Il giurista Stefano Rodotà

Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università di Padova, lo conosceva bene. “Rodotà era un uomo veramente straordinario. Ha attraversato questi anni della Repubblica con grande coerenza nel pensiero e in ogni attività. Portando avanti le sue battaglie con lucidità e tranquilla sicurezza. E poi era dotato di una semplicità e di una gentilezza che conquistavano. Una figura unica di cui si sentirà molto la mancanza. Io ho perduto un amico carissimo”.

 Quando è nata la vostra amicizia?

Decine e decine di anni fa. Non saprei neppure indicare esattamente quando. Fra noi c’era grande sintonia. Rodotà si occupava di diritto civile. però si è sempre interessato della Costituzione e i temi che ha studiato e coltivato erano molto attinenti alla Carta. Aveva ideali profondi, impersonava l’etica repubblicana, esattamente nel senso etimologico di res pubblica, dove l’esercizio del potere non è prevaricazione o agire per il proprio tornaconto, ma essere al servizio dell’interesse pubblico, della collettività. E lo ha dimostrato. Era stato eletto alla Camera dei deputati, nel 1979, come indipendente nelle liste del Pci. Fu una stagione molto feconda dal punto di vista dell’affermazione dei diritti. Rodotà aveva sempre posizioni molto equilibrate e ha dato un enorme contributo sia alla tutela dei diritti sia a definirne il significato stesso, sempre seguendo il dettato costituzionale. Così è stato anche quando, nel 1997, è divenuto Garante della Privacy, il primo della nostra storia. Era un uomo lungimirante, ha saputo guardare lontano anche sul diritto fondamentale alla protezione dei dati personali. Il suo pensiero è ancora oggi di grande attualità. 

Stefano Rodotà con Lorenza Carlassare (da http://formiche.net/files/2016/11/STEFANO-RODOTA-LORENZA-CARLASSARE-_2_resize.jpg)

C’è un tema particolare sul quale riflettere oggi?

Da Garante, per esempio, elaborò il codice deontologico dei giornalisti. E seppe affrontare il tema della riservatezza e delle intercettazioni, riassumendo fedelmente e correttamente il pensiero costituzionale. L’articolo 6 infatti recita: “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se – badi bene, c’è un se – le notizie date non hanno alcun rilievo sulla loro vita pubblica”. Dunque, i politici non possono essere equiparati a un cittadino comune, ed è inutile che lamentino il mancato rispetto della loro privacy. Rodotà sottolineava molto la differenza tra una notizia penalmente rilevante e una senza conseguenze sanzionabili, ma quell’articolo sostiene il diritto del cittadino a essere informato quando una notizia può avere importanza per la vita collettiva. In democrazia, il cittadino ha diritto a sapere tutto di chi vota, dei suoi rappresentanti e di coloro che ci governeranno. I politici non hanno un privato, le notizie che li riguardano, quando hanno un qualsiasi rilievo nella vita pubblica o sono utili a disegnare la loro personalità, devono essere date. In linea, appunto, con la Costituzione.

La Costituzione è una bussola costante per guardare ai cambiamenti e alle nuove domande della società?

Naturalmente. Rodotà era proiettato nel futuro. I diritti crescono e lui ha dato al nostro Paese grandissimi contributi sul diritto e sui diritti in una molteplicità di settori. Per esempio sulla bioetica, della quale si interessò fin dagli anni 90. Ancora, basti pensare che già nel 1997 con il libro Tecnopolitica si interrogò sull’esercizio della democrazia attraverso gli strumenti offerti dal web. Ne mise in luce i vantaggi e rilevò i limiti e i rischi della rete. In modo approfondito, da grande studioso qual era, non come troppo spesso accade oggi. 

Con Nilde Jotti

A cosa si riferisce, in particolare?

Con tante persone che oscillano continuamente tra una posizione e l’altra. Stefano Rodotà è sempre stato un democratico di sinistra. E voglio inoltre ricordare la sua forte e coerente difesa della Carta in ogni occasione, pure nei momenti più difficili. Perché la base di ogni diritto, anche nuovo, è sempre la Costituzione. Stefano è stato un uomo coraggioso, dalla grande forza d’animo e ha voluto fare tante cose pur malato, quando la sofferenza era evidente. Fino all’ultimo. Sostenuto sempre da sua moglie Carla. A Padova ho una scuola di cultura costituzionale e lui non è mai mancato, è l’unico che ho sempre invitato, aggiungo, ed era atteso ogni anno con molto affetto. L’avevo chiamato anche per l’edizione 2017. 

E Rodotà ha partecipato?

Sì, era molto generoso. Pensavo di fargli inaugurare il corso a gennaio, ma mi aveva spiegato dei problemi e delle tante visite mediche da fare in quel periodo a Roma. «Mettimi più avanti possibile, Lorenza», mi disse. Così ho fatto e lui ad aprile ha tenuto la lezione finale. “La democrazia costituzionale, un valore da preservare” era il tema. Una lezione magnifica in una sala stracolma per dimostrare come democrazia e costituzionalismo siano imprescindibili e indivisibili.

Non esiste democrazia senza costituzionalismo?

La democrazia costituzionale è il presupposto di tutto, la garanzia di qualsiasi diritto, anche nei confronti del potere. Altrimenti chi governa ha un potere esagerato. Il potere deve essere regolato e limitato dalla Costituzione. Il potere deve essere contenuto nelle regole poste dalla Costituzione a chi esercita il potere. Non si può votare e consegnare il potere a una maggioranza che fa ciò che vuole, avremmo il potere assoluto della maggioranza, una dittatura della maggioranza. 

Si parte e si torna sempre alla Costituzione.

Non potrebbe essere diversamente. Per esempio, anche ultimamente con Rodotà abbiamo spesso ragionato sull’articolo 54, purtroppo ignorato. Quell’articolo dice: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche – e c’è il concetto di affidamento, di fiducia – devono esercitarle con disciplina e onore”. Disciplina vuol dire rispetto delle norme, onore è qualcosa di cui si è perduto il senso e l’importanza.

Rodotà parlava di impoverimento culturale. Sosteneva che la cattiva politica è figlia della cattiva cultura.

Anche in questo eravamo assolutamente d’accordo. La democrazia è cultura, lo affermo sempre in ognuno dei miei libri. Non può esserci democrazia senza cultura. Nel 1797 Giuseppe Compagnoni, titolare della prima cattedra di diritto costituzionale in Italia, diceva che la cultura è patrimonio degli uomini liberi, l’ignoranza è dei servi. Purtroppo oggi assistiamo a un degradamento continuo, progressivo, pensiamo al linguaggio utilizzato dai politici.

La discriminante antifascista era un valore ancora forte per Rodotà?

Certo, ci mancherebbe. L’antifascismo è il fondamento della Costituzione, la Costituzione ha le sue radici nella Resistenza, in quegli ideali. In occasione del referendum ero certa della vittoria del No, perché ascoltando le persone ho capito che quei grandi valori sono penetrati a fondo. A volte sembrano appannati, ma al momento buono i cittadini li difendono.

Ai funerali laici di Rodotà c’era anche tanta gente comune, dopo un lunghissimo applauso, l’ultimo saluto è stato sulle note di Bella ciao…

Mi sembra giusto e molto bello.