Comitato di Liberazione Nazionale
 per l’Alta Italia
Corpo Volontari della Libertà

Comando generale l’Italia Occupata

2 dicembre 1944

Prot. N. 165
A tutti i Comandi Regionali, 
Al Comando della Valsesia
Al Comando della Val d’Ossola
Al Comando piazza di Milano

Oggetto: istruzioni del Gen. Alexander per la campagna invernale

Le istruzioni date dal generale Alexander per la campagna invernale hanno provocato discussioni a proposito del loro significato e della loro portata. Alcuni comandi regionali si sono fatti eco di queste discussioni ed hanno chiesto spiegazioni e direttive al Comando generale del C.V.L.

È opinione di questo comando che si debba reagire nel modo più fermo alle interpretazioni pessimistiche e disfattiste che da alcuni sono state date a queste istruzioni. Esse non significano affatto un rinvio di ogni prospettiva insurrezionale a dopo l’inverno; esse non significano che si debba passare alla smobilitazione delle forze partigiane.

Le istruzioni dicono testualmente: “la campagna estiva è finita, ed ha inizio la campagna invernale”, dove “campagna invernale” non può certamente significare “stasi invernale”.

Luigi Longo, il comandante delle Brigate Garibaldi e vicecomandante del CVL

Quando al Comando generale del Corpo Volontari della Libertà, il “braccio armato” del CLN Alta Italia, giunge la notizia del “proclama Alexander” e la prima delegazione è arrivata – da Venezia – a chiedere istruzioni, il comandante delle Brigate Garibaldi e vicecomandante del CVL, Luigi Longo, ha un’intuizione. Il proclama, diramato il 13 novembre 1944 dal generale britannico Harold Alexander, che lascerà il posto di comandante in capo delle forze alleate in Italia allo statunitense Mark W. Clark per dirigere le operazioni in tutto il mar Mediterraneo, non sembra lasciar spazio a fraintendimenti:

“La campagna estiva, iniziata l’11 maggio e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea Gotica, è finita. Inizia ora la campagna invernale.

In relazione all’avanzata alleata, nel periodo trascorso, era richiesta una concomitante azione dei patrioti: ora le piogge e il fango non possono non rallentare l’avanzata alleata, e i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l’inverno”.

Il generale Harold Alexander

Il proclama ordinava di “cessare le operazioni organizzate su vasta scala”, di conservare munizioni e materiali, e “tenersi pronti a nuovi ordini”. E ha seminato il panico tra i combattenti falcidiati dai rastrellamenti nazifascisti e dal freddo in arrivo: obbedire significa avere un alto tasso di probabilità di essere catturati e giustiziati. Evocando l’inverno che in Russia aveva arrestato prima Napoleone e poi la Wehrmacht – il “generale Inverno” – il proclama ordinava, di fatto, ai partigiani di tornare a casa. Forti dei risultati positivi dei mesi precedenti, “pagati – come scrive Ferruccio Parri – a durissimo prezzo”, i rappresentanti della lotta di Liberazione si aspettavano tutto, fuorché la doccia gelata del proclama Alexander. Ed è per questa ragione che Longo, e con lui gli altri vertici della lotta di Liberazione, ha intenzione di provare almeno ad arginare, con la circolare del 2 dicembre, il potenziale effetto distruttivo del proclama:

“[…] lo spirito e la lettera stessa delle istruzioni di Alexander, non giustificano affatto, come dicevamo all’inizio, le tendenze alla smobilitazione delle forze partigiane e al pessimismo.

Partigiani durante l’inverno 1944 (da https://www.anpiparma.it/)

Sul piano tattico, poi, le istruzioni di Alexander, constatato che “il sopravvenire della pioggia e del fango inevitabilmente significa un rallentamento del ritmo della battaglia” per le forze alleate in Italia, dicono ai patrioti: “Cesserete per il momento operazioni organizzate su vasta scala”. Anche qui non si afferma, né per gli eserciti alleati, né per le forze partigiane, che si deve cessare la battaglia; si dice soltanto che, per gli eserciti alleati si avrà, in conseguenza della pioggia e del fango (che scomparirà d’altronde con il gelo), un rallentamento del ritmo della battaglia e che, per il momento, i partigiani devono cessare non “ogni operazione”, ma solamente “operazioni organizzate su vasta scala”, il cui successo, cioè, fosse necessariamente legato al rapido sviluppo della battaglia alleata.

Bologna sarà liberata il 21 aprile 1945

È evidente che qui si allude alle azioni insurrezionali di vasta portata, da organizzarsi nei centri vitali per il nemico ed il cui successo, con gli odierni rapporti di forza, può essere assicurato solo dal rapido congiungimento delle forze insorte con le truppe alleate. Noi crediamo, anche per le informazioni che ci sono giunte dal Comando regionale emiliano (collegato operativamente con il Quartier generale alleato), che in detto passaggio si intenda alludere ai piani insurrezionali per Bologna e altri centri emiliani, piani che il rallentato ritmo della battaglia obbliga per il momento, dice Alexander, a rinviare”.

Lucido, determinato, risoluto, Longo ha scritto di getto la circolare del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà, poi si è presentato a Raffaele Cadorna (“Valenti”) e a Fermo Solari (“Somma”), che sostituisce Parri, e l’ha letta loro. Non c’è stata nessuna obiezione: la circolare è un capolavoro. E diventa il messaggio che il Comando generale del CVL dirama in maniera unitaria:

“Noi dobbiamo prevedere per le prossime settimane e per i prossimi mesi, non una contrazione, non un indebolimento della lotta partigiana, bensì la sua intensificazione e l’allargamento delle formazioni armate. In questa previsione i nostri comandi non possono, non devono orientarsi nel senso della smobilitazione, ma in quello d’una maggiore e più larga organizzazione e d’una più intensa combattività. Se ciò non facessero, i comandi verrebbero meno alla loro funzione di direzione e di guida.

Tedeschi in rastrellamento

Non possiamo dire ai patrioti che da un anno si battono contro i nazifascisti, non possiamo dire a nessuno che abbia imbracciato le armi per liberare il suolo della patria: “adesso vattene a casa, noi ci disinteressiamo di te”. Nessuno dei patrioti può tornare alla sua casa, né al suo lavoro: lo ghermirebbe la reazione nazifascista. Una smobilitazione, anche solo parziale, dei combattenti della libertà costituirebbe di fatto, un invito a capitolare di fronte alle lusinghe e agli allettamenti a lavorare per i nazifascisti, cioè a tradire tutto un passato di lotta e di onore; oppure sarebbe una spinta a darsi all’azione incontrollata e disorganizzata, ciò ch’è proprio compito del comando di evitare con la sua attività di inquadramento, di direzione e di educazione politica.

Ma si tratta, lo sappiamo, di superare le difficoltà della situazione e della stagione. Queste difficoltà non si risolvono certamente trasmettendo soltanto dei buoni consigli ai comandi dipendenti. Compito dei comandi, dei dirigenti, dei capi, non è di trasmettere soltanto dei buoni consigli, ma di studiare, elaborare e realizzare tutte quelle iniziative atte ad affrontare ed a superare vittoriosamente le difficoltà del momento. Un comando o un capo partigiano non può rimettersi per ogni cosa all’autorità superiore, come in tempi normali si farebbe con qualsiasi governo. Caratteristica del movimento partigiano è l’iniziativa dal basso e la solidarietà popolare e nazionale.

È questa solidarietà nazionale che si deve stimolare, organizzare e, se necessario, anche forzare, soprattutto nei confronti dei ceti più abbienti, più restii a compiere il proprio dovere. Non si può ammettere che l’Italia settentrionale, cioè la parte più ricca del nostro Paese, non sia in grado di mantenere un esercito di 80.000 partigiani, quanti ne conta oggi il nostro Corpo volontari della libertà. I banchieri, gli industriali, i profittatori, che hanno trovato miliardi di buona moneta per finanziare le imprese fasciste, devono trovare i mezzi per sostenere la nostra guerra di liberazione. Il popolo jugoslavo, certamente più povero del nostro e soprattutto dell’Italia settentrionale, mantiene da tre anni ed accresce sempre più il suo vittorioso esercito nazionale. Non vediamo perché quel che ha potuto fare, da solo, il popolo jugoslavo, non possiamo farlo anche noi.

È questione di volontà e di direzione. È questione di organizzazione e di decisione”.

Forse solo un uomo con l’intransigenza di Longo, e con la strabiliante capacità di cercare una nuova soluzione a ogni problema, era in grado di fare quello che è stato fatto, redigendo la leggendaria circolare del 2 dicembre del 1944 che, in sostanza, chiamando i vertici del partigianato, i combattenti e anche i “ceti più abbienti” (tema quanto mai attuale) alla responsabilità, capovolge il senso del proclama Alexander.

Partigiani, azione di sabotaggio delle linee ferroviarie strategiche per gli occupanti (da pinterest.it)

“Per le misure organizzative da prendere in vista delle difficoltà invernali, questo comando ha già dato direttive che richiama e conferma. Esso consiglia a quelle formazioni che risiedono in zone inospitali di scendere verso il piano, articolarsi in nuclei minori, ma sempre saldamente organizzati e diretti, ed estendere il più largamente possibile la guerriglia. Nel piano vi sono numerosi obiettivi da attaccare. Questo spostamento al piano deve perciò significare non un affievolimento della guerriglia, ma un suo rafforzamento.

È evidente che in questo campo non si possono dare, dal centro, che orientamenti di massima. Deve essere compito dei comandi regionali, di zona e di formazione, realizzare questi orientamenti in disposizioni più precise, che tengano conto delle particolarità e delle possibilità locali. Anche nel campo tattico operativo non si possono dare criteri rigidi e uniformi per tutte le situazioni: si deve studiare la già ricca nostra esperienza di guerriglia e trarne, per le varie situazioni, utili insegnamenti”.

In questo testo di rara chiarezza e straordinaria intelligenza tattica, che riuscirà ad arginare almeno in parte lo smarrimento dei combattenti, sono richiamate e indicate “ad esempio” le direttive per l’attività invernale elaborate dal Comando regionale della Liguria, proprio in seguito alle istruzioni del generale Alexander:

L’attività operativa dei nostri volontari non può subire soste, neppure in questo periodo di tempo in cui urgono i gravi problemi organizzativi e logistici. La realizzazione dei compiti inerenti a questa duplice e complessa attività esige soprattutto, da parte di tutti, il più completo, sincero, incondizionato spirito di collaborazione. Ora più che mai è indispensabile che ogni particolarismo, ogni individualismo, qualsiasi visione personale di questioni politiche ed organizzative, lasci il posto ad uno spirito di fratellanza e di solidarietà che deve legare tutti i volontari della libertà nell’unico, supremo scopo della vittoria sul comune nemico.

Il Comando generale del CVL sfila il 6 maggio 1945 a Milano. A rappresentare l’unità della Resistenza delle cinque forze politiche che combatterono la lotta di Liberazione, da sinistra Mario Argenton per gli autonomi e i liberali (militari); Giovan Battista Stucchi, socialisti; Ferruccio Parri, azionisti; il generale Raffaele Cadorna, Comandante; Luigi Longo, comunisti; Enrico Mattei, democristiani. A destra leggermente disallineato, Leo Valiani

“Nessun compromesso, nessun patteggiamento è possibile ed ammissibile col nemico. Tentativi di tal genere, anche se apparentemente allettanti (destinati però sempre a risolversi in inganno), devono essere decisamente ed immediatamente stroncati e respinti. Chi ha perseguitato, martoriato, ucciso i nostri compagni migliori, merita soltanto il nostro odio irriducibile”, aggiunge il comando ligure, con strenua nitidezza: “È necessario pertanto che le inderogabili necessità organizzative inerenti alla situazione invernale non vengano a costituire freno od intralcio alla prosecuzione instancabile della lotta partigiana: agguati, imboscate, sabotaggi, colpi di mano, debbono continuare, come per il passato, a colpire incessantemente il nemico nazifascista, ovunque si trovi in condizione di essere utilmente colpito”.

Mancano pochi mesi di lotta – noi ora lo sappiamo: cinque mesi scarsi –, il partigianato entra nell’inverno più duro, e i vertici della Resistenza hanno definitivamente capito che solo l’intransigenza e una lotta senza quartiere possono portare alla vittoria finale. E così sarà.

Carlo Greppi, storico, scrittore, co-fondatore dell’associazione Deina, membro comitato scientifico Istituto nazionale Ferruccio Parri. Tra i suoi ultimi libri: 25 aprile 1945 (Laterza 2018)L’antifascismo non serve più a niente (Laterza 2020), primo volume della serie a sua cura Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti. Co-fondatore e redattore del sito di storia pubblica www.lastoriatutta.org


Bibliografia: si veda il testo integrale in Luigi Longo, Sulla via dell’insurrezione nazionale, Edizioni di cultura sociale, Roma 1954, pp. 339-349 (la genesi della sua interpretazione è alle pp. XL-XLIII). Si veda anche il saggio di Aldo Agosti, L’uomo del Pci nell’Italia del Nord: Luigi Longo, in Mario Isnenghi e Giulia Albanese (a cura di), Gli italiani in guerra”, Utet, Torino 2008), secondo volume di Il ventennio fascista (La seconda guerra mondiale), p. 462 ed Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, Einaudi, Torino 2006, pp. 420-421. Una panoramica con la dovuta distanza prospettica si legge in Santo Peli, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, Torino 2006, pp. 113 e sgg.