Enzo Orlanducci, lei è figlio di un militare di leva che combatté la Resistenza, suo zio morì a Forte Bravetta, ci spiega qual è oggi l’impegno e lo scopo del sodalizio?
La nostra storia associativa riflette le vicende e le lacerazioni dei primi anni della Repubblica italiana. La memoria di una guerra è spesso ingiusta, premia i vincitori e oscura tutti gli altri. Anche la memoria della prigionia. Non va dimenticato che nel 1945 i militari italiani prigionieri erano oltre un milione e trecentomila. Una metà era stata reclusa, prima dell’8 settembre, nei campi degli Alleati – nostri ex nemici – in Usa, Egitto, Marocco, Algeria, India, Australia, Russia. Gli altri, circa 650mila, erano stati internati nei lager nazisti dopo l’armistizio. Ma se per tutti il ritorno in Patria fu difficile perché l’Italia era molto diversa da quella che avevano lasciato, il Paese guardò con sospetto i reduci dai campi Alleati e russi. Li etichettò come “fascisti”. La cattività e l’abbandono da parte della loro nazione fu però condizione comune anche degli IMI (gli Internati Militari Italiani) in Germania, Francia, Grecia, Albania, Croazia e tanti altri. Il problema principale per tutti i reduci era soprattutto il lavoro e l’inserimento nella società civile. Ricordiamoci, inoltre, che militari furono anche una parte rilevante dei partigiani combattenti. Senza la loro preparazione tecnica la Resistenza avrebbe avuto vita difficile.
Come nasce l’ANRP?
Nel dopoguerra molti prigionieri, soprattutto i “perdenti”, avevano trovato un punto di riferimento nell’Associazione Nazionale Combattenti e nell’Associazione Nazionale Reduci, entrambi gestori del patrimonio dell’Opera Nazionale Combattenti, risalente alla Prima guerra. Cioè quando eravamo “vincitori”. Nel 1947 ANC e ANR si fusero divenendo ANCR. Una consistente minoranza, di cui faceva parte anche mio padre, rifiutò la fusione e l’anno successivo fondò l’Associazione Reduci dalla Prigionia, che nel 1949 divenne Ente morale. Vi aderirono in circa 600mila, tutti giovani uomini: trent’anni l’età media. Ebbero la capacità e il merito di riunire i prigionieri di un Paese che aveva fatto la guerra a tutti e aveva prigionieri di tutti, dei nazisti ma pure degli inglesi, degli americani e dei russi.
Perdenti e vincenti della guerra, in un’Italia che si mostrò ingrata?
Già. Basti pensare che, ancora oggi, il 4 novembre invece di festeggiare la fine del Primo conflitto mondiale e la pace, celebriamo “la vittoria”. Abbiamo cercato di ricostruire la nostra storia associativa senza tabù. Secondo i documenti, politicamente l’ANRP era vicina ai socialdemocratici e alla Democrazia Cristiana. C’era però una frattura tra la base, composta da ufficiali e soldati di leva, e i vertici: per decenni, alla guida vennero indicati dei militari di carriera che dunque erano molto sensibili alle istanze delle Forze Armate. Sarebbe servita, invece, una riflessione critica collettiva a livello nazionale sulle responsabilità dei vertici militari nell’assecondare le scelte dei “politici”, sia nella Prima sia nella Seconda guerra. C’è voluto molto tempo. Dagli Anni 80, finalmente, le Forze Armate sono cambiate e studiarne la storia, nella sua interezza e complessità anche sofferta, non è più rimandabile per affrontare il futuro. È troppo semplice formulare giudizi affrettati, per scegliere bisogna essere preparati, aver studiato. Per questo puntiamo sulle nuove generazioni, sulla scuola e gli insegnanti. E noi stiamo divenendo un centro di ricerca e documentazione altamente qualificato.
Ci spiega meglio?
Poco si è riflettuto, per esempio, sulla condizione sociale dei soldati di leva prigionieri di guerra degli Alleati. L’Italia era un Paese di analfabeti, vittime della propaganda fascista per ignoranza. I prigionieri di guerra degli inglesi e degli americani dopo l’armistizio divennero cooperanti giocoforza, quasi “i facchini” delle truppe ex nemiche. Ma la guerra fu per tutti l’occasione dolorosa di una presa di coscienza democratica. Molti erano monarchici, certo, ma la maggioranza dei prigionieri di guerra credeva nei valori repubblicani. Gli archivi, le testimonianze e documenti riservano molte sorprese. La storia va studiata, e se necessario anche riscritta, rispettando la verità dei fatti. Noi italiani abbiamo responsabilità che spesso sono state negate. Altro che italiani brava gente! Abbiamo usato i gas, violando ogni convenzione internazionale. La Resistenza ci ha riscattato, certo, ma non si può glissare su quanto è accaduto.
Anche la struttura associativa si è modificata?
La società odierna, italiana ed europea, pone nuove domande e dobbiamo dare risposte consone. Nel 2013, con i protagonisti destinati a divenire sempre meno per ragioni anagrafiche, un Congresso straordinario ha preso la decisione di considerare i familiari non più simpatizzanti ma soci a pieno titolo. E nel 2016 abbiamo registrato oltre 7.000 iscritti. Non abbiamo dimenticato affatto le nostre radici ma, dopo quasi 70 anni di storia, cambiare era necessario e urgente. Sono state chiuse le antiche sezioni e aperte 21 nuove sedi, una per regione italiana. Il passato non è stato archiviato. Per esempio a Montescaglioso, in provincia di Matera, la storica sede non ha serrato i battenti ma è stata trasformata in riferimento regionale. Restiamo discendenti di militari, è nel nostro dna, ma rispecchiamo la società odierna, siamo in continua trasformazione. Il nostro attuale Presidente onorario, Riccardo Bisogniero, già generale dell’Arma dei Carabinieri e capo di Stato Maggiore della Difesa, ma non siamo mai stati militaristi. Per i prossimi due Congressi, quello ordinario e, il prossimo anno, quello straordinario per la ricorrenza del nostro 70°, abbiamo molto lavoro da fare. Contiamo di ampliare le adesioni e in progetto c’è la trasformazione da associazione a fondazione. Bisogna tenere presente che come associazione riuniamo i familiari dei prigionieri di guerra e degli internati, e il loro numero diminuisce costantemente. Una fondazione istituita dall’Associazione potrebbe avere accanto i soci sostenitori, cioè l’Associazione, e consentirci di proseguire nel nostro lavoro di ricerca.
Quali sono in particolare le attività dell’ANRP?
Abbiamo realizzato un Albo degli ex IMI dei 50mila Caduti nei lager nazisti, disponibile online. I costi, in parte, sono stati coperti dal Fondo italo-tedesco per il futuro. Abbiamo potuto accedere al Wast di Berlino, il formidabile archivio tedesco. Più difficile è stato consultare i fondi del Ministero dell’Economia e delle Finanze a Roma. Abbiamo inviato ricercatori in ogni angolo d’Europa. Ora stiamo lavorando alle vicende dei 600mila IMI sopravvissuti, ma il lavoro è estremamente complesso. Abbiamo inserito già 150mila nominativi e il complesso intenso lavoro sarà ufficialmente presentato il 27 giugno prossimo alla Ministero degli Esteri. Anche su questo argomento ci sono molti luoghi comuni da sfatare. In pochi sanno che tra gli ex IMI molti erano appartenenti alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. L’8 settembre fu uno spartiacque senza precedenti. Costrinse a riflettere e a far prendere consapevolezza anche a loro, pagandone le conseguenze a caro prezzo.
Le vostre ricerche quindi sono destinate a proseguire…
Indefessamente. Facciamo continui salti mortali per reperire le risorse finanziarie ma andremo avanti. È necessario per la democrazia italiana ed europea. Ora nella sede nazionale, a Roma, in via Labicana, una ex caserma appartenente al Ministero della Difesa, abbiamo realizzato Vite di IMI, una mostra permanente eccezionale per le fotografie, i cimeli e la documentazione proposte, provenienti dalle nostre ex sedi. È un work in progress impegnativo, anche economicamente, ma siamo intenzionati a renderla multimediale con nuovi importanti materiali. Poi c’è tanta attività con le scuole. Promuoviamo una scuola di perfezionamento, centrato sul peacekeeping, con un corso di 120 ore e una convenzione con le Università La Sapienza di Roma e per Stranieri di Perugia. Realizziamo numerosi convegni e tre libri ogni anno. Come Ente morale non possiamo avere una casa editrice. Così abbiamo spronato alcuni nostri iscritti a mettere in piedi una società editoriale ed è nata Mediascape. Abbiamo anche il mensile Liberi, distribuito gratuitamente non solo ai soci, infatti i lettori stimati sono oltre 10.000. Pubblichiamo anche il periodico Le porte della memoria”. La ricerca, insisto, deve colmare molte clamorose lacune della storia per il presente e per evitare le tragedie del passato la scuola deve abituare a pensare. Le faccio un esempio. Quest’anno nella nostra sede, con il Museo di via Tasso e l’ANEI, abbiamo promosso un corso per insegnanti romani. A loro volta i docenti hanno accompagnato gli studenti delle medie superiori a visitare la nostra mostra permanente. Vuol sapere chi erano gli studenti più interessati? I figli degli immigrati. Oggi ci sono nuove prigionie, quelle di chi fugge dalle guerre e si trova a fare i conti con nuovi muri e nuovi fili spinati.
Quali sono i buchi della storia da esplorare?
Va approfondita, per esempio, la differenza tra deportazione politica, militare e religiosa. La confusione non aiuta ad affrontare le sfide del nostro tempo. L’ANRP è l’unica associazione che si interessa, e con grande impegno, degli internati civili, cioè dei rastrellati dei nazisti costretti a lavorare nelle fabbriche in Germania o a scavare trincee. Eppure mancano sia numeri certi sia una geografia di questo tipo di deportazione. Una cifra stimata, al momento, di ben 130mila persone. Di questa categoria fanno parte i rastrellati del Quadraro, a Roma. Abbiamo voluto rendere loro omaggio con la Medaglia d’oro al merito civile a don Gioacchino Rey, il parroco del quartiere che nella capitale occupata sostenne le organizzazioni della lotta clandestina ai nazifascisti. Un altro caso sono i 140mila lavoratori emigrati in Germania prima dell’8 settembre ’43. Una parte era rientrata in Italia per le ferie estive, il resto, almeno 65mila persone, si trovava nei territori del Terzo Reich alla sigla dell’armistizio, vennero obbligati a lavorare in condizioni inumane. Erano italiani, cioè “traditori”.
Quali sono i rapporti dell’ANRP con le altre associazioni combattentistiche?
Con l’ANPI una volta i rapporti erano molto stretti, stiamo parlando dei tempi di Arrigo Bodrini. Poi le relazioni si sono affievolite, con alcune eccezioni, naturalmente. Abbiamo provato a ottenere i risarcimenti dalla Repubblica Federale Tedesca per le sue responsabilità durante la Seconda guerra. Adesso la collaborazione è ripresa per riuscire a rendere disponibile il fondo Ricompart versato all’Archivio Centrale dello Stato, e insieme abbiamo operato per la mozione sulle stragi nazifasciste approvata dal Parlamento. Ci dovremmo interrogare sul ruolo oggi delle associazioni combattentistiche e partigiane. Alcune hanno una storia gloriosa ma i testimoni e i protagonisti stanno scomparendo. Abbiamo però una responsabilità enorme verso le nuove generazioni. Non hanno più senso i distinguo. Rischiamo di tradire la memoria democratica di cui siamo portatori. Da parte mia, sarei anche disposto a fare un passo indietro e dimettermi dall’ANRP pur di realizzare una struttura adeguata unitaria.
Lei Orlanducci è entrato nel Guinness dei primati con la bandiera italiana più lunga del mondo, 1.797 metri…
Fu una sorta di sfida. Era il 1999 e per il Bicentenario del Tricolore era stato costituito un Comitato per le celebrazioni. Un generale dell’Esercito, responsabile delle attività, mi sollecitò ad avere un’idea nuova. Pensai a una lunghissima bandiera. Allora sfilò a Roma dal Campidoglio al Colosseo. Ricordo che in molti ci accusarono di essere di destra per aver voluto omaggiare la nostra bandiera. Negli anni successivi abbiamo portato in giro per il mondo il lunghissimo Tricolore, con soddisfazione. Lo scorso 7 gennaio a Reggio Emilia per i 220 anni del Tricolore, è stata sorretta anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una gran bella soddisfazione.
(le foto della Mostra permanente sono tratte dal sito http://www.anrp.it/)
Pubblicato giovedì 25 Maggio 2017
Stampato il 04/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/nuovi-fili-spinati-uniamoci/