Nei giorni scorsi è stata revocata la cittadinanza onoraria conferita a Benito Mussolini (anche) nei consigli comunali di Bergamo e di Empoli. Mauro Magistrati, Presidente dell’Anpi provinciale di Bergamo, ha fra l’altro così commentato: “Il disconoscimento è un giudizio chiaro e forte che finalmente la Città di Bergamo adotta dopo le ripetute richieste arrivate da organizzazioni, enti ed associazioni antifascisti, compresa la nostra. Un atto importante che non cancella un ventennio di storia italiana, ma che ha l’ambizione di guardare al futuro”. Il sindaco di Empoli Brenda Barnini, a sua volta, ha dichiarato: “Il duce non è più cittadino onorario di Empoli capitale morale dell’antifascismo e Medaglia d’oro al merito civile per il contributo dato nella Resistenza, nella Liberazione e con il sacrificio di centinaia di cittadini innocenti morti sotto il regime fascista e nelle deportazioni”. “Siamo pienamente soddisfatti. – ha chiosato la sezione Anpi del comune toscano –. Chi come il Duce si è macchiato di crimini contro l’umanità, non può avere spazio tra i nostri concittadini. Grazie a coloro che hanno votato”.
Si allunga così sempre più la lista dei comuni che hanno cancellato la cittadinanza onoraria a Mussolini. Alcuni si chiedono dell’utilità di questi provvedimenti e ovviamente, nella gran parte dei casi, si tratta di persone (o personalità) che non nascondono riposte simpatie per il nativo di Predappio; ma in qualche circostanza c’è anche chi, di sicura fede democratica e antifascista, non ritiene necessario cancellare la cittadinanza onoraria. Ergo, non guasta fare mente locale alla questione.
Nel nostro Paese, quanto meno dal dopoguerra fino al 1994, il fascismo e il nazismo hanno rappresentato un vero e proprio tabù per la stragrande maggioranza della popolazione. I gruppi dirigenti incarnavano questa visione del mondo in molti modi: nella politica l’esclusione dei fascisti era rappresentata dal perimento democratico definito (giustamente) l’“arco costituzionale”; la cultura nel senso più ampio del termine veicolava in grande parte un messaggio antifascista o esplicito o implicito, attraverso cioè il sostegno ad un sistema di valori per definizione antifascista: la libertà, l’eguaglianza, la democrazia, la partecipazione popolare, la pace, il lavoro, la Costituzione. Questa prospettiva, già in parte incrinata, è stata nel corso degli anni successivi sempre più messa in discussione con ripetuti tentativi di mettere in ultima analisi sullo stesso piano antifascisti e fascisti, torturati e torturatori, amanti della pace ed alfieri della guerra. Intendiamoci: c’è sempre stato (e c’è ancora) un forte movimento popolare antifascista e, assieme, c’è sempre stata una consistente componente nostalgica, a conferma che in Italia i conti col fascismo non sono mai stati definitivamente chiusi. Ma oggi la situazione è precipitata: c’è un clima di tolleranza e di “comprensione” verso il fascismo storico e il neofascismo, mai esistito in precedenza, è sempre più diffusa una mal celata – o per niente celata – simpatia verso il ventennio, c’è un’espansione inquietante del neofascismo e delle violenze squadristiche che esso inevitabilmente comporta.
Delibere come quelle di Bergamo e di Empoli rappresentano un contrasto reale a queste tendenze sul piano istituzionale, politico, culturale e simbolico. Nella revoca della cittadinanza onoraria c’è un’idea di ripulsa in senso etimologico, cioè il “respingere ciò che ci appartiene”, perché se il fascismo, come ha scritto Gobetti, è anche l’autobiografia della nazione (la nostra), il suo ripudio è la rinascita della nazione, e cioè l’apologia dell’Italia della Costituzione, che è la negazione del fascismo.
C’è poi in queste delibere un’assunzione di responsabilità civile, c’è un dire “non siamo Ponzio Pilato”, c’è un’asserzione conclusiva e inappellabile, che è il fascismo no. Ed è una scelta tanto più preziosa se si considera che chi opera tale scelta è l’ente locale, un pezzo di Stato, un luogo di elezione popolare, un tempo e un tempio di democrazia.
Ma anche qualcosa in più, di molto concreto, vivente, pulsante: e cioè la consapevolezza della deriva verso cui può scivolare il Paese: le aggressioni di tipo xenofobo o razzista, la violenza sempre più frequente nei rapporti sociali, nella vita quotidiana, l’intolleranza mezza fanatica nello scontro politico in cui io sono il puro, il vero, l’onesto, il nazionale, e tutti gli altri politici sono traditori, ladri, bugiardi, oligarchia.
O ancora, nello scontro sociale, dove io sono l’assediato, l’invaso, il minacciato, e l’altro è sempre il nemico, il forse-terrorista, il rubapostidilavoro, il mangiapane a tradimento. Perché è tutta colpa dei governi precedenti, dei politici, delle poltrone, dei migranti, delle donne, degli omosessuali, dei comunisti. Ed insomma è finita la pacchia. Ecco, questo melting pot da fake news alla vaccinara, questo pervicace rifiuto di analizzare la realtà nella sua complessità è la strada maestra per evocare l’attesa dell’Uomo Forte che solo lui risolverà i problemi di una società marcia.
Contro questa pornografia spacciata per visione del mondo, contro il veleno venduto come terapia funziona anche la revoca della cittadinanza onoraria, perché ristabilisce una gerarchia costituzionale di valori; non si può mantenere l’attribuzione di un onore ad una figura che ha condotto l’Italia nella più drammatica catastrofe della sua storia e che a distanza di tanti anni ispira ancora idee di violenza, di esclusione, di comando, di guerra, di sangue.
Pubblicato martedì 12 Marzo 2019
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