Com’è la scuola che vorreste, ragazzi? Lo abbiamo chiesto a due studentesse e a uno studente del liceo scientifico Curiel di Padova.
Programmi nel cassetto e studenti in piedi, in circolazione tra le varie classi e in vari Paesi del mondo; un rapporto con i professori corretto e insieme collaborativo, umano.
Una scuola su cui lo Stato investa forte, per dare un futuro alle sue giovani generazioni e a sé, rendendo effettiva ed efficace l’alternanza scuola-lavoro, fornendo gli strumenti tecnologici necessari a comunicare coi linguaggi più innovativi, garantendo strutture sicure e dignitose.
Hanno tante idee e chiare, gli studenti. Occorre ascoltarli e fidarsi. Non possiamo correre il rischio che, a furia di ripetere che sono indolenti, schizzinosi o lavativi, finiscano per convincersene anche loro.
In Olanda una scuola più libera, ma più superficiale
Caterina Pantouvakis,* Classe 4H
Non puoi far a meno di notare subito, dal modo in cui pronunciano “hello”, che per quanto riguarda la padronanza dell’inglese vi separa un abisso e, in una settimana di scambio con una classe olandese, ti accorgerai che non è l’unica differenza tra il sistema scolastico olandese e quello italiano.
La prima grande differenza, che spinge a riflettere, è la rigidità del sistema scolastico italiano, in cui devi scegliere un percorso di studi preciso già alla fine della terza media, mentre, nelle superiori olandesi, sei tenuto a frequentare obbligatoriamente alcuni corsi, ma, per il resto, anno per anno, puoi scegliere le materie che più ti appassionano. D’altro canto, l’idea di passare cinque anni con le stesse persone ha stupito molto i nostri corrispondenti olandesi: li affascina perché per loro, cambiando classe ogni ora, è facile entrare in contatto con gran parte della scuola, ma risulta più difficile conoscere a fondo qualcuno.
Dai loro racconti, si percepisce una scuola con un’aria davvero fresca: le lezioni non sono solo frontali, anzi, abbondano di progetti, lavori di gruppo, esperienze in laboratorio. Sono dell’idea che questo dipenda solo in parte da una concezione diversa della scuola, ma che sia piuttosto da imputare alle risorse che sono sicuramente meno, ma spesso, per scelta, in Italia vengono investite in altri settori. La mia corrispondente a maggio andrà dieci giorni in Nepal: la scuola pagherà il viaggio a lei e ad altri ragazzi che hanno realizzato il tema migliore a conclusione di un progetto di geografia svolto con alcuni ragazzi nepalesi. Io mi sento fortunata già solo per aver potuto partecipare a questo scambio, pagato ovviamente dalla mia famiglia.
Le possibilità che la scuola italiana non offre e ancor di più il disinteressamento della politica nei confronti dell’istruzione lasciano un po’ di amarezza e di invidia, questo è innegabile, però, man mano che sono venuti alla luce altri dettagli riguardo la loro vita scolastica, posso affermare che, tutto sommato, il sistema scolastico italiano non sia interamente da buttare. Sono sicuramente più liberi, autonomi nello studio e nelle loro scelte, ma hanno un livello di attenzione molto inferiore al nostro: seguire ore e ore di spiegazione, prendere appunti, avere programmi molto più vasti da portare in occasione di verifiche o esami è inconcepibile per loro. Allora mi chiedo se non sia un po’ riduttivo avere solo compiti scritti e, di conseguenza, far fatica ad articolare un discorso su un argomento davanti ad altre persone; stare a scuola molte ore, avendo poi però una quantità di compiti per casa irrisoria; non essere abituati a lunghe spiegazioni per non riuscire poi a reggere più di dieci minuti di una qualsiasi visita guidata. Sono per una scuola all’antica se questo vuol dire, per esempio, studiare la letteratura autore per autore e non ridurla ad accozzaglie di testi, decontestualizzati, raggruppati per temi: l’amore, la morte, la guerra.
Credo sia giusto non intaccare alcune specificità della nostra scuola, derivanti da un passato culturale di cui dovremmo andare orgogliosi e che dovremmo tutelare. Proprio perché è preziosa l’importanza che diamo alla cultura generale e ad un’impostazione nozionistica, dovremmo aprire gli orizzonti: dovremmo trovare spazi per uno studio più utile delle lingue straniere, incentrato sull’abilità nel parlare, su un lessico ampio e anche specifico, che possa servire un domani in ambito lavorativo; sulla pratica e sulla manualità da accompagnare alla teoria; sulla capacità di applicare alla realtà le conoscenze e non su una cultura a volte fine a sé stessa; su un sistema che garantisca ai ragazzi la libertà e la responsabilità di cambiare, di scegliere, di spaziare.
Bisognerebbe inevitabilmente spendere tempo e risorse, ma questo renderebbe la scuola una ricchezza in nome di un’Italia meno arretrata e con un occhio puntato sul futuro.
* Caterina Pantouvakis ha appena concluso la prima fase dello scambio culturale con un liceo di Utrecht; in base a questa esperienza ha riflettuto sulle differenze fra la scuola italiana e quella olandese
Bene sarebbe l’alternanza scuola-lavoro
Martina Ballardini, Classe 3ª
Come vorremmo la nostra scuola?
Ogni studente ha dei desideri e, soprattutto, ha le idee chiare su cosa vorrebbe cambiare all’interno della propria scuola. Penso, infatti, che sia fantastico quando siamo noi studenti a trarre il meglio dall’ambiente scolastico, cambiando ciò che pensiamo non ci venga incontro abbastanza. Però, molti nostri desideri non sono sempre così facili da portare poi nella pratica. Prima domanda fondamentale: chi tra gli studenti ha il diritto di pensare, decidere e stabilire cosa poter cambiare o, semplicemente, quali novità portare?
Istintivamente io direi che tutti hanno il diritto di decidere cosa è meglio per la propria scuola, in verità la risposta non è così scontata ed immediata. Siamo ragazzi giovani, capaci di grandi cose e, di conseguenza, è normale che molte volte ci lasciamo trasportare dal nostro animo rivoluzionario, tralasciando dettagli importanti. E poi, c’è da considerare il fatto che ognuno ha alle spalle la propria esperienza e maturità più o meno grande, di conseguenza anche le necessità sono diverse tra loro. Per questo è importante che ci siano persone con più esperienza di noi, che ci aiutino nel nostro percorso da studenti e, perché no, da veri cittadini, attraverso una solida rete di rapporti basata sulla collaborazione. Preside, vicepreside, professori e bidelli sono coloro che ci aiutano in questa nostra parte di crescita personale e culturale; per questo sarebbe bello e costruttivo cercare di creare delle fondamenta ancora più solide tra studenti e professori: un rapporto che ci coinvolgesse tutti, senza escludere nessuno. Cosa assolutamente non facile perché richiede tanta energia, molto impegno e volontà di mettersi in gioco da entrambe le parti. I nostri rappresentanti d’istituto fanno grandi cose e rappresentano la voce di tutti gli studenti; può non essere sufficiente però. Il dialogo e il continuo confronto in classe deve diventare una routine. Non solo i professori, prima di tutto sono gli studenti che dovrebbero intervenire, esporre il proprio pensiero, insomma attivarsi.
Inoltre, da non molto tempo, alle classi terze è stata proposta una nuova attività chiamata “alternanza scuola-lavoro”. Personalmente ritengo che sia un progetto fantastico, perché ci possiamo avvicinare al mondo del lavoro in maniera graduale e avere così in un futuro un approccio più sicuro verso l’impiego che desideriamo svolgere. Come ogni novità, però, presenta delle difficoltà nella realizzazione immediata. Spiegata in maniera molto pratica, infatti, lo studente si trova in difficoltà nel momento in cui deve iniziare questo nuovo percorso, senza tralasciare l’impegno prettamente teorico, ovvero, le materie! Allo stesso tempo i professori si ritrovano a dover concentrare le ore che rimangono a disposizione, poiché le altre vengono occupate dall’alternanza scuola-lavoro. Insomma, studenti e professori si sono trovati improvvisamente una possibilità, sì eccezionale, ma anche impegnativa che richiede grande collaborazione … collaborazione difficile da portare poi nella pratica quando sia professori che studenti hanno prima di tutto l’obbiettivo di portare a termine gli argomenti scolastici da svolgere entro l’anno.
La buona scuola per me, infatti, non è semplicemente scrivere delle soluzioni personali su un foglio, ma esporre il mio pensiero e i miei dubbi per trovare coloro che possono venirci incontro e risolvere assieme tali difficoltà.
Una scuola dove i tetti non crollino e che insegni a credere ai sogni
Antonio Alaia, Classe 5F
La scuola che vorrei pone al centro del processo formativo non i programmi ma gli studenti.
Nella scuola che vorrei gli studenti non si sentono mai soli; il rapporto tra studenti e insegnanti non è semplicemente una formalità, ma va oltre le sole nozioni scolastiche per diventare una relazione di fiducia reciproca priva di discriminazioni.
La scuola che vorrei è una vera scuola 2.0 che basa la didattica su strumenti all’avanguardia e che è aperta all’utilizzo delle nuove tecnologie per spiegare le materie in modo nuovo e diverso, innovativo e intelligente.
La scuola che vorrei è attenta al mondo del lavoro; organizza quotidianamente progetti di alternanza scuola-lavoro durante i quali non si fanno fotocopie in uno stanzino, ma si apprende e comprende il vero lavoro e le sue sfaccettature.
La scuola che vorrei non ha i quaderni e i banchi per stare seduti, ma è più funzionale e offre lezioni circolari con strumenti interattivi all’avanguardia.
La scuola che vorrei è al servizio della creatività spontanea, non la imbavaglia, non l’ammutolisce, non cerca di irrigidirla e normarla.
La scuola che vorrei va avanti per settori, temi e non per materie. Una realtà multidisciplinare che insegna a ragionare oltre che a inscatolare informazioni rende lo studente più abile e capace ad ambientarsi poi nel mondo del lavoro.
La scuola che vorrei riceve moltissimi finanziamenti dallo Stato: in questa scuola gli studenti possono fotocopiare materiale senza pagare, avere bagni con il sapone e frequentare le lezioni sotto tetti che non crollano; in questa scuola l’autonomia scolastica non è solo una bella parola ma ogni istituto può insegnare le discipline che preferisce creando tantissime opportunità per tutti gli studenti.
Nella “mia” scuola il programma sta nel cassetto, si parte dal ragazzo, dalla sua esperienza, e si costruisce un percorso insieme.
La scuola non deve spegnere la curiosità e la sete di conoscenza.
È la scuola in cui le nozioni arrivano insieme allo stupore, alla meraviglia, ad un’emozione. Perché scomporre delle frasi nei loro elementi può essere divertente, poetico o musicale. Perché scoprire i fatti di chi ha abitato questo pianeta prima di noi dà più senso anche alla nostra vita.
La scuola che vorrei è quella che insegna a credere ai sogni e non spegne la curiosità e la sete di conoscenza.
La scuola che vorrei sposa la teoria con l’esperienza perché la scuola che vorrei non è un’utopia.
La scuola che vorrei in questo periodo di crisi che grava soprattutto sulle famiglie dovrebbe aiutare a voltare pagina. La valorizzazione dei talenti non deve essere un’eccezione, ma una regola.
La scuola che vorrei dovrebbe essere dignitosa perché proprio lei deve insegnare ad essere forti e a rialzarsi dopo ogni errore, perché ogni fallimento può essere uno stimolo per fare meglio.
La scuola che vorrei non finisce dopo il suono della campanella, ma s’impegna a creare corsi extracurricolari, resta aperta ad aule studio e ai laboratori.
La scuola che vorrei i sogni li concretizza e non li mette nel cassetto.
Nella scuola che vorrei non ci sarebbe bisogno di protestare perché ogni persona, professore o alunno avrebbe il diritto di parlare ed essere ascoltato.
Pubblicato lunedì 7 Marzo 2016
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