Liliana Segre (da https://www.asalerno.it/frasi-di-vera-intolleranza-durante-la-tesimonianza-di-liliana-segre/)

Liliana Segre rifiuta la cittadinanza onoraria concessa dal Comune di Verona, che intende intitolare una via a Giorgio Almirante. E fa benissimo. Non è solo una contraddizione insanabile, un ossimoro della storia. Dietro c’è un retroterra di episodi e di comportamenti che riguardano la città e l’ultimo mezzo secolo. Altro che Giulietta e Romeo! È una storia che affonda negli anni 70.

Era a Verona il colonnello Amos Spiazzi, alto ufficiale di artiglieria, capo dell’organizzazione eversiva neofascista la “Rosa dei venti”; erano a Verona i due criminali neonazisti della banda Ludwig Marco Furlan e Wolfgang Abel, responsabili di diversi omicidi; ruotavano attorno a Verona il Fronte nazionale” di Franco Freda e Ordine Nuovo; insomma un florilegio di bande eversive e terroristiche tutte di matrice nazifascista. Nei decenni successivi si snocciola un rosario di aggressioni ed episodi di stampo fascista e razzista, in un pullulare di associazioni integraliste cattoliche o filonaziste, come Fortezza Europa. Su questo retroterra cresce il nazirazzismo da stadio, con tanto di saluti romani, di slogan come “siamo una squadra a forma di svastica”, di insulti ai calciatori dalla pelle nera. Perché stupirsi allora se all’inizio del 2019 si convoca a Verona una imponente kermesse oscurantista e antifemminile come il sedicente congresso mondiale delle famiglie? O se il consigliere comunale di Verona Andrea Bacciga viene rinviato a giudizio per aver rivolto il saluto romano ad alcune esponenti dell’associazione Non una di meno?

Piaccia o meno, questo è l’humus in cui germina la proposta di intitolare una via a Giorgio Almirante, il quale – per chi ancora non fosse informato – non è stato solo e a lungo segretario nazionale del Msi e parlamentare dopo la Liberazione, ma è stato anche uno dei firmatari del Manifesto della razza del 1938, in cui si afferma fra l’altro che “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo”. Ed effettivamente e sinceramente Almirante lo era. Divenuto segretario di redazione del periodico “La difesa della razza” egli infatti scrive nel 1942: “Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue”. E il sangue chiama sangue: ardente militante della Repubblica di Salò, diviene capo di gabinetto del ministro della Cultura popolare. E firma il famoso manifesto del 17 maggio 1944 della Prefettura di Grosseto rivolto agli “sbandati ed appartenenti a bande” che dovranno presentarsi entro una settimana ai posti militari di polizia “italiani e germanici”. “Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuorilegge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena”. In due parole: cari partigiani, o vi arrendete o vi fuciliamo seduta stante.

Ecco perché accostare la cittadinanza onoraria a una superstite della Shoah all’intitolazione di una via ad un teorico del razzismo, firmatario di un proclama terrorista contro i partigiani è un non senso e un’offesa a Liliana Segre. Ma è anche il tentativo, un po’ goffo in verità, di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Peccato che cerchio e botte siano il perseguitato e il persecutore. E dunque l’accostamento suona come una beffa blasfema. L’ultimo sfregio. A Liliana Segre. A tutte le vittime del razzismo e dell’antisemitismo. Ai partigiani. Alla stessa città di Verona, Medaglia d’Oro alla Resistenza.