Il comitato elettorale di Giorgia Meloni nel giorno delle elezioni politiche (Imagoeconomica)

Negli ultimi anni è stata sempre più evidente la volontà di Fratelli d’Italia di darsi una rappresentazione diversa, più autorevole e meglio inserita nelle tradizioni democratiche europee. Insomma, la classificazione di “post-fascista”, per quanto tecnicamente corretta e per alcuni ambienti interni a quel partito fin troppo generosa, sta stretta. Anche “sovranista”, “patriottico”, “identitario” possono rimandare a mondi segnati dal radicalismo o comunque ad ambienti dove sono ben definiti steccati e confini, cioè ambienti chiusi.

Di recente la parola scelta per rappresentarsi è stata “conservatori”, etichetta di una categoria molto ampia. Non è una novità completa, come vedremo, ma in questa forma ufficiale e ubiqua è del tutto inedita per Fratelli d’Italia. Costituisce inoltre un mutamento lessicale notevole rispetto alle radici nel fascismo storico, il quale si ammantava invece della parola “rivoluzione”.

(Unsplash)

Si tratta di una mera operazione di rebranding o è una svolta moderata, se non addirittura un taglio netto con il fascismo? Il motto su cui è stata imperniata Atreju 2021, la kermesse di Fratelli d’Italia organizzata dalla componente giovanile, è stato “Il Natale dei Conservatori”. La festa si è tenuta a dicembre invece che alla fine dell’estate come al solito, a causa delle restrizioni sanitarie, ma naturalmente il titolo dà conto della festività cristiana soprattutto come momento di svolta che porta verso la rinascita e la primavera: cioè una sorta di punto di origine, appunto di nuova partenza.

I vari tavoli di lavoro che si sono svolti ad Atreju 2021 sulle “proposte dei conservatori italiani” sono stati animati solo e soltanto da dirigenti e parlamentari di Fratelli d’Italia, come a marcare l’identità fra conservatorismo e l’area politica di quel partito. Infine, in quella occasione, Giorgia Meloni – chiudendo i sette giorni di iniziative – ha avuto modo di invocare una “rivoluzione conservatrice”. Le attenzioni della stampa per il lungo intervento di Giorgia Meloni sono state su altri temi, sui temi contingenti di quei giorni – dalla critica ai vaccini per il Covid alla corsa per il Quirinale –, ma forse questa inedita rincorsa alla parola “conservatori” è il vero fulcro della strategia di comunicazione politica che ha accompagnato la volata verso le elezioni del 2022. Rimane però un segno di inquietudine a ricordare che la Rivoluzione conservatrice fu un movimento politico-filosofico prevalentemente tedesco da cui uscirono anche personalità importanti del successivo nazionalsocialismo, per non dire che il massimo esponente italiano di quell’ambito fu Julis Evola.

L’esponente spagnolo di Vox, Jorge Buxadé, alla convention Italian Conservatism. Europe, Identity, Freedom (Imagoeconomica)

Saltiamo a qualche settimana fa, al 30 settembre e ai primi di ottobre. In quei giorni, a brevissima distanza dalle elezioni politiche che hanno sancito il successo di Fratelli d’Italia, si è tenuta a Roma una conferenza internazionale, “Italian Conservatism: Europe, Identity, Freedom”, ovvero “Conservatorismo italiano: Europa, Identità, Libertà”. Organizzata dalla rivista The European Conservative, la Fondazione Tatarella e la rivista Nazione Futura; tutte realtà vicine al partito di Giorgia Meloni. Gli invitati non italiani sono stati figure di spicco dei partiti che aderiscono al Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, che ha un proprio gruppo al Parlamento Europeo e di cui è presidente dal 2020 la stessa Giorgia Meloni.
In particolare hanno parlato rappresentanti di alcuni dei più estremi fra i partiti europei e alcuni di loro sono, per storia o politiche recenti, situati al di fuori della democrazia per come la conosciamo nel nostro continente.

Mattias Karlsson, eletto al Riksdag per il Partito Democratico Svedese

Fra i più attesi c’erano i Democratici Svedesi, reduci da un risultato eclatante alle recenti elezioni nazionali, che nascono come aggregazione ultranazionalista con legami con il mondo del suprematismo bianco e del fascismo svedese. Nel progressivo smarcarsi da quell’impresentabile sottobosco (nel 1996 dovettero imporre un dress code alle proprie iniziative per impedire che i naziskin vi partecipassero con la loro classica tenuta) hanno abbandonato alcuni dei toni più accesi e modificato il proprio simbolo rimuovendo la fiamma con i colori della bandiera svedese in favore di un fiore.

L’immagine caricata su Instagram dalla neoletta SD Rebecka Fallenkvist è stata poi rimossa insieme al commento

Questo non toglie che, analogamente a quanto accade a Fratelli d’Italia, si vedano suoi esponenti segnalarsi per improvvidi nostalgismi: è notizia di questi giorni che Rebecka Fallenkvist, neoeletta al parlamento, abbia bollato come “immorale” il diario di Anna Frank. I Democratici Svedesi hanno provveduto alla sua sospensione, lo stesso provvedimento – quasi sempre temporaneo – che Fratelli d’Italia esprime negli stessi frangenti. Ma come spesso accade anche da noi, il caso di Fallenkvist non è il primo né è imprevisto. Tanto per dire: pochi giorni prima, per festeggiare la vittoria del partito alle elezioni si era esibita nella versione svedese del saluto hitleriano “Sieg heil”.

Rebecka Fallenkvist ha festeggiato la vittoria di Sd con il saluto hitleriano

Del resto per certificare l’ipocrisia della sospensione basti notare che a questo convegno ha partecipato Roberto Fidanza, europarlamentare di Fratelli d’Italia “sospeso” per aver sguazzato, come documentato da Fanpage, fra battute sugli ebrei, “brigate nere”, nostalgismi logori e un accenno di “heil Hitler”.

Naturalmente a quell’appuntamento non mancava l’Ungheria di Fidesz, il partito che da posizioni di governo teorizza la “democrazia illiberale”. Non mancava Vox dalla Spagna, il partito che accoglie neofranchisti, e Chega! dal Portogallo, con esponenti che manifestano nostalgie per il regime di Salazar.

John O’Sullivan, ora direttore del Danube Institute a Budapest

Anche nomi che potrebbero far pensare al conservatorismo classico di matrice anglosassone sono invece comunque marcati da altre tendenze: John O’Sullivan, noto politologo conservatore inglese un tempo molto vicino a Margaret Thatcher, è adesso smobilitato in Ungheria dove dirige un centro studi finanziato dal partito Fidesz.

Insomma, qui l’uso della parola “conservatori” ha a che fare con la collocazione politica europea – e che è una collocazione di estrema destra – e non con una definizione della propria identità politica.

Meloni nel 2005 (Imagoeconomica)

L’uso ambiguo della parola “conservatori” è però una questione che si affaccia nella storia politica di Giorgia Meloni molto prima.
Nel 2004 Meloni diviene presidente nazionale di Azione Giovani, nello stesso anno viene aperto un curioso sito web chiamato ConservAZIONE.org, creato da un gruppo di ragazzi della formazione giovanile di Alleanza Nazionale. Attivo in coincidenza con la presidenza Meloni di AG e quindi chiuso oramai da oltre 10 anni, dà una buona idea di quale declinazione di conservatorismo si sviluppasse in quell’ambiente, ovvero un approccio reazionario e ultra-tradizionalista. Ne è testimonianza la profusione di citazioni da Joseph de Maistre, il dilagare dei noti aforismi di Nicolás Gómez Dávila e in generale il predominio della reazione antiegualitaria rispetto alla conservazione democratica. Gli altri pensatori più attinenti al classico conservatorismo – che qui e là si trovano in questo sito web esplicitamente pensato per la formazione politica in Azione Giovani – sembrano più che altro orpelli, utili a darsi credibilità e ampiezza ma con un contributo di sostanza molto contingentato.

Nicolás Gómez Dávila (Bogotà 1913-1994) a 17 anni

Il definirsi “conservatori” ha evidentemente una funzione protettiva, ovvero è uno scudo contro etichette non più desiderate e inadeguate a una forza di governo. Altresì corrisponde alla necessità di darsi un nome ampio, che possa contenere senza imbarazzi quel 26% di elettori che hanno decretato il successo di Fratelli d’Italia e che evidentemente non l’hanno votato per la sua storia di neo e post-fascismo, ma come ultimo tentativo – dopo i fugaci plebisciti avuti negli ultimi anni in successione da Pd, M5S e Lega – di affidamento del proprio disagio economico e sociale.

Di conservatori ne esistono varie declinazioni, ma fa pensare che Meloni dica di volersi rifare ai Tories, i conservatori inglesi, perché su certi temi sembrano agli antipodi. David Cameron, che del Partito Conservatore è stato leader dal 2005 al 2016, diceva cose come “I conservatori credono nei legami che ci rendono coesi, credono che la società sia più forte quando ci facciamo promesse l’un l’altro e ci sosteniamo a vicenda. Io non sono a favore del matrimonio gay nonostante sia un conservatore; io sono a favore del matrimonio gay perché sono un conservatore”.

D’altra parte quello che preoccupa non è che sia una mossa preminentemente comunicativa, quello che impensierisce è che invece questo cambiamento possa essere del tutto adeguato, cioè possa essere la mera registrazione di un fatto: ovvero che il conservatorismo su scala mondiale – dagli Usa all’India, dall’Europa al Brasile – stia trasformandosi, spostando il proprio baricentro verso la radicalità.