Se qualcuno ancora dovesse asserire che in Italia oggi il fascismo è un no-problem, sarebbe smentito da una cruda sequenza di fatti: il protagonismo dell’assessore della Regione Veneto Elena Donazzan che il 25 aprile si è recata nel luogo dove furono gettati 14 caduti nazisti asserendo poi di aver pellegrinato nell’ottica della pacificazione nazionale (tedesca?) e che nel recente passato si era distinta in precedenza fra le voci nuove, intonando su Radio 24 “Faccetta nera”; la manifestazione a Milano in occasione dell’anniversario della morte di Francesco Ramelli col consueto dispiegarsi di saluti romani; le commemorazioni fasciste della mattina del 2 maggio a Dongo e Giulino di Mezzegra in onore di Mussolini con gli eloquenti messaggi rappresentati da alcuni cartelli: “In questa Italia penosa e buia un raggio di luce ricordando il nostro Duce”, “Solo Dio può piegare la volontà fascista. Gli uomini e le cose mai”, l’effigie di Mussolini su di un terzo cartello, ancora il saluto romano e lo slogan “Duce, Duce!”.

Non basta? Ci si ricordi allora delle due mozioni (2019 e 2020) di due Consigli regionali – Friuli Venezia Giulia e Veneto – promosse da consiglieri di estrema destra, in cui di fatto si mette in discussione la libertà di ricerca storica. È poco? Parliamo allora dell’irruzione provocatoria in tante teleconferenze di personaggi dichiaratamente fascisti, oppure dell’hackeraggio nelle sue prime ore di vita del sito “Noi, partigiani: Memoriale della Resistenza italiana” o ancora della presenza sui social di pagine apologetiche del fascismo con annessi e connessi, X MAS compresa. Ed inoltre il vizietto delle aggressioni, oggi al migrante, domani alla coppia di ragazzi gay, dopodomani alla persona di sinistra, perché tutto cambia nell’universo, galassie comprese. Tutto cambia, tranne che il Dna della violenza di qualsiasi fascismo. Potrei continuare a lungo su piccole organizzazioni neofasciste o su grandi partiti che direttamente o indirettamente civettano con uomini con pochissime idee, ma tutte in camicia nera.

E se qualcuno sostenesse che l’antifascismo è bell’e che superato, suggerirei di osservare le iniziative del 25 aprile 2021. Non è stato il contesto del 2020, ove lo spirito pubblico aveva reagito all’aggressione della pandemia con una reazione orgogliosa e disciplinata, da tempo sono scomparse dal lessico pubblico le parole “andrà tutto bene” che esorcizzavano il pericolo del malefico virus, né la gente ha più cantato dai balconi in uno splendido rito liberatorio collettivo. Sappiamo la situazione: oggi prevalgono il carattere oramai endemico del Covid 19 con la ragionevole speranza di una risolutoria vaccinazione di massa, il dissesto economico con la rovina di interi pezzi del grande puzzle del lavoro italiano, l’inesorabile solitudine sociale che ha cambiato lo stile di vita di tutti, il misto di stanchezza e risentimento di tanta gente colpita negli affetti, nel lavoro, nella dimensione stessa della propria vita dal drammatico presente. Ciononostante, meglio, proprio per questo abbiamo vissuto un 25 aprile in cui l’intera Italia democratica ha alzato la testa, ha manifestato una passione antifascista ed un impeto democratico causato dalla crescente consapevolezza del pericolo di una destra radicale impresentabile, demagogica, venata di razzismo, portatrice di un nuovo nazionalismo, segnata da un’irresponsabile alternanza fra “aprite tutto” e “chiudete tutto”, che non segue la curva dei contagi ma quella dei consensi elettorali. Nelle piazze e sui social si sono ritrovati nuovi, pacifici partigiani e partigiane, l’umanità consapevole che dalla memoria del passato e dall’asprezza del presente ricava l’energia per il futuro.

Su quei social e in quelle piazze (con i dovuti accorgimenti anti-covid) c’è stata l’Anpi e le altre associazioni partigiane e resistenziali. Ma con loro in un grande abbraccio (sempre metaforico) si è ritrovato uno straordinario e variegato popolo antifascista formato da tanta gente, ragazzi, donne, lavoratori, intellettuali, artisti, associazioni, movimenti, sindacati, sindaci e autorità pubbliche, forze sociali e politiche le più diverse, ma tutte accomunate dalla percezione di un allarme politico e sociale davanti a cui non ci si può dividere, e rispetto al quale il 25 aprile non è solo una data simbolo, ma una grande chiamata a difesa di quell’insieme di istituzioni, diritti, libertà, ragioni dello stare insieme che rendono la democrazia italiana una parola piena. Piena di significati e di obiettivi, primo fra i quali la lotta alla povertà e alla diseguaglianza, e cioè del vero convitato di pietra che succhia linfa vitale dalla stessa democrazia, così snervandola, e che costituisce il brodo di coltura di ogni fascismo.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi

C’è un buco nero che separa il mondo angelicato degli straricchi, il mondo terreno di quello che rimane della middle class e i sotterranei del resto della società, gente che spesso non riesce a mettere assieme il pranzo con la cena. Questo è l’imperativo categorico a cui deve rispondere la democrazia italiana per affermarsi come strumento di soluzione di ogni questione sociale.

E noi dobbiamo partire da ciò che scriveva all’inizio del 900 Jack London nel suo romanzo Il tallone di ferro: “Ho imparato una gran cosa: non si può curare l’anima finché lo stomaco non è pieno”. È necessario, e neppure basta: bisogna diminuire le distanze fra il mondo angelicato, il mondo terreno ed i sotterranei, e l’unico modo per conquistare ciò è rimettere al centro di ogni idea (e di ogni azione) di progresso il lavoro, la persona e la sua dignità. A ben vedere questa è l’anima della Costituzione che corrisponde pienamente ai valori della Resistenza ed al senso dell’antifascismo, ed è anche il desiderio, la voglia di cittadinanza e di democrazia reale che arriva alla sostanza delle cose, dove ciò che conta non è l’efficacia del discorso ma del risultato.

Ecco dunque la più importante lezione di questo 25 aprile: un’unità davvero popolare, trasversale, che aggrega dove la crisi e la pandemia disgrega, e dove un moderno antifascismo serve da cemento per una casa comune con le porte sempre aperte per accogliere e per guardare l’orizzonte. Perché ogni porta chiusa è una minaccia di solitudine e infelicità.