(Unrwa, Ashraf Amra)

Mentre a Gaza si sta consumando un’altra Nakba moltiplicata all’ennesima potenza e la Cisgiordania rischia la formale annessione da parte di Israele, nel nostro Paese, e non solo, il dibattito si concentra sulle prospettive strategiche alternative dei due Stati, di un Stato unico per tutti, di uno Stato federato, o altro ancora. Un dibattito foriero di contrasti e anche di divisioni profonde.

Shimon Peres (al centro), il presidente dell’OLP Yasser Arafat (a sinistra) e l’allora primo ministro Yitzhak Rabin (a destra) ricevono il Premio Nobel a Oslo il 10 dicembre 1994

A oltre trent’anni dagli accordi di Oslo (unico vero tentativo di avviare un processo verso la realizzazione dello Stato di Palestina a fianco a quello israeliano basato sulla formula dello scambio pace-territori) e del suo fallimento, diventa quasi obbligatorio porsi degli interrogativi circa l’attualità e soprattutto la realizzabilità di tale proposta strategica per di più a fronte dei cambiamenti radicali avvenuti a livello internazionale, sul terreno specifico e nel campo sociale e politico all’interno delle due società; in quella israeliana e in quella palestinese.

Da una parte, data la situazione attuale che vede per la prima volta concretizzarsi il pericolo imminente della cancellazione del diritto palestinese all’autodeterminazione diventano quasi obbligatori la difesa e il rafforzamento dell’indicazione dei due Stati associata al riconoscimento “formale” dello Stato palestinese (che non c’è), quale elemento di principio; quasi come ultimo baluardo proprio contro i tentativi concreti della sua definitiva cancellazione, almeno per questa fase storica.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

D’altro canto, i fatti accaduti in questi ultimi decenni fino al genocidio a Gaza e la conquista da parte dei coloni di parti sempre più vaste della Cisgiordania, congiuntamente al controllo totale della politica mediorientale da parte degli Usa, ci forniscono tutti gli elementi per dubitare fortemente della realizzabilità della formula di partenza.

Sharm el-Sheikh, Egitto, 13 ottobre 2025, cerimonia della firma del trattato di pace per il Medio Oriente (Imagoeconomica, via Ilham Aliyev)

Al tempo stesso appare ancor più lontana se non addirittura pura chimera l’alternativa dello Stato unico “libero dal fiume al mare”, dati i rapporti di forza internazionali, regionali e israelo/palestinesi.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Se rifiutiamo la prospettiva della cancellazione della “questione palestinese” e diamo per scontato invece che alla fine dovrà essere trovata una qualche forma, anche statuale, di convivenza tra i due popoli, le discussioni sullo “stato finale” oggi, quando nessuno è in grado di prefigurarne in maniera realistica le caratteristiche rischia di scadere in semplice discussione ideologica o teorica perché in realtà la “soluzione finale” a rappresentare al meglio il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese non potrà che nascere dal risultato concreto di un lungo processo fatto di tantissimi passi intermedi e di decisioni parziali/tattiche capaci di modificare giorno dopo giorno la situazione e i rapporti di forza sul terreno. Esattamente la strategia vincente applicata dal sionismo dalla sua nascita.

Nonostante le tragedie subite e l’odio seminato a piene mani può ancora esistere un futuro perché i sentimenti delle persone nel tempo che passa, le speranze o la disperazione si alimentano e si modificano sulla base della vita che vivono quotidianamente, giorno dopo giorno in un processo che necessariamente richiede tempo. Per un bimbo palestinese la scomparsa di un check point sulla via per la scuola è di per sé un pezzo importante di liberazione e di speranza; e di esempi se ne possono sommare a centinaia.

(Imagoeconomica Saverio De Giglio),

Allora il terreno strategico su cui concentrarsi oggi è la configurazione di questo processo a partire dalle condizioni date. Per l’individuazione degli elementi fondamentali, dei passi, delle decisioni, degli obiettivi parziali ma razionali e realizzabili, in grado di modificare e di migliorare, anche di poco, la vita quotidiana delle persone.

(Imagoeconomica, Saverio De Giglio)

Come è stato giusto per Gaza indicare per mesi il passaggio del cessate il fuoco quale pre-requisito per qualsiasi ulteriore ragionamento, così oggi dobbiamo essere in grado di indicare i prossimi “pre-requisiti” per ulteriori avanzamenti, per Gaza stessa e per la Cisgiordania.

(Imagoeconomica)

In caso contrario, sempre sperando che la tregua possa reggere, l’alternativa sarà solo lo sviluppo del piano coloniale di Trump e cioè la negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e quindi della pace vera e giusta.

Coscienti della mancanza oggi di soggetti internazionali e anche nazionali imparziali e credibili, fedeli esecutori del Diritto internazionale determinati ad assumere piena responsabilità per lo sviluppo di qualsivoglia processo (pre-requisito non secondario), proviamo comunque a entrare nel merito proponendo alcuni “pre-requisiti” come punti di lavoro:

Non lasciare solo a Trump la gestione coloniale del processo che prevede l’occupazione di Gaza per metà da parte israeliana e per l’altra metà da parte di Stati terzi ma esigere innanzitutto un ruolo politico dei palestinesi e chiedere l’intervento internazionale attraverso l’ONU, a cominciare dalla gestione degli aiuti umanitari. Chiedere l’indizione di una conferenza internazionale? Esigere un ruolo dell’Europa?

(Imagoeconomica, SergioOliviero)

Non separare Gaza dalla Cisgiordania perché sarà facilissimo, quasi naturale, concentrare l’attenzione su Gaza, sul suo futuro politico, della tenuta della tregua, della ricostruzione, della smilitarizzazione di Hamas, etc. lasciando al contempo che in Cisgiordania continui a espandersi l’occupazione. Quindi, se si chiede l’intervento di forze esterne a Gaza si deve fare uguale in Cisgiordania (che non è territorio israeliano) perché il primo pre-requisito è quello di “fermare, almeno congelare, l’occupazione”, impedire ai coloni e all’esercito israeliano di attaccare le popolazioni e di acquisire ulteriore territorio.

Intervento di una forza internazionale a Gaza e in Cisgiordania (come sul confine libanese) a difesa del territorio e della popolazione (Convenzione di Ginevra sui territori occupati) e sanzioni nei confronti di Israele da comminare ad ogni violazione del diritto.

(Imagoeconomica)

Necessità del cambio di leadership in Israele e in Palestina. È evidente l’inconciliabilità del governo dei coloni con qualsiasi processo di convivenza e in campo palestinese è ormai irrinunciabile, anche sul piano internazionale, la ricomposizione e la ricostruzione di una leadership unitaria come reale espressione della volontà popolare. In questo senso la richiesta di libertà per Marwan Barghouti è un passaggio importante.

Esigere aiuti umanitari subito è anch’esso un terreno politico, non solo umanitario solidaristico su cui impegnarsi anche direttamente come Associazione individuando obiettivi e modalità che puntino a coinvolgere direttamente la coscienza delle persone offrendo loro la possibilità di un impegno, di un “atto” concreto, contro il forte sentimento di impotenza che spesso accompagna tragedie così grandi.

Sono solo alcuni spunti di riflessione che potrebbero aiutare ad approfondire e ad affinare la posizione della nostra Associazione in un momento così difficile e per certi versi anche decisivo.

Roberto Giudici, presidente sezione Anpi Vigentina, Milano – componente Gruppo di lavoro Esteri Anpi nazionale