi. La Resistenza continua.

Lintervento dello storico Francesco Filippi

Io mi trovo in un qualche imbarazzo, dopo l’intervento di Aldo Tortorella. Avevo pensato a un contributo di carattere storico, ma poi mi sono accorto che oggi in questa sala la Storia era seduta accanto a noi; quindi non posso che ringraziare Aldo Tortorella per le cose che ci ha detto e mettere da parte i miei appunti. Vorrei però riflettere non tanto sull’Anpi, ma su che cosa ha rischiato di essere questo Paese. L’Anpi è stato il ponte che ha portato verso il 25 aprile, che ha combattutto nella guerra fisica. Quando poi nel 1945 divenne ente morale, qualcuno pose subito la questione: ma c’è necessità di avere un’associazione di partigiani?. Una domanda che ci accompagna da sempre, perché l’Anpi è bellissima, ma in fondo in fondo dà fastidio. A differenza della Germania, l’Italia venne lasciata sola a ristrutturare la sua memoria. Ma questo “abbandono” determinò la formazione di tre memorie: quella degli antifascisti, quella dei fascisti (onore, la fedeltà al duce, il tradimento degli alleati tedeschi, ecc), poi la terza memoria, quella terza Italia, l’Italia di Brindisi, del re che non scelse né una parte, né l’altra. Una realtà nientaffatto marginale. Si è calcolato, secondo le stime di uno storico non certo partigiano come De Felice, che 2 milioni furono i partigiani e le loro famiglie, ma 2,5 milioni quelli che si schierarono con Salò e con gli stragisti. E voglio qui ricordare anche l’immagine proposta da Benedetto Croce, in un famoso discorso, quella dei fascisti come “popoli del mare”, che sono arrivati e poi se ne sono andati, la malattia della febbre resistenziale. Una tesi che tendeva a dire che fascisti non sono italiani e che quello che accadde in fondo non fu responsabilità di nessuno. Una memoria, questa, che ha un grande vantaggio perché ci decolpevolizza tutti e impedisce la domanda: ma chi è stato fascista? Fascista era anche il postino, ultima rotella inconsapevole del grande ingranaggio? Una domanda troppo difficile, meglio scegliere la tesi accomodante dell’incidente della storia. L’Anpi si è scontrata da subito con questa lettura. L’associazione dei partigiani si è piuttosto basata sulla tesi di Umberto Eco. Il fascismo, diceva il grande semiologo e scrittore, non è una filosofia, è piuttosto una retorica, quindi per definizione a-temporale, quindi la tesi del “fascismo eterno”. L’Anpi in fondo è qui per questo. Nel 2006 i dirigenti scelsero di aprire le porte anche ai non partigiani proprio per dire che il fascismo non è morto. C’è infatti bisogno di una nuova generazione di antifascisti. E non è un caso che l’Anpi ora cresca. Perché il pericolo c’è e l’Anpi non può andare in pensione. A 80 anni è ancora una ragazzina. È una sentinella, che deve continuare a rompere le scatole. Alla fine del mio intervento vorrei proporvi due citazioni. Quella di Arrigo Boldrini (Bulow), secondo il quale “i partigiani hanno combattuto per chi c’era, per chi non c’era, ma anche per chi era contro” e poi quella di una ragazza di 18 anni di cui non farò il nome, che ho incontrato a una manifestazione troppo cruenta per un Paese democratico. Lei mi disse: “Mi hanno rotto le scatole questi fascisti, mi iscrivo all’Anpi”.