A Lugnano, in Umbria, vicino a Città di Castello, tra colline luccicanti d’ulivi, tutti sanno dove abita Capanna. Sì, lui: Mario, il leader del ’68 e cofondatore di Democrazia proletaria. Politico di professione, si potrebbe dire, attribuendo alle due parole, politico e professione, l’accezione più nobile: chi si prende a cuore gli interessi comuni con lo “studio e ‘l grande amore” necessari per individuare problemi collettivi e la strategia più efficace per risolverli. Mario ha dedicato una vita a questa missione. Anche ora che fa orgogliosamente il coltivatore diretto. Lo troviamo facilmente, grazie alla solerzia dei suoi compaesani che parlano di lui con ammirazione, in una piccola casa isolata che domina un poggio di ulivi e la frazione di Badia Petroia. A entrambi Mario dedica le sue cure, agli uni come alberi sacri fin dall’antichità e produttori dell’“oro liquido” della terra, all’altra come luogo depositario di storie misteriose da indagare e preservare.
Ci accoglie con Ivana, sua moglie, e si dice disponibile a farsi intervistare perché si fa politica anche così. Non ha molto tempo perché sono molte le operazioni editoriali a cui si dedica. Le ultime, tra loro apparentemente diverse, sono Evo – La magia dell’ulivo e dell’olio, un libro tra prosa e poesia di Inschibboleth edizioni del giugno di quest’anno, e Il risveglio del mondo. Testimonianze sul Parlamento Mondiale di edizioni Mimesis, ancora più recente, di luglio, in cui raccoglie la voce di 38 personalità della cultura, della filosofia, della scienza, del diritto, dell’economia e della politica, dal premio Nobel Giorgio Parisi al premio Oscar Gabriele Salvatores, tutte d’accordo sulla necessità di cambiare rotta e realizzare il principio secondo cui “ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti”.
Quale il rapporto oggi tra la politica dei partiti e la società civile?
La crisi ricorrente degli ultimi governi è quella del sistema politico italiano e anche dei sistemi politici europei. I partiti sono ormai diventati comitati elettorali, inesistenti sul territorio. Parlano unicamente attraverso i media e i loro leader. La politica, per come un tempo avevamo abitudine di viverla e di chiamarla, non esiste più: è sostituita dalla propaganda che è ovviamente una merce. Viene fabbricata, venduta, comprata e ovviamente la fabbrica con più efficacia chi ha più potere, anche economico, per fabbricarla. La politica è oggi ridotta a un ruolo ancillare rispetto ai potentati economici e alla grande finanza internazionale. Questa è la ragione principale per cui questa politica, resa anemica dal suo ruolo subalterno, segue ed e-segue i diktat dei poteri dominanti. Il risultato è che la credibilità dei partiti è quasi del tutto ridotta al minimo. Non è un caso che stiamo raggiungendo anche in Italia livelli di astensionismo elettorale paragonabili a quelli degli Stati Uniti dove va bene quando vota il 40% degli elettori. La ragione essenziale è che i governi non si curano delle condizioni reali delle persone. È dal 1990 che in Italia i salari e gli stipendi sono fermi e addirittura in qualche caso diminuiti. In questi trent’anni abbiamo avuto governi tra più diversi, di centrodestra, di centrosinistra, Movimento 5 Stelle con la Lega, Movimento 5 Stelle con il Pd fino al governo Draghi, ma su questo terreno decisivo per le condizioni di vita di milioni di persone non è stato fatto sostanzialmente nulla. È la riprova che questa politica è scollegata dai cittadini, dei cui interessi reali non si occupa. Prevale appunto la propaganda e quindi l’assenza di politica nel senso vero e alto del termine.
L’anti-politica nella sua declinazione populista può essere una risposta?
Dalla padella alla brace… L’incompetenza e l’inesperienza presentate come novità sono il colmo del ridicolo. La politica non è un mestiere, ma un’arte. Così la definivano i Greci, così la definiva Plutarco. Un’arte nobile perché richiede conoscenza di tutte le altre discipline. La politica deve tener conto della psicologia, della sociologia, degli aspetti nazionali e internazionali, della sensibilità dei popoli e delle loro particolarità. L’incompetenza che sta dietro al populismo, la ricetta facile della propaganda, è l’altra faccia della politica che non c’è. Dobbiamo recuperare la consapevolezza che la democrazia si rafforza con più democrazia e che la politica, per essere in qualche modo depurata da questi vizi terribili in cui è caduta, riceve la sua forza dal massimo grado di partecipazione che significa non solo andare a votare, ma che i cittadini, tutti i giorni, facciano quello che è nelle loro possibilità per determinare le decisioni, quanto meno negli enti locali, nei Comuni, nella Regione e, di riflesso, ovviamente anche a livello nazionale. Occorre un soprassalto di consapevolezza e di spirito critico della società.
Forse è anche il coraggio di prendere posizioni non unanimistiche per sviluppare dibattito e confronto democratico. Che cosa ne dici dell’attacco all’Anpi, accusata di essere amica di Putin per la sua critica alla scelta di inviare armi all’Ucraina?
Considero ignobili gli attacchi che l’Anpi continua a subire. È chiaro che c’è un’aggressione da parte della Russia, ma anche quando il Papa parla dell’“abbaiare della Nato alle porte della Russia”, ricorda un dato reale. Non giustifica l’aggressione di Putin, però spiega le origini di questa guerra spaventosa che non coinvolge soltanto Russia e Ucraina, ma anche gli Stati Uniti e la Nato che spesso ci si dimentica di nominare. Ogni momento è possibile un incidente che potrebbe provocare un conflitto di dimensioni ancora più ampie o addirittura su scala mondiale con lo spettro delle armi nucleari. La posizione dell’Anpi è stata totalmente in linea con la Costituzione della nostra Repubblica, che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Posizione non solo coraggiosa, ma lungimirante e di buon senso. Gli attacchi sono stati assolutamente ingiustificati e provocatori con l’aggravante che spesso sono venuti dall’interno del Pd e quindi ancora più gravi.
C’è chi ha messo in parallelo l’esperienza dei partigiani italiani con quella odierna degli ucraini, perchè entrambi in guerra per la difesa della loro libertà. Questa lettura ha un fondamento?
No. Non sono due realtà paragonabili perché si pongono in contesti totalmente diversi: lì eravamo nel pieno di una guerra mondiale, qui fortunatamente ancora no. L’Ucraina è per tre quarti uno Stato sovrano che ha un esercito ed è rimpinzata di armi dai Paesi della Nato. I partigiani dovettero affrontare l’occupazione dei nazisti e i fascisti repubblichini che li sostenevano. Non avevano nessun esercito alle spalle. L’esercito di Liberazione dovettero crearselo di sana pianta. Le armi necessarie fino al primo anno di lotta andavano a prenderle dai fascisti e dai tedeschi. Non c’erano Paesi che li aiutavano. Solo quando la Resistenza divenne una realtà effettiva che impegnò intere divisioni tedesche, gli Alleati si resero conto che i partigiani potevano essere un aiuto prezioso e cominciarono i lanci delle armi. Si badi bene, non a tutte le formazioni: alle Brigate Garibaldi comuniste non veniva dato praticamente nulla se non alla fine della guerra di Liberazione qualche sporadico aiuto. I partigiani dovettero costruirsi da soli il loro presente e il loro futuro sulla base dei grandi ideali di libertà, di democrazia, di antifascismo.
Lasciamo Mario nella sua casa circondato dai libri, con il dizionario di greco sulla scrivania che ha l’aria di essere un libro di frequente consultazione. Fuori ondeggiano gli ulivi, simbolo millenario di forza, di determinazione, di pace, e le api di Mario producono “un miele squisito”. Milano è lontana, ma sentiamo la continuità delle sue scelte di vita anche nella sua sincera commozione: “Adoro le mie piante di ulivo e poi sono sempre in giro per l’Italia a fare dibattiti perché credo che la vera politica sia partecipazione. È stato così nel ’68: ognuno di noi deve fare ogni sforzo perché si propaghino al massimo spirito critico e consapevolezza cosciente. Così si fa politica”. L’invito, allora, è ancora a credere, come è stato dimostrato in quegli “anni formidabili”, che “cambiare il mondo è possibile e non perché l’ha scritto Marx, ma perché lo abbiamo sperimentato nei fatti”. Qualcosa, insomma, possiamo fare sempre e gli ulivi, con la loro millenaria presenza, sono compagni di vita e ci ricordano la poesia delle radici, quelle che ci tengono a terra e ci lanciano in cielo.
Laura Forcella Iascone, Commissione Scuola Anpi “Dolores Abbiati” Brescia
Pubblicato mercoledì 27 Luglio 2022
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