Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Il 19 luglio di 25 anni fa perdeva la vita nell’attentato di Via D’Amelio, a Palermo, il giudice Paolo Borsellino. Un evento che sconvolse letteralmente l’Italia anche perché 57 giorni prima Giovanni Falcone aveva subito la stessa sorte nell’orribile esplosione che fece saltare un tratto di autostrada dove il magistrato transitava con sua moglie e la sua scorta.

Falcone e Borsellino erano e restano nell’immaginario nazionale la rappresentazione più limpida e appassionata del senso del dovere. La loro intera esistenza è lì a testimoniarlo. La caparbia intelligenza spesa nella ricerca della verità, l’abnegazione quasi maniacale – le notti spesso confuse col giorno – la divisa del servitore dello Stato mai tolta, neanche nei rari momenti extraprofessionali, familiari. Ma erano anche di più questi due uomini. Erano amici. Un sentimento che qualcuno potrebbe considerare “coatto” vista la quantità di tempo trascorso insieme, ma che ha avuto prove e parole di suggestiva intensità. E brillante autenticità. E allora abbiamo pensato, per ricordare l’anniversario della strage di Via d’Amelio, di pubblicare il video dell’intervento di Borsellino (che fu anche la sua ultima apparizione pubblica) nel corso dell’incontro «Ma è solo mafia?» promosso dal movimento La Rete e da Micromega e tenutosi nell’atrio della Biblioteca comunale di Palermo il 25 giugno 1992. Ebbene, il magistrato parlò solo di Falcone. Con commozione, seppure velata, e con rabbia. Rievocò così un fatto a seguito del quale l’amico “cominciò a morire”. Il 19 gennaio del 1988 era riunito il CSM per nominare il nuovo Capo dell’Ufficio d’istruzione del Tribunale di Palermo, il successore, dunque, di Antonino Caponnetto. Tra i candidati c’era anche Falcone. Con motivazioni “risibili”, disse Borsellino, la scelta cadde su Antonino Meli. Il clima era fortemente segnato da una pesante e inquietante diffidenza nei confronti di Falcone.

Da http://www.antimafiaduemila.com/images /stories/loghi_tm/-MONTAGA-MERDA.jpg

Tra i sostenitori della sua candidatura, lo ricordiamo con emozione e orgoglio, ci fu Carlo Smuraglia, allora membro del CSM: «Si debbono scegliere uomini che abbiano anche una particolare conoscenza del fenomeno mafioso, perché istruire un processo in materia di mafia non è la stessa cosa che istruire un processo per furto. Al riguardo è da ricordare che una parte della magistratura ha aiutato tutti a compiere passi in avanti nella conoscenza della mafia anche dal punto di vista culturale. Se il maxiprocesso di Palermo si è potuto celebrare, lo si deve anche a chi ha saputo condurre l’istruttoria nel rispetto delle regole e adottando tecniche di indagine estremamente sofisticate: ciò è stato fatto dall’ufficio istruzione di Palermo e in particolare dal dott. Falcone. L’opinione pubblica non chiede di assegnare un premio, perché non di questo si tratta, ma di compiere scelte sicure e trasparenti, che tranquillizzino anche la collettività».

Paolo Borsellino raccontò il fatto come se in qualche modo avesse trasferito nelle vene e nella coscienza le amarissime sensazioni di Giovanni. L’insopportabilità di quel colpo.

L’amicizia era profonda e ancora viva.