Anna Assandri, classe 1993, presidente della sezione Anpi di Silvano d’Orba, provincia di Alessandria, poco più a nord di Ovada, basso Piemonte. Studia Scienze ambientali all’Università di Genova. È stata eletta presidente poche settimane fa quando, il 23 gennaio, quando il comitato direttivo della sezione, su proposta della presidente uscente Patrizia Parodi e del segretario Bruno Dondo, ha avanzato il suo nominativo.
Anna, cos’è per te l’antifascismo?
Si può parlare dell’antifascismo dal punto di vista storico, un movimento che ha le sue radici nella storia italiana e ha il suo punto più alto al tempo dei partigiani. Certo, mi riconosco in questa visione dell’antifascismo. Ma attualmente l’antifascismo ha un significato più ampio, è a mio avviso un punto di vista contro qualsiasi dittatura.
Come mai sei diventata antifascista?
Tramite i nonni, che erano di quell’epoca lì; dai loro racconti ho appreso tante storie, e piano piano, con la scuola e lo studio, mi ci sono appassionata, ho approfondito. Infatti ho scritto la tesina di quinta superiore proprio su quei temi: la deportazione, il declino di Hitler, e avendo come riferimento il movimento partigiano. No, non avevo partigiani in famiglia, ma mio nonno il 24 aprile 1944, quando ci fu il rastrellamento sulla Benedicta, era diretto proprio là e, se non fosse stato per chi lo avvertì in tempo, sarebbe stato assassinato come quei poveri partigiani che fucilati nel convento della Benedicta.
Come in qualsiasi frammento di storia dell’umanità, il futuro è nelle mani delle giovani generazioni. Quella dei partigiani sta scomparendo per una legge della natura. Come può oggi l’ANPI andare dai giovani?
L’ANPI può – e deve – andare dai giovani tramite le scuole. Nei piccoli paesi l’unica cosa che possiamo fare davvero è portare queste testimonianze, i racconti dei nostri anziani, nelle scuole superiori, e dar vita a una serie di giornate – penso al 25 aprile, per esempio – entrando nelle scuole, ma non raccontando il loro significato solo come se fosse una festa, bensì parlando con un linguaggio totalmente nuovo, non pomposo, ma diretto. È l’unico modo che abbiamo per arrivare a comunicare con i ragazzi.
Sai che c’è un accordo nazionale ANPI MIUR che consente di costruire spazi della memoria e iniziative su questo tema nelle scuole.
Certo, ed è un’ottima cosa. Occorre poi una volontà diffusa nelle sezioni ANPI dei paesi, a cominciare dai loro presidenti, per concretizzare le iniziative.
Cosa possono dare oggi i giovani all’ANPI? Che marcia in più possono ingranare?
Una marcia fondamentale: la volontà di portare avanti i valori che hanno fondato la Costituzione, i valori che hanno portato i giovani dell’epoca a entrare in guerra contro un potente nemico. I giovani sono gli eredi delle lotte condotte dai partigiani, ma sono anche coloro che possono trasmettere, per così dire trasportare la memoria; questa è la marcia in più, perché quanto più i giovani potranno essere veicolo di una testimonianza, meno si andrà avanti verso il declino che stiamo percorrendo. I giovani sono un appoggio per avanzare verso un futuro migliore, che è quello che si auguravano i partigiani, quei ragazzi che sono morti in tanti proprio per questo, e cioè per dare un futuro migliore alle nuove generazioni.
Bullismo, razzismo, xenofobia, chiusura, paura, guerra: circolano valori negativi che sono l’esatto contrario dell’insegnamento della Resistenza. Come riusciamo a rimettere a valore le parole alternative, e cioè libertà, uguaglianza, accoglienza, solidarietà, pace?
È un discorso complesso, perché molte di queste parole rinviano a problemi psicologici che derivano da una società “negativa”; prendi per esempio il bullismo. Occorre invece rendere la società “positiva”; e questo è complicato perché – penso alla mia generazione – tanti ragazzi hanno una mentalità che va contro certi principi, e non riesci a smuoverli, perché dicono “sto bene io e non mi interessano gli altri”.
…eppure oggi milioni di giovani sono disoccupati…
È vero, ma finché non cambia la mentalità e non impariamo a lottare, si pensa che qualcuno provvederà. Quando io facevo il liceo erano gli stessi professori che ci dicevano “va bene così, al potere ci sono le persone giuste”. Invece si deve cambiare il sistema della società, e questo è molto difficile. Lo vedo io, lo vedono i genitori che intendono cambiare. C’è un grande egoismo, nonostante dilaghi la disoccupazione. E questo è ciò che va contrastato.
Come presidente, quali sono le tre cose più importanti che ti proponi di realizzare?
Avvicinare la gran parte dei giovani all’ANPI e ai valori della Costituzione; secondo: applicare gli ideali – a ben vedere – dell’ANPI alla società per renderla più aperta, meno rigida; terzo: riuscire a far comprendere quello che vogliamo dire alle persone più anziane di noi. E cioè che in fin dei conti noi giovani possiamo prendere delle decisioni, possiamo fare qualcosa di buono anche se non abbiamo un’esperienza, possiamo dare un contributo come nuove generazioni a dare qualcosa in più.
Cosa ti aspetti da questa ANPI, che si sta rinnovando nella continuità?
Dal congresso mi aspetto un rinnovamento che porti a considerare i giovani sempre più una risorsa. Alcune persone anziane ci considerano sì come una risorsa, ma limitata. Vorrei che non ci vedessero come una risorsa limitata, ma come qualcosa che può dare un imput in più per rafforzare la memoria. Perché, vedi, quando non ci saranno più gli anziani – e questo è inevitabile che prima o poi avvenga – se non ci siano noi a tramandare la memoria, tutto sarà disperso. Cadrà tutto. L’unica cosa che veramente preme a me è che questa leva giovanile venga considerata una risorsa, che vada formata, istruita e che impari a pensare con la propria testa.
Pubblicato venerdì 19 Febbraio 2016
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