Il professor Alessandro Barbero (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ commons/4/46/Alessandro_Barbero_2008.jpg)

Docente di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale, il Prof è anche uno scrittore di talento: nel 1996 ha vinto il Premio Strega con il romanzo storico “Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo”, tradotto in sette lingue; in seguito, per altri suoi lavori ha ricevuto numerosi, prestigiosi riconoscimenti. Pluripremiato anche per le attività divulgative, scrive su importanti testate giornalistiche nazionali, è collaboratore di Rai Storia e ospite fisso della trasmissione tv Superquark di Piero Angela.

Lo storico Barbero come valuta la Risoluzione adottata dal parlamento europeo lo scorso 19 settembre, nell’anno in cui “si celebra l’80° dello scoppio della seconda guerra mondiale”?

Prima di tutto segnalo una doppia assurdità nella ricostruzione storica avallata all’Assemblea di Strasburgo. Il documento “sottolinea” infatti che la seconda guerra mondiale “è iniziata come conseguenza immediata del famigerato” patto Molotov-Ribbentrop, il trattato di non aggressione siglato il 23 agosto 1939 da “Unione Sovietica comunista e la Germania nazista” e, ancor più incredibilmente, che con quell’accordo i “due regimi totalitari, che avevano in comune l’obiettivo di conquistare il mondo, hanno diviso l’Europa in due zone d’influenza”. In questo passaggio c’è un equivoco abnorme, peggio un falso, perché in realtà ciò venne deciso molti anni dopo, negli ultimi mesi del conflitto, e non da Stalin e Hitler ma da Stalin insieme a Churchill e Roosevelt nelle Conferenze di Yalta e di Postdam.

Perché la forzatura se non corrisponde ai fatti?

Leggendo la Risoluzione è palese sia stata promossa dagli Stati dell’Europa centrale e orientale dove, dopo il 1945, dominarono regimi dittatoriali sostenuti dall’Urss, e dunque l’intento era di condanna. Bene inteso, non si può dar loro torto perché sono stati regimi impopolari e oppressivi. Tuttavia attestare un interesse all’egemonia mondiale da parte di Stalin è una fandonia totale. È storicamente assodato e risaputo che, in quel 1939, il suo unico obiettivo era evitare a qualsiasi costo una guerra all’Unione Sovietica.

Da Wikipedia: “I Sudeti (tedesco: Sudeten; ceco: Krkonošsko-jesenická subprovincie o Sudety; polacco: Sudety) sono un sistema montuoso al confine tra la Germania (Sassonia), la Polonia (Slesia) e la Repubblica Ceca (Boemia e Moravia). Poiché il nome, nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, designò con un buon grado di approssimazione l’intera area tedescofona all’interno di Boemia e Moravia, con questa denominazione si definiscono talvolta le popolazioni tedesche ivi insediate fino alla seconda guerra mondiale (Sudetendeutsche o Tedeschi dei Sudeti)”. Nell’immagine. La regione dei Sudeti

Più volte la Risoluzione ribadisce che il patto indicato col cognome dei due ministri degli Esteri di allora avrebbe invece la responsabilità di aver “spianato la strada allo scoppio della seconda guerra mondiale”.

Stalin fa il patto con la Germania quando sono falliti tutti i tentativi di stringere accordi con l’Inghilterra e con la Francia, quando già Inghilterra e Francia hanno lasciato via libera a Hitler. Per paura, per incapacità, furono anni terribili per fare politica, sia chiaro. Ma certamente prima del Molotov-Ribbentrop, c’è l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, siamo nel marzo 1938, e nessuno dice niente; subito dopo ci sono le rivendicazioni del Terzo Reich sui Sudeti, quindi su un pezzo di Cecoslovacchia, e con gli accordi di Monaco, fine settembre ’38, non solo nessuno dice niente bensì Regno Unito e Francia aiutano Hitler a costringere i cecoslovacchi a cedere quei territori; quindi pochi mesi più tardi, arriviamo al marzo 1939, Hitler invade il resto della Cecoslovacchia e, ancora una volta, Inghilterra e Francia restano alla finestra. Fino a quel momento, l’Unione Sovietica cercò in ogni modo di creare un’alleanza contro Hitler. I governi occidentali non si fidarono, si può anche dire che non avevano torto, però poi Churchill e Roosevelt daranno credito a Stalin e vinceranno la seconda guerra mondiale. In altre parole, affermare che il patto Molotov-Ribbentrop abbia spianato la strada al conflitto bellico ha senso solo se ricordiamo che fu l’ultimo atto di una sequenza di compromessi e cedimenti a Hitler. Tutti hanno ceduto a Hitler. E infine lo fece anche Stalin decidendo, con estremo cinismo, che fosse l’unico modo per salvaguardare il suo Paese da una guerra.

E neppure intendeva conquistare il mondo?

Vedere nel trattato di non aggressione un patto di spartizione tra due dittature, ribadisco, è falso e insensato. Fino ad allora Stalin aveva sostenuto la politica del socialismo in un solo Paese e aveva fatto fuori quanti teorizzavano la rivoluzione permanente e volevano esportarla a livello globale.

Premesso che affrontiamo una vicenda terribilmente complessa, non intendo affatto contestare le responsabilità staliniane: il Molotov-Ribbentrop è una mossa spudorata. Stalin era sempre stato disposto a fare delle giravolte incredibili, interessato unicamente al risultato da ottenere in quel momento. E in quel momento vuole assicurarsi che la Germania non attacchi l’Unione Sovietica e che l’Unione Sovietica non rimanga isolata. Dunque benissimo un patto col diavolo, un “il fine giustifica i mezzi” moralmente e politicamente discutibile, ma sul piano storico è un’alleanza fra due nemici che si odiano, consapevoli che cercheranno di imbrogliarsi l’un l‘altro. Sono assurde e senza fondamento tutte le letture che ritengono simili nazismo e stalinismo e la loro alleanza un fatto naturale.

E Hitler voleva la guerra?

Niente affatto, piuttosto per le sue mire era disposto a rischiare anche una grande guerra mondiale; in realtà avrebbe preferito che Inghilterra e Francia gli lasciassero conquistare la Polonia come aveva già fatto con l’Austria e la Cecoslovacchia. Nessuno lo aveva fermato e lui era andato avanti. Semplicemente. La stessa Polonia dell’epoca mise i bastoni fra le ruote ad un allargato schieramento contro Hitler ed è comprensibile: era nata da appena due decenni dopo una guerra con l’Urss e aveva il terrore di una riconquista. Per lo scoppio del conflitto mondiale l’atteggiamento polacco non fu tuttavia determinante, va messo bene in chiaro. Decisiva fu la debolezza dei governi del Regno Unito e della Francia, lo spettro di una nuova guerra, la diffidenza verso il dittatore sovietico Stalin e il cinismo criminale dello stesso Stalin.

A Odessa tra il 22 e il 24 ottobre 1941, un numero compreso tra 25.000 e 34.000 ebrei vennero uccisi a colpi di arma da fuoco o bruciati vivi dalle forze di occupazione rumene e tedesche. Nella foto, la copertina di un volume sull’occupazione

Nei Paesi dell’est Europa, prima del 1939 c’erano simpatie verso il fascismo e il nazismo?

È un argomento molto delicato ed è d’obbligo prendere atto di differenti sensibilità. Prima della seconda guerra mondiale quei Paesi avevano sistemi autoritari e militaristi ma non tutti allo stesso modo. In alcuni ambienti, c’era sì una sorta di attrattiva nei confronti del nazismo ma era l’anticomunismo il denominatore comune, talmente forte da accecare, da non permettere di vedere altro, come accade oggi. Soprattutto, e dispiace doverlo dire, erano Paesi violentemente antisemiti. In Polonia l’occupazione tedesca fu spaventosa, la popolazione resistette con grandissimo impegno e sacrificio, però che i nazisti sterminassero gli ebrei non lo valutò, al tempo, l’aspetto più terribile. I Paesi baltici si sentirono liberati dai nazisti dopo la breve occupazione staliniana e ci furono episodi di collaborazione delle milizie locali alla shoah ebraica. La Romania, che oggi si lamenta, nel 1941 insieme ai nazisti invase l’Unione Sovietica e contribuì al genocidio della comunità ebraica di Odessa. Purtroppo, l’antisemitismo diffuso nei Paesi dell’Europa orientale ha permesso che l’occupazione nazista non incontrasse una netta opposizione.

La Risoluzione è intitolata “Sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”.

Il documento concorre a consolidare un distorto e frequente luogo comune, cioè che la memoria da sola, possa unificare, si possa condividere. Ma la memoria non è critica, è parziale per definizione, e spesso infatti è usata per additare nei nemici. Ognuno, legittimamente, ha la sua memoria. Ma senza una visione d’insieme, se non si vuole restare confinati a un circoscritto punto di vista e provare a capire come l’umanità ha attraversato gli eventi, deve essere interpretata dalla storia. In Italia altrimenti ci dovremmo ricordare le stragi nazifasciste e i bombardamenti alleati, fatti che di per sé aiutano ben poco ad amare gli altri popoli… Il parlamento europeo parte dalla memoria e, già che c’è, suggerisce di abbattere i monumenti che ricordano una memoria che non gli piace! Quei monumenti rappresentano una memoria di parte? Certo, dunque abbatterli significa schierarsi dall’altra parte. La memoria del parlamento europeo è insomma brandita “contro” qualcuno.

Il parlamento europeo

Nel testo si rimarca l’adesione “all’UE e alla Nato dei Paesi dell’Europa centrale e orientale”, è c’è un appello alla società russa, “la più grande vittima del totalitarismo comunista”, affinché si confronti “con il suo tragico passato”. Cosa ne pensa Barbero?

Quella Risoluzione è chiaramente un documento politico, fabbricato con fini politici e per di più abbastanza mediocri. Mi fa venire in mente quei politici italiani che da quando è nato il nuovo governo gridano ai loro elettori: “Oddio oddio, i comunisti sono andati al potere!”. È un documento dalla visione stranamente provinciale e ristretta, arcaica, perché parla delle conseguenze della seconda guerra mondiale solo da un punto di vista molto localistico. Non c’è una parola sulla fine dell’imperialismo coloniale, sull’indipendenza dell’India e della Cina, per esempio. Anche la visione del comunismo è altrettanto limitata: è come se il comunismo si identificasse con lo stalinismo e con i regimi dei Paesi del Patto di Varsavia, quelli che fino alla caduta del Muro di Berlino facevano parte del blocco sovietico. Qualsiasi parallelo tra comunismo e nazismo è un falso storico. Il nazismo è durato vent’anni e ha governato un unico Paese per tredici anni; regime nazista e ideologia nazista sono la stessa cosa. Invece il comunismo è una realtà storica durata ben un secolo e mezzo, esisteva già alla metà dell’800. Ammettiamo per ipotesi, nonostante forse la Cina non sarebbe d’accordo, che non esista più dall’89, con il crollo dell’Unione Sovietica. Ebbene in tutti i Paesi del mondo ci sono state generazioni e generazioni di comunisti, nella maggior parte dei casi sono stati perseguitati, messi in galera; in altri, come in Italia e Francia, dal secondo dopoguerra sono stati elemento fondamentale della vita democratica. Non c’è alcun dubbio che, diversamente, in Urss il comunismo abbia dato luogo a un regime terribile e nell’Europa centrale e orientale a regimi che, come ho detto, si sono rivelati impopolari e oppressivi. Il punto è un altro però. La falce e il martello non sono simboli della dittatura di Stalin ma di una speranza che per oltre centocinquant’anni ha animato milioni di persone in tutto il mondo. Lo prova il fatto che si può essere comunisti e avere una pessima opinione di Stalin e criticare il suo regime; al contrario, ed è facile verificarlo, non troverà nessuno tra quanti si richiamano al fascismo che abbia la forza di criticare Mussolini e il suo regime; se lo immagina in Germania un neonazista che critichi il Führer? Non esiste fascismo al di là della dittatura di Mussolini, né nazismo al di là di Hitler. Il comunismo invece ha espresso diverse personalità e pensieri. Se avessi una vecchia tessera del Pci, magari firmata da Enrico Berlinguer, mi dovrei forse vergognare?