Il 16 maggio Piero Sansonetti riporterà in edicola la sua Unità, come fece anni prima Matteo Renzi. Perché i due, a ben vedere, sono fratelli di penose e irrispettose avventure. Questo giornale senza pace alla preziosa anima sua – come il Riformista – continua a subire la sorte di invasioni personalistiche. Senza una comunità, senza senso chiaramente ideale, solo una vetrina del reggente destinata dunque a sbattere contro l’irrilevanza e la fine. Per non parlare dell’ex redazione licenziata dal curatore fallimentare e poi definitivamente cancellata da Sansonetti. Un colpo di grazia a professionalità e passioni cui non deve smettere di essere destinata la massima solidarietà.

Ma quello da sottolineare a fuoco è un’ulteriore, consistente aggravante: il pessimo rapporto che questa Unità avrà con gli eventuali lettori radicalmente antifascisti.

Il nuovo direttore è quello che vorrebbe fosse sciolta l’Anpi – un po’ come i beceri commentatori sui social network di varia estrazione: fascistoide, novax, governativa – e non Forza Nuova che desidererebbe invece restasse attiva contro chi “per motivi ideologici” ne chiede lo scioglimento (verrebbe da ridere se non fosse inquietante immaginare sulla futura Unità la difesa d’ufficio della formazione neofascista). Diceva il nostro il 14 aprile 2022 al Tg4: “Dovrei capire che cos’è l’Anpi. Era l’associazione alla quale aderivano tutti gli ex partigiani. Gli ex partigiani non ci sono più. Ne sono rimasti forse una trentina. Cosa c’entra questa organizzazione. E perché deve esistere un’organizzazione che pretende di avere suoi i valori della resistenza. I valori della resistenza non sono di nessuno e sono di tutti. Nessuno di noi ha fatto la resistenza e nessuno di noi è proprietario di quei valori, che si possono interpretare nei modi più diversi. Se il presidente dell’Anpi vuol fare una polemica sulla guerra, può farla come la fanno tanti altri. La faccio spesso anche io che sono un giornalista e mi chiamo Piero Sansonetti. Non sono erede di nessun valore. Non sono certo erede della resistenza. Dobbiamo smetterla. Forse l’Anpi andrebbe sciolta per un motivo molto semplice: perché non ci sono più i partigiani”.

Un dire pieno di prospettive ben poco Unitarie – dunque democratiche – oltreché e soprattutto, di ignoranza. Le partigiane e i partigiani sono enormemente di più di una trentina, con buona pace di Sansonetti, e furono loro stessi nel 2006 al congresso di Chianciano a voler aprire le porte dell’Associazione anche ai non combattenti per mantenere vivi, vitali e operativi i valori che mossero la loro lotta. Quindi, il presidente Pagliarulo “polemizzò con la guerra” semplicemente in coerenza con la storia dell’Anpi dei partigiani, una linea confermata dal congresso del 2022.

Nessuna pretesa di eredità dei valori della Resistenza, dunque, bensì tradizione e verità, supportate da una sentenza, anno 2012, del Tribunale Militare di Verona, che nell’ammettere l’ANPI come parte civile in un processo relativo a stragi compiute nel 1944 da nazifascisti, stabiliva testualmente: “L’ANPI è storicamente l’erede, in forma statutariamente riconosciuta, di tutti quei gruppi e formazioni che dal 1942-’43 in avanti hanno costituito centro di riferimento collettivo di grandissima parte della popolazione italiana, che animata dal medesimo sentimento di restituire al Paese libertà e democrazia, ha agito nelle più avanzate forme, anche non necessariamente armate. Di quei gruppi e formazioni l’Associazione è l’erede spirituale, stante l’identità dei fini”.

Ma si sa, Piero Sansonetti è allergico alla magistratura, contro cui schiererà naturalmente il giornale (è “l’antifascismo” bellezze), che almeno però onori il suo mestiere, si informi. Ma lui si informa e informerà a modo e interesse suo. Altro che un’Unità “contrapposta ai grandi poteri”, come ha scritto nel numero di lancio del 9 maggio, un’Unità semmai contrapposta a se stessa. Che farà il solletico ai poteri. Al governo, in primis.

Andrea Liparoto, responsabile Ufficio stampa e comunicazione ANPI