Gorizia, manifestazione a ricordo del 77esimo della battaglia di Gorizia-Gorica

Organizzata dal comitato provinciale dell’Anpi e dalla sezione goriziana, si è tenuta sabato 19 settembre nel piazzale della stazione ferroviaria la cerimonia commemorativa in ricordo di due importanti eventi della lotta di Liberazione al confine orientale: la costituzione della “Brigata Proletaria” e la battaglia partigiana di Gorizia combattuta contro i tedeschi nel settembre del 1943 dai partigiani italiani e sloveni.

Sono intervenuti la presidentessa dell’Anpi di Gorizia, Anna Di Gianantonio e, per il comitato provinciale, il presidente Ennio Pironi e Vili Princic, mentre ha tenuto l’orazione ufficiale chi scrive, Luciano Patat.

Nella notte fra il 10 e l’11 settembre 1943 nel villaggio carsico di Ville Montevecchio, a una decina di chilometri da Gorizia, si costituisce una brigata partigiana, forte di 800 uomini e donne, soprattutto lavoratori delle fabbriche di Monfalcone, a cui viene dato il nome di “Brigata Proletaria” perché in larga parte costituita da uomini che indossano il “terlis”, la caratteristica tuta blu degli operai dei cantieri navali.

Questi uomini, assieme alle formazioni partigiane slovene, sono i protagonisti della battaglia partigiana di Gorizia che si protrae per quasi tre settimane, dal 12 al 30 settembre, e impegna prima una e poi due divisioni germaniche.

La decisione di costituire una formazione partigiana prende forma nella notte fra l’8 e il 9 settembre 1943 quando, poche ore dopo l’annuncio radiofonico dell’avvenuta firma dell’armistizio con gli alleati, si riuniscono a Monfalcone i dirigenti locali dell’organizzazione clandestina comunista che decidono di proclamare per l’indomani lo sciopero nelle fabbriche, di costituire un Comitato unitario dei partiti antifascisti e di intraprendere la lotta armata contro i tedeschi che hanno iniziato l’invasione dell’Italia.

La mattina del 9 settembre gli operai del cantiere navale e delle altre fabbriche monfalconesi scendono in sciopero e per due giorni danno vita a cortei e comizi in città.

Dopo aver chiesto invano al locale presidio militare la distribuzione delle armi ai volontari e dopo l’insuccesso del tentativo di costituire un Comitato d’azione unitario (oltre al Partito Comunista, non esistono in città altri gruppi politici organizzati), la mattina del 10 settembre l’ex condannato politico comunista Ferdinando Marega, davanti a una numerosa folla di lavoratori e di cittadini, tiene un comizio in piazza a Monfalcone in cui, a nome del partito, invita i presenti a salire sul Carso e a unirsi ai partigiani sloveni per combattere i tedeschi che stanno scendendo dai valichi di frontiera.

Nel primo pomeriggio, dopo aver recuperato le armi e i materiali abbandonati dai soldati italiani in fuga ed aver distrutto gli aerei e gli impianti militari della pista d’aviazione di Ronchi dei Legionari, inizia il concentramento dei volontari alla vicina cava di Selz e, con i camion dei cantieri navali, il trasferimento dei volontari a Ville Montevecchio, dove si è insediato il comando del Fronte di Liberazione Sloveno, che dirige l’insurrezione nazionale in atto nei paesi del Litorale Adriatico.

Da Wikipedia

Con l’aiuto delle già esperte formazioni partigiane slovene, che da oltre un anno sono presenti sul territorio provinciale, viene costituita la brigata, strutturata su tre battaglioni. Al comando dei reparti vengono nominati combattenti già esperti di lotta partigiana, che già militano nelle formazioni slovene, o ex ufficiali dell’Esercito, mentre i commissari politici vengono scelti fra i dirigenti comunisti da pochi giorni rientrati a casa dalle carceri e dalle località di confino in cui erano stati inviati dal Tribunale Speciale fascista.

La brigata viene posta alle dipendenze operative del Comando militare della Slovenia occidentale che coordina l’attività di altre cinque brigate slovene: “Goriska”, “Gregorcic”, “Kosovel”, “Preml-Vojko” e “Soska”. Nella notte fra l’11 ed il 12 settembre la “Brigata Proletaria” riceve l’ordine di trasferirsi a Gorizia per rafforzare lo schieramento partigiano che è attestato su un vasto fronte che da nord a sud cinge la periferia della città e che si appresta a fronteggiare l’imminente arrivo dei tedeschi.

I reparti proletari prendono posizione nella zona meridionale della città, sulle alture del monte San Marco e del monte Grado e lungo la strada del Vallone che porta a Monfalcone. Il loro compito è quello di bloccare le comunicazioni stradali e ferroviarie per Trieste e per la valle del Vipacco.

Il cippo a Selz in memoria della Brigata Proletaria
Il cippo a Selz in memoria della Brigata Proletaria

I partigiani della “Proletaria” occupano la stazione meridionale di Gorizia e quella di Valvolciana, distruggono le attrezzature militari e gli aerei del vicino campo di aviazione di Merna, fanno saltare ponti stradali e ferroviari e mettono fuori uso diversi tratti di binari della linea per Trieste.

La battaglia partigiana inizia nel tardo pomeriggio del 12 settembre quando le prime truppe germaniche provenienti da Udine attraversano l’Isonzo ed entrano a Gorizia e un reparto di carri armati e di artiglieria inizia il bombardamento dell’area ferroviaria presidiata dai partigiani del secondo battaglione della “Brigata Proletaria”.

La disparità delle forze e dell’armamento rendono però impossibile ai partigiani qualsiasi resistenza e di conseguenza il comandante del reparto, lo studente di medicina ed ex sottotenente di complemento dell’Esercito, Giuseppe Petroni “Bobo”, ordina il ripiegamento: in questa fase della battaglia cadono i primi combattenti della brigata, sei operai del cantiere navale di Monfalcone.

Dopo l’ingresso delle truppe tedesche a Gorizia i reparti partigiani italiani e sloveni arretrano le loro posizioni e si attestano sulle colline circostanti occupando le vecchie fortificazioni e le trincee della prima guerra mondiale, da dove tengono sotto tiro la città e le vie di comunicazione stradali e ferroviarie per Trieste e per l’Austria.

Il generale SS-Oberst-Gruppenführer Paul Hasser

Nei giorni successivi i combattimenti proseguono con intensità in varie zone attorno alla città e all’aeroporto di Merna, che viene preso e ripreso più volte, lungo le sponde del fiume Vipacco e le linee ferroviarie e stradali per Trieste, di cui invano i tedeschi cercano di prendere il controllo: ai bombardamenti dell’aviazione e dell’artiglieria e agli attacchi delle colonne motorizzate nemiche i partigiani rispondono con contrattacchi e colpi di mano che respingono i tedeschi e li costringono a rientrare alle basi di partenza.

Per diversi giorni la situazione militare sul campo rimane immutata con i tedeschi che presidiano il centro cittadino ma, nonostante le continue puntate offensive, non sono in grado di sloggiare dal territorio circostante i partigiani, che a loro volta non hanno l’interesse di occupare la città e sono impegnati a rafforzare e organizzare i reparti e soprattutto a raccogliere i materiali militari e le armi, anche pesanti, abbandonate in grande quantità nei magazzini e nelle caserme o sottratte alle migliaia di soldati italiani in fuga verso casa.

La situazione sul terreno si modifica quando giungono di rinforzo alla 71^ divisione tedesca, che già occupa Gorizia, la 44^ di fanteria germanica e alcuni reparti motorizzati della 162^ divisione turkestana. Con queste nuove truppe il generale Paul Hasser può dare inizio all’offensiva che, secondo le direttive espressamente emanate da Hitler, prevede l’accerchiamento e l’annientamento delle formazioni partigiane, la fucilazione sul posto dei combattenti presi prigionieri e la deportazione di tutti gli uomini dal 15 ai 70 anni catturati nelle zone rastrellate.

Targa in memoria degli antifascisti italiani e sloveni apposta lo scorso anno da Anpi-Vzpi e Aned sulla facciata del carcere cittadino

L’offensiva tedesca inizia il 25 settembre e si conclude, dopo sei giorni di combattimenti, il 30. I partigiani contrastano l’avanzata nemica con imboscate e contrattacchi ma evitano di impegnarsi in scontri frontali e prolungati e si sganciano, parte ritirandosi a nord sui monti della Selva di Tarnova e parte defluendo a sud verso la pianura.

I partigiani della “Proletaria” sostengono l’ultimo combattimento il 28 settembre attorno al villaggio carsico di Ranziano, dove i reparti si frazionano in piccoli gruppi: alcuni si aggregano alle formazioni slovene e si rifugiano nei boschi del Tarnovano, altri sfilano fra le truppe tedesche e rientrano nei paesi di provenienza: di fatto la “Brigata Proletaria” si scioglie.

Sono oltre cento i partigiani della “Proletaria” che perdono la vita nei combattimenti, numerosi sono i feriti e diversi i prigionieri, in seguito deportati nei campi di concentramento tedeschi.

Slovenia, monumento in omaggio al Battaglione Triestino

L’esperienza della brigata, però, non si conclude perché pochi giorni dopo la fine della battaglia, il 12 ottobre, alcuni reduci costituiscono nel paese carsico di Opachiesella una nuova formazione partigiana, il “Battaglione Triestino”, mentre altri, rientrati a casa e ripreso il lavoro, danno vita alla resistenza armata in pianura e nei paesi del Monfalconese e della Bassa friulana costituiscono i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e l’intendenza  “Montes”, che fino al termine della guerra riuscirà a raccogliere e ad inviare alle formazioni partigiane italiane e slovene del Carso e del Collio grandi quantità di rifornimenti.

La vicenda della “Brigata Proletaria” e la battaglia partigiana di Gorizia rappresentano fatti di grande rilevanza non solo per la storia delle terre del confine orientale ma anche per quella dell’intera Nazione. Sono stati eventi unici, che non trovano riscontri analoghi sul territorio italiano: la “Brigata Proletaria” è infatti la più grande formazione partigiana che si costituisce nel nostro Paese dopo l’8 settembre 1943 mentre la battaglia partigiana di Gorizia è stata la più lunga e intensa battaglia che ha avuto luogo in Italia all’indomani dell’armistizio, che ha visto combattere fianco a fianco partigiani italiani e partigiani sloveni e che è stata citata nei bollettini di guerra del comando supremo della Wermacht.

Luciano Patat