Quando si spaccia il fatto che la Resistenza è divisiva e si disertano le celebrazioni del 25 aprile, oppure quando qui in Emilia si fa la spaghettata antifascista, che è stata introdotta dopo il 25 luglio 1943 dai fratelli Cervi, e molti sindaci della Lega non ci vanno perché la considerano divisiva, ecco, qui bisogna essere molto chiari: noi non siamo divisivi, noi stiamo applicando la Costituzione, stiamo facendo una cosa che riguarda non il passato, ma la nostra stessa essenza come Paese democratico. Se io dico che CasaPound è una organizzazione fascista e che va sciolta non sto dicendo una cosa che divide, sto chiedendo l’applicazione delle leggi. Faccio notare, en passant, che il ministro degli Interni definisce, usando un linguaggio in uso nell’estrema destra, gli esponenti della sinistra “zecche”. Questi sono quelli che accusano gli altri di essere divisivi! Ma per favore! La Lega da anni ha stretto rapporti con le formazioni neofasciste e oggi, vedi lo scioglimento di CasaPound come partito, le ha perfino cannibalizzate, assumendo al suo interno i programmi, le parole d’ordine e alcuni dei personaggi equivoci di questa galassia nera.

Bolognesi, lo scorso anno, nella ricorrenza de 38 anni della strage di Bologna dicesti: «Vogliamo una classe dirigente che non ha paura della verità. Basta a collusioni e depistaggi di alti rappresentati dello Stato che hanno evitato di arrivare alla verità». Parole che andrebbero bene anche quest’anno, o qualcosa è cambiato?
Dobbiamo tenere presente una cosa. C’è una classe politica ambigua che tollera determinate confusioni o addirittura le alimenta. A Bologna, anche grazie agli sforzi delle associazioni delle vittime della strage, c’è un processo in corso. Si tratta del processo a Gilberto Cavallini, cioè a colui che potrebbe essere il quarto uomo della strage, e c’è una inchiesta sui mandanti della strage, cosa questa mai successa in Italia. Ebbene, man mano che l’inchiesta va avanti e produce risultati – un ex generale dei carabinieri, Quintino Spella, inquisito per depistaggio, depistaggio, si badi, eseguito non nel 1980 ma nei primi mesi del 2019 – ecco che immediatamente tornano fuori vecchie piste atte proprio a sviare l’attenzione, a trarre in inganno. Questo fa il paio con una classe politica che non è all’altezza della situazione. Noi quando parliamo della strage di Bologna parliamo sì di un fatto di 39 anni fa, ma parliamo anche e soprattutto della classe dirigente politica attuale. Questo è uno dei punti chiave su cui riflettere.
Davanti alla Corte d’Assise di Bologna Cavallini nel gennaio scorso con arroganza si è scagliato sia contro il pm, bollato come «colpevolista», sia contro l’associazione dei familiari delle vittime, minacciando addirittura querele contro di voi per aver con la vostra azione e i vostri dossier fatto riaprire le indagini.
Cavallini è senza vergogna, le sue accuse ridicole e ingiuriose. Se arriva la denuncia risponderemo con i documenti. Come del resto abbiamo sempre fatto quando ci hanno querelato.

Tu ha sempre detto che sulle stragi non ci sono misteri, ci sono segreti.
I misteri sono solo nelle religioni, tu un mistero lo risolvi con la fede, non con le indagini. Con le indagini risolvi i segreti. Questo è il punto. Quando nel fare determinate indagini vedi che o certi santuari non si toccano o certi documenti non si danno, ecco che stiamo parlando di segreti. Segreti che, evidentemente, sono ancora oggi da tutelare.
In questi anni è cambiato l’approccio storico e processuale alla stagione delle stragi?
Fino a pochi anni fa si pensava alla strategia della tensione come ad un insieme di episodi, quando invece la strategia della tensione è una ragnatela fatta di collegamenti e rimandi. Sembra una cosa acquista, eppure a sancirlo è stata, appena due anni fa, la sentenza sulla strage di Brescia. Sentenza storica perché è la prima che scrive nomi e cognomi sugli autori della strage e fa piena luce sulla catena di comando che stava sopra Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Il procuratore generale disse in quell’occasione che se c’era una cosa buona in tutti quegli anni spesi nella ricerca della verità era che l’enorme distanza dai fatti consentiva di cogliere «l’immagine di tutta la foresta e non quella delle singole foglie». Tutto era collegato. Noi su questo abbiamo sempre insistito. Ed erano collegate non solo le stragi tra di loro, ma anche le stragi con la mafia, con la criminalità organizzata, con la banda della Magliana. Una delle cose che ci ha aiutato a rimettere assieme i pezzi del puzzle e a guardare le cose in modo unitario è stata la digitalizzazione degli atti. Quando tu hai davanti un pc e gli atti in formato digitale, anche un milione di pagine di documenti non ti spaventa. Per trovare un nome e per capire i nessi che quel nome può avere con episodi e vicende diversi, ci metti pochi minuti. Come Associazione in questi anni ci siamo spesi perché tutti i dati fossero informatizzati. E questo ci ha consentito di presentare nel tempo una miriade di memorie sulla strage del 2 agosto.

Hai parlato di una ragnatela, di un’unica strategia eversiva. Qual è l’atto di inizio?
Sicuramente è la strage di Portella della Ginestra. È da lì che è partito il meccanismo eversivo che ha accompagnato la storia d’Italia. Ma senza andare troppo indietro nel tempo possiamo dire che il salto di qualità che darà via allo stragismo fascista è il convegno dell’Istituto Pollio al Parco dei Principi (3-5 maggio 1965, ndr), convegno finanziato dallo Stato maggiore della Difesa. Al Parco dei Principi si gettano le basi della strategia della tensione sulla base dell’assunto che qualsiasi mezzo era possibile per evitare che i comunisti si avvicinassero al potere. I morti ammazzati, le stragi, i lutti per non permettere ai comunisti di “avvicinarsi” al potere! E non c’erano solo fascisti, militari, servizi deviati, ma anche il mondo imprenditoriale a chiedere la mano forte contro le sinistre. Ricordo che uno degli interventi al Parco dei Principi, di Vittorio De Biase, braccio destro di Giorgio Valerio, si intitolava “Necessità di una azione concreta contro la penetrazione comunista”. Tra i presenti a quel convegno troviamo Stefano Delle Chiaie, il fondatore di Avanguardia Nazionale, che attraversa tutta la stagione dello stragismo e arriva fino ad oggi, grande vecchio dei nuovi e vecchi fascisti. Ma per fare un ragionamento a tutto tondo sullo stragismo occorre fermare lo sguardo anche sugli obiettivi singoli perché anche quelli fanno parte della strategia della tensione. Moro, i giudici Amato e Alessandrini, ma anche Pier Paolo Pasolini, tutte persone che erano arrivate, ognuno con la sua sensibilità, a mettere sotto osservazione i santuari dello stragismo, a cogliere i nessi tra servizi e neofascismo. Tutti morti ammazzati. Con l’omicidio Moro hanno fatto un colpo di stato ben riuscito. Una volta morto lui dell’unità nazionale non si è più parlato. In quei 55 giorni il progetto politico su cui il leader della Dc si era speso con forza e che sembrava cosa fatta viene archiviato definitivamente.
Esatto. C’è stata una commissione d’inchiesta parlamentare che non ha prodotto nulla, vi è stato una lunga indagine della procura bolognese durata sette anni che alla fine è stata archiviata perché non portava da nessuna parte. Tutte le volte che ritorna in auge quella pista sono battute, supposizioni, non prove. L’ultima perizia a un certo punto dice che è stato trovato un oggetto che potrebbe essere un interruttore che sarebbe simile a quello in uso al gruppo terrorista di Carlos. Fuffa! E infatti il perito in Aula ha detto testualmente: «Io queste cose non le scriverei più». Non c’è nessun elemento che vada in quella direzione. Al contrario, il passo avanti c’è sull’esplosivo. La cosa importante di questa perizia non è l’ipotesi sull’interruttore, ma la conferma che l’esplosivo, una miscela di tritolo e T4, era militare e che era lo stesso esplosivo in uso ai Nar. Quello è il punto chiaro. Il guaio è che il processo Cavallini viene seguito dalle televisioni e dalla stampa locale, ma non dai media nazionali. Se fosse stato seguito in tutto il Paese la gente avrebbe saputo che nell’agenda nera sequestrata a Cavallini quando venne arrestato c’erano due numeri dei servizi segreti; avrebbe saputo che Mambro e Fioravanti quando fuggirono da Bologna dopo la strage si andarono a rifugiare a Milano in un palazzo dove c’era una società di copertura dei servizi. È difficile credere che la Mambro e Fioravanti fossero degli spontaneisti armati. Erano collegati coi servizi segreti italiani. E tutta l’operazione fu pianificata coi servizi. E a proposito della pista palestinese è bene sapere che parliamo addirittura di un depistaggio preventivo per far sì che a strage avvenuta i magistrati inquirenti si trovassero una verità già confezionata. E se nel 2019 si torna a parlare dell’ipotesi palestinese vuol dire che ci sono ancora dei segreti che si fa fatica a scoprire, perché chi li ha messi in piedi 39 anni fa ha figliato e molti di questi figli sono ancora in pedana a tutelare il segreto.

Bolognesi, un’ultima domanda. Da anni i parenti delle vittime di stragi e attentati terroristici aspettano indennizzi e contributi previdenziali. C’era un emendamento del Pd alla manovra finanziaria che provava a sbloccare l’annoso nodo delle pensioni. Che fine ha fatto? Quell’emendamento era stato accolto da tutte le forze politiche, poi si è nuovamente arenato per tecnicismi nella formulazione della norma. Adesso, incrocio le dita, la questione sta andando verso una soluzione positiva. Proprio in questi giorni ho avuto un incontro al ministero del Lavoro, presente anche il presidente dell’Inps e ci siamo lasciati con l’assicurazione che la vicenda delle pensioni ai parenti delle vittime entri nella prossima finanziaria.
Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica
Pubblicato venerdì 26 Luglio 2019
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