(Imagoeconomica)

In bilico tra emergenza sanitaria e crisi economica, il 2020 e il lockdown hanno “dirottato”, soprattutto nella prima fase, le abitudini di acquisto dei consumatori. Dal focus marcatamente sui beni di prima necessità, lo shopping online ha assunto molti volti. Nell’ultimo trimestre, l’Istat ha registrato un’impennata del 29% delle vendite online, a fronte delle vendite alimentari crollate del 13,5% nei tradizionali negozi. E i dati fanno riflettere, perché diventano strumento per provare a decodificare un anno anomalo come questo. Cifre che tratteggiano nuovi fenomeni, che la pandemia ha creato o acuito, rivoluzionando abitudini e riti.

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Qualche decennio fa, si iniziava a parlare del “villaggio globale” in un’ottica possibilista, oggi, in questa situazione eccentrica, globalmente possiamo contare i danni diretti e i riverberi disastrosi di un’economia sbilenca, la cui zoppia è stata acuita dall’emergenza sanitaria.

Il primo dato che emerge prepotentemente è il drastico calo delle vendite relative ai servizi: la chiusura di teatri e musei e l’annullamento degli eventi ha creato un flusso pressoché ininterrotto (salvo brevi periodi di caute riaperture) che ha pesantemente inciso sul bilancio.

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Il settore ticketing, infatti, ha subito un crollo verticale, insieme a quello, facilmente intuibile, dei trasporti. Le forti restrizioni sugli spostamenti, sia sul territorio nazionale che, in misura più massiccia, in ambito europeo e intercontinentale, ha determinato un calo nelle vendite di biglietti e dei servizi correlati. Fatta eccezione per le vacanze estive, durante le quali si è registrato (per cause di forza maggiore!) un sensibile aumento delle preferenze delle mete italiane, il blocco di turismo e trasporti ha visto un calo di oltre 7 miliardi nel comparto nazionale. Di contro, forse complice il periodo di grande instabilità, i contratti assicurativi sono aumentati del 6%.

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Sul fronte della ristorazione, chiusure e restrizioni sugli orari di apertura di bar, pub e ristoranti hanno decretato un sensibile aumento dei consumi tramite servizi di take away e delle app di food delivery, rinvigorendo tutte le problematiche legate alla dibattuta questione dei rider.

Accanto a questo dato, compare quello dell’effetto domino delle chiusure: un numero esiguo di viaggiatori, come si è visto, ha ridotto sensibilmente anche il volume d’affari per attività ristorative e negozi in stazioni e aeroporti: significa incassi irrisori che, nei mesi, portano (e continuano a portare) a chiusure temporanee o definitive. Parlare di scadenze fa venire in mente le merci deperibili e il settore della ristorazione, certo, ma ci sono altro genere di “scadenze”, afferenti a una sfera più sociale.

(Da pinterest.it)

È il caso dell’abbigliamento che, soggetto a mode e collezioni, può essere trattato quasi alla stregua di una merce non immagazzinabile. E, dunque, la chiusura forzata per i mesi primaverili ha indotto i marchi, soprattutto quelli di fast fashion, a riproporre in vendita i vestiti “scaduti”, re-immettendoli sul mercato online e offline a prezzi ridotti, poiché al pari di merce fallata.

E se, prima della pandemia, gli ambiti maggiormente interessati dall’e-shopping erano quelli di abbigliamento, arredamento e tecnologia, beni di largo consumo e di utilizzo quotidiano ma non strettamente legati alle necessità primarie, il covid-19 ha orientato diversamente anche le preferenze, allargando l’utilizzo della pratica degli acquisti online anche ai beni di prima necessità.

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Il settore della sanità, grazie alle ICT (Information and communicaton technologies) ha consentito al cittadino l’acquisto di servizi online, così come farmacie e parafarmacie hanno visto aumentare in modo considerevole il fatturato relativo alle vendite su internet, accompagnato da un progressivo e sempre più consistente utilizzo di modalità di pagamento smaterializzate.

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Un commercio online che implica in modo naturale un utilizzo sempre più esiguo dei contanti in favore di circuiti elettronici, carte di credito e bonifici online. In questo ambito, non è affatto trascurabile il dato sui pagamenti contactless, che l’emergenza sanitaria ha fatto salire all’87% del totale: una tecnologia capace di rassicurare, riducendo gli scambi di denaro e i passaggi di carte, potenzialmente rischiosi. È facile intuire come le quotidiane raccomandazioni da parte delle istituzioni abbiano giocato un ruolo di rilevanza, sensibilizzando gli acquirenti e influenzandoli nelle loro abitudini.

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Nella fase di lockdown, inoltre, è stata interessante la ripartizione dei dispositivi in base agli importi degli ordini via web: si stima, infatti, che gli acquisti superiori ai 75€ siano stati fatti da computer, mentre quelli di modeste proporzioni, da smartphone. Questo ha rappresentato un dato rilevante per i marchi, che hanno, così, iniziato a elaborare o implementato le cosiddette strategie “omnichannel”, capaci di potenziare l’efficacia del marketing grazie all’intersezione di tecnologie e dispositivi.

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Stando alle statistiche, il 2020 potrà chiudersi con un aumento del 26% delle vendite online rispetto all’anno precedente, con formule ibride di acquisto e consegna a domicilio, o con la funzione “click & collect”, che prevede di acquistare online e ritirare in un punto vendita e che lo scorso maggio ha visto un incremento del 349%.

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In uno scenario in profonda mutazione, è indicativo riflettere su come il lockdown abbia agito sottopelle, aprendo nuovi scenari del tutto inaspettati. Già lo scorso aprile, infatti, gli psicologi avvertivano sugli effetti del cosiddetto “revenge shopping”. Tradotto letteralmente, “lo shopping della vendetta”: in altre parole, una manifestazione di ottimismo, coincisa in gran parte con la fine della fase 1, in cui l’acquirente ritrovava fiducia nel futuro. Il fenomeno, conosciuto anche come “revenge spending”, evidenziava la prospettiva di una vita dopo e oltre il lockdown e ha indotto moltissimi a spendere in acquisti (prevalentemente online), ma in un modo nuovo.

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Rispetto alle spese che avevano caratterizzato tutto il mese di marzo, legate strettamente a beni di prima necessità, i consumatori avevano iniziato a rivendicare una propria autonomia. Rispondere alla crisi con un «io ci sono» significava, dunque, volgere lo sguardo verso il futuro, in modo più positivo, e verso di sé, gratificandosi con acquisti non indispensabili. Cedere al superfluo, per sentirsi “normali”, proiettati alla vita prima della pandemia. Prima che in Italia, questo comportamento d’acquisto sui generis era già stato notato in Cina dove le boutique di alta moda erano state prese d’assalto alla riapertura, registrando incassi sorprendenti anche per fasce di mercato così alte.

Durante il lockdown, si sentiva fare spesso riferimento alla “natura che si riprende i suoi spazi”: si era parlato anche di un drastico calo delle emissioni di CO2. Nel valutare l’una e l’altra faccia della medaglia, però, ci si è resi conto che, a fronte di industrie chiuse e spostamenti inibiti, l’aumento esponenziale delle vendite online ha, inevitabilmente, acuito anche la problematica del trasporto su gomma. Non solo: le opzioni di consegna rapida, che consentono di ricevere in giornata i prodotti acquistati, sono un grande vantaggio per l’acquirente, che può disporre dopo poche ore della merce, ma non per l’ambiente. Le consegne in 24h, infatti, non tengono conto della razionalizzazione degli spazi e dell’organizzazione logistica in funzione dell’ottimizzazione di percorsi e carichi, e portano a un consumo incontrollato di carburante.

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Attitudini e intenzioni di acquisto, così profondamente mutate a causa della pandemia, hanno pesantemente inciso anche sugli aspetti patologici legati agli acquisti, come shopping compulsivo e ludopatia. Quest’ultima, ha mostrato una nuova faccia, non meno allarmante, come dimostrato dal Telefono verde nazionale per le problematiche legate al gioco d’azzardo, servizio dell’Istituto superiore di sanità. Durante il lockdown, infatti, le richieste arrivavano prevalentemente dai ludopati (e non dai loro familiari, come abitualmente avviene) attraverso telefonate della durata media di 40 minuti, in cui si manifestava bisogno di conforto e vicinanza.

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Un periodo, quello legato alla pandemia e alle sue fasi, ancora in fieri  e che si prospetta già come materia di studio per i settori del marketing e della psicologia della pubblicità. Con buone probabilità, questo periodo pone le basi per l’instaurazione di un nuovo modo di intendere gli acquisti online: decadute le diffidenze e le perplessità, affiora la fiducia dell’utente che, in mesi di distanziamento sociale, vede proprio nell’avvicinamento al prodotto l’unico contatto benefico, consentito e legittimato.