L’Alleanza Atlantica è ormai da molto tempo la più longeva coalizione politico-militare della storia, dopo l’alleanza (societas) romano-italica del III-I secolo a. C. e il Sacro Romano Impero (800-1805 d. C.). Fondata a Washington il 4 aprile 1949 per “tenere gli americani dentro, i russi fuori e i tedeschi sotto” (come disse brutalmente ma efficacemente il suo primo segretario generale, il britannico Lord Ismay), contava inizialmente le tre maggiori potenze anglofone dell’Atlantico Settentrionale (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada), e nove paesi dell’Europa continentale (Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Norvegia, Islanda, Portogallo e Italia).
Nel 1952, in risposta al fallimento del Patto Balcanico, l’Alleanza incluse anche Grecia e Turchia, e nel 1955 anche la Germania Ovest, provocando la creazione del Patto di Varsavia tra l’URSS e i “satelliti” dell’Europa centrale e balcanica.
La fondazione dell’Alleanza concludeva la fase interlocutoria seguita alla vittoria delle Nazioni Unite nella seconda guerra mondiale e all’inizio della guerra fredda, e rispondeva alla strategia del “contenimento” del “blocco comunista”. Basata su un mix tra blocco economico e dissuasione militare (arsenale nucleare e ingenti forze convenzionali in grado di fermare offensive sovietiche sul fronte centrale e aggiramenti aeronavali alle ali e di essere prontamente sostenute dal Nordamerica), la Nato ha assicurato la pace in Europa e raggiunto un grado di cooperazione militare interalleata senza precedenti nella storia.
L’adesione al Patto Atlantico e poi l’impegno nella Nato non sono stati però privi di difficoltà e contestazioni, sia fra i governi alleati che all’interno degli stati membri. Ricordiamo ad esempio la resistenza francese ad una piena integrazione della difesa nazionale e la polemica statunitense contro la scarsa propensione dell’Europa a condividere gli oneri della sicurezza comune e ad allinearsi con la politica estera americana. Ma anche la dissociazione americana (e italiana) dall’intervento anglofrancese a Suez (1956) e le tensioni tra l’Italia e gli altri partner sulla questione di Trieste, sulla cooperazione economica con l’Iraq, l’Iran e l’Urss, sulla guerra di liberazione algerina, sulla rivoluzione libica, sulla causa palestinese, fino al famosi scontro di Sigonella e ai contrasti in Somalia. E poi, in America, la contestazione dei movimenti isolazionisti, antimilitaristi e pacifisti e, in Europa, quella dei partiti antiamericani, filosovietici o neutralisti.
L’adesione dell’Italia alla Nato fu inizialmente osteggiata dalla Gran Bretagna e imposta dalla Francia e dagli Stati Uniti per non trovarsi i sovietici nella Pianura Padana e sulle Alpi occidentali. La posizione di Londra si spiega. In quel momento il Mediterraneo era ancora un lago britannico e l’ingresso dell’Italia nella NATO significava dover tornare a fare i conti con un antagonista potenzialmente pericoloso per la stabilità di quel che restava dell’Impero. E in effetti la Nato aiutò l’Italia a riguadagnare rapidamente il proprio rango internazionale, a cominciare dalla creazione del Comando delle Forze Terrestri del Sud Europa, che includeva gli eserciti italiano, greco e turco ed era affidato a un generale italiano, fino al ruolo abilmente giocato dai governi della Prima Repubblica nel Mediterraneo Centrale e poi in Medio Oriente, aiutando, nel nostro interesse nazionale, la politica degli Stati Uniti volta a subentrare nelle tradizionali aree di influenza geopolitica dei due ex-imperi coloniali europei, conseguendo con la moderazione e la cooperazione tutti quei risultati che il regime fascista si era illuso di conseguire con i proclami tonitruanti e con l’uso della forza.
In Italia l’adesione fu caldeggiata solo dalla minoranza liberaldemocratica: lo stesso partito cattolico avrebbe preferito una alleanza puramente bilaterale con gli Stati Uniti al solo scopo di difesa dalla temuta insurrezione comunista. Fu infine De Gasperi a imporre alla DC la linea atlantista, pur con tre astensioni, tra cui quella del futuro presidente Giovanni Gronchi. In Parlamento votarono contro le Sinistre e il MSI, e il PCI organizzò anche una serie di manifestazioni pacifiste accusando la Nato di voler preparare l’aggressione al Blocco Socialista. L’adesione dell’Italia al Patto Atlantico fece slittare di sei anni pure la nostra ammissione nelle Nazioni Unite, per via del veto sovietico che condizionava il suo consenso all’uscita dell’Italia dalla NATO. La pregiudiziale atlantista (il cosiddetto “fattore K”) stabilì il perimetro del governo possibile in un Paese di cruciale importanza strategica, e di fatto prevalse sulla pregiudiziale antifascista, precostituendo il MSI (che accettò la Nato nel 1953) come “riserva” dei governi atlantisti. L’apertura a sinistra e i governi di centrosinistra furono resi possibili dal superamento del neutralismo socialista, proclamato nel gennaio 1962 da Pietro Nenni, con la formula della “Nato male minore”. Lo stesso processo avvenne nei primi anni Settanta nel PCI di Berlinguer: già nel luglio 1973 (prima ancora cioè della svolta indotta dall’esperienza “cilena”), la Direzione del Pci espulse l’ala filosovietica e varò il sostegno al secondo grande riarmo atlantico dell’Italia (le famose leggi promozionali volute non solo dalle industrie a partecipazione statale e dalla Fiat, ma anche dalla Triplice sindacale). Processo proseguito nel 1975-77 con la formale accettazione comunista della Nato, lo strappo da Mosca e il sostegno del PCI al mantenimento del servizio militare obbligatorio nell’ultimo e cruciale decennio della guerra fredda. Ciò non impedì peraltro un’ultima grande mobilitazione “pacifista” sulla scelta del governo italiano di accettare lo spiegamento degli Euromissili per sventare il tentativo sovietico di usare il suo potenziale missilistico per dividere la sicurezza europea da quella del continente Nordamericano (il cosiddetto “decoupling”). Peraltro, diversamente dalla mobilitazione apertamente filosovietica del 1949-50, quella del 1983-85 fu piuttosto una propaggine italiana del movimento antinucleare nato negli Stati Uniti e sostenuto dalla componente liberal ed ecologista dei democratici (il cosiddetto “freeze”). Il suo effetto fu paradossalmente quello di contribuire alla svolta filoamericana della Sinistra italiana.
Caduto il Muro e finita l’Unione Sovietica, cessò anche la ragione ideologica da cui dipendevano le simpatie di gran parte della Sinistra europea nei confronti ella Russia. Prima del 1917, infatti, la Sinistra democratica, liberale e socialista, sostenitrice del progetto mazziniano e marxista di “liberazione dei popoli slavi” (La Santa Alleanza delle Nazioni contro la Santa Alleanza dei Troni), aveva avuto una pregiudiziale ostilità verso il modello autocratico russo. Logico quindi che dopo il 2001, anno del ritorno della Russia al modello politico presovietico, questo fosse sostenuto dalla destra e avversato dalla sinistra.
Ciò contribuì non poco a creare un consenso bipartisan e pressoché unanime alla partecipazione dell’Italia non solo alla Nato, ma alla creazione di forze professionali specializzate negli interventi all’estero e ad approvare a prescindere qualsiasi intervento deciso dagli Stati Uniti. Interventi ben diversi da quelli degli anni 60-80, tutti avvenuti nel quadro ONU, accettati da entrambe le parti in conflitto e strettamente limitati all’interposizione e al mantenimento della pace. Quelli avvenuti a partire dalla guerra per la liberazione del Kuwait (1990-91) sono stati invece interventi armati (blocco e bombardamento aereo, invio di consiglieri e istruttori delle forze locali amiche e schieramento sul terreno di forze di stabilizzazione) di “imposizione della pace”, giustificati sotto il profilo formale in nome dei “diritti umani” e del principio del “dovere di ingerenza umanitaria” e della “responsabilità di proteggere” (peraltro applicata ovviamente in modo selettivo in riferimento agli interessi geopolitici della potenza egemone).
Nata nel 1949 come sistema di difesa collettivo limitato nello spazio (al territorio metropolitano degli stati membri, incluso inizialmente il Nordafrica francese) e nel tempo (vent’anni), strettamente difensivo (aggressione armata esterna) e non automatico (non risposta militare immediata, ma preceduta da consultazioni politiche), nel 1969 la Nato assunse durata illimitata (con facoltà di recesso da parte dei membri), nel 1991 stabilì una Partnership for Peace con la Russia e iniziò un processo di allargamento a Est, arrivando a includere tutti i Paesi dell’Ex-Patto di Varsavia e parti dell’ex-Urss (i tre paesi del Litorale Baltico, più accordi con Ucraina, Georgia, Azerbaijan e Mongolia) e dell’ex-Jugoslavia. Inoltre nel 1999, in occasione del suo 50° anniversario, fu trasformata in alleanza globale e proattiva, con interventi armati contro la Serbia e contro i Talebani in Afghanistan, fuori dall’area coperta in origine dal Patto Atlantico.
La NATO continua ad essere il principale sistema di sicurezza collettiva del mondo, col più alto grado mai raggiunto nella storia di standardizzazione delle forze nazionali, e ad essere la spada e lo scudo occidentali nei confronti della Russia (guera fredda 2.0, con schieramento avanzato di piccoli contingenti italiani in Islanda, Polonia e Paesi Baltici). Vi sono però contraddizioni interne (crisi con la Turchia, dopo le velate accuse di Ankara di sostegno atlantico al fallito colpo di stato del 2017: polemiche di Trump sul burden sharing con l’Europa e sull’obsolescenza dell’Alleanza, concorrenza di altri sistemi di sicurezza nei Paesi del vecchio impero asburgico e del Trimarium (ndr: patto che su iniziativa polacca raggruppa dodici Paesi, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Austria, Slovenia, Croazia, e tocca il mar Baltico, il mar Nero e l’Adriatico).
Virgilio Ilari, storico militare ed accademico
Pubblicato mercoledì 27 Novembre 2019
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