Vera Salton

Il Treno di Bogotà si trova a Vittorio Veneto (Treviso) e sembra una libreria per ragazzi, ma in realtà è una palestra di umanità e civiltà, un luogo dove ci si incontra, si parla, si ascolta e si tace insieme, un luogo dove le fiabe insegnano ai più piccoli (e lo ricordano ai grandi) che il mondo si può cambiare, si può aggiustare.

Vera Salton è la libraia-capotreno, antropologa e studiosa di letteratura e illustrazione per l’infanzia, segue il progetto editoriale “Pagine randagie” e cura laboratori in scuole e asili, dal 2001 collabora con la rivista Andersen, il mondo dell’infanzia. Da molti anni è anche lettrice e narratrice ad alta voce, nei suoi reading dedica un’attenzione particolare alle tematiche sociali, multiculturali e ambientali.

Perché hai deciso di fare la libraia? C’è un rapporto, e se sì quale, tra questo e la tua formazione di antropologa? Come mai la libreria ha questo nome?

La libraia e l’antropologa sono cresciute insieme, sono cresciuta fra i libri, figlia di un bibliotecario appassionato e con una madre che a tredici anni mi diede da leggere l’autobiografia di una antropologa atipica come Margaret Mead. C’era tutto: educazione, relativismo culturale, voglia di cambiare il mondo, uguaglianza di genere, etica.

L’occhio dell’antropologa mi aiuta nello scegliere le storie, nell’osservare la realtà intorno, nelle formazioni che curo per adulti. Mi aiuta a guardare il mondo e a relativizzarlo con i bambini, mi aiuta a educarli a un principio di libertà, che non significa essere senza regole ma piuttosto capire perché esse esistono, e perché altri ne hanno di differenti. La Libreria parte da questo anche con il suo nome, quello del libro di un grande amico e autore, Roberto Piumini, che per primo ci ha spinto verso questa avventura: è un libro lieve per il tratto, discreto, eppure è intenso il suo significato per le due illustratrici bogotane, poiché nell’anno in cui è stato scritto (1986) la ferrovia a Bogotà era stata smantellata per impedire che dalle campagne si andasse a protestare nella capitale; è stata una coedizione fra Nuove Edizioni Romane e una coraggiosissima editrice sudamericana, Maria di Mase, ed è una storia che ad ogni vagone declina i molti volti della parola Libertà.

Un’immagine degli interni della libreria (da http://www.vittoriovenetopiu.com/images/ UsersUploads/big/iltrenodibogota_15.jpg)

In una libreria per ragazzi, nella tua in particolare, non si vendono solo libri, ma si educano giovani lettori affinché possano diventare adulti “pensanti”. Eppure pare che ci sia un’età critica per la lettura: qual è? Che cosa distoglie dal leggere e cosa, al contrario, può rendere i libri i compagni di una vita? Insomma, qual è il segreto per diventare e rimanere lettori e cosa si può fare per promuoverlo?

Continuare a pensare “il leggere”, per citare Pennac, come un verbo che – come l’amare – non vuole l’imperativo. Dare gratuità al gesto del leggere: leggere ad alta voce, leggere come modo per far vedere altre cose, consci che potrai vederle anche sotto altri aspetti. Leggere non è indispensabile, dirlo sarebbe retorica, ma può essere meraviglioso, può essere un alleato in attimi di sconforto e – quando dimentichi quanto può essere bello – qualcuno a cui vuoi bene e che crede in te che ti regala un attimo di tempo pulito, a telefoni e televisori spenti, e ti legge qualcosa può essere un piccolo faro per ricordarlo. Certo la crisi di lettura può accadere alle medie e alle superiori molto spesso: è l’età in cui gli adulti di riferimento smettono di leggere i libri per ragazzi (spesso non conoscono l’immenso patrimonio della letteratura per loro), i grandi autori, e si ostinano a consigliare i loro innamoramenti giovanili, senza essere capaci di pensare al cambiare della parola, senza averli recentemente riletti, o peggio ancora facendoli diventare compito di comprensione e analisi invece che argomento di discussione e partecipazione emotiva. Come posso io ragazzo divenire allora pensante se – quando mi fai cadere dentro una storia – al mio riemergere quanto ti interessa è il mio saper analizzare il periodo o la struttura argomentativa invece del tumulto che mi ha scosso dentro?

 Il Treno di Bogotà non è solo libreria, è occasione di viaggio, scoperta e incontro: che cosa rende i libri – e i libri per ragazzi in particolare – alleati preziosi per importanti battaglie sociali, come quelle sulla diversità, l’accoglienza, l’ecologia?

Il fatto che i libri educano a una delle più importanti abilità dell’uomo che la tecnica non potrà mai arrivare a saper cogliere: l’empatia. Se davvero vivi una storia, allora puoi capire cosa prova l’altro, che sia l’uomo, la natura, che sia il vicino di casa o qualcuno che viene da migliaia di chilometri di distanza. Educare all’empatia è il regalo più grande che possiamo fare a un bambino, che sarà un adulto migliore con chi gli è vicino e più capace di cogliere le sfumature nel lavoro. I libri educano a questo e l’empatia per forza di cose porta ad avere un occhio per la cura: degli esseri umani, di quanto ci è attorno, di quanto possediamo, tanto da re-imparare l’altezza etica dimenticata del termine “aggiustare” e di “cambiare” nel senso di “mutare”, non di “buttare via”.

E cosa rende i bambini (fin dagli zero anni!) e i ragazzi i protagonisti fondamentali cui affidare simili sfide che coinvolgono passato, presente e soprattutto futuro?

Forse prima di tutto il fatto che sono i cittadini di oggi e saranno i cittadini di domani, e solo se continueremo a nutrirli del sogno che il mondo può cambiare, invece che di un cinismo che racconta che non esiste più futuro, potranno aver voglia di accettare quelle sfide. Il mondo ha fatto le rivoluzioni perché le storie, le fiabe insegnano ai futuri ribelli che il male non vince, che i draghi vengono sconfitti e i cattivi tremendamente puniti; possiamo continuare a raccontarglielo o dire ai più giovani che i cattivi si proteggono fra di loro, che il male non si debella, e crescere generazioni di disillusi e qualunquisti. La storia con cui li addormentiamo è una nostra scelta e una nostra responsabilità perché nei primi tre anni di vita si formano le idee fondamentali, i principi e le istanze caratteriali del bambino. E poi le storie educano ognuno di noi a pensare che ciascuno ha dentro di sé una o più storie; capire questo ricorda che non possiamo giudicare l’altro non conoscendo la sua storia: ciò sta alla base dei principi di rispetto e convivenza più alti, della lotta al pregiudizio.

Quando si cresce ci si abitua a libri quasi sempre privi di illustrazioni, ma cosa aggiungono le immagini alle parole e alle storie? Cosa passa attraverso il loro linguaggio?

Aggiungono tantissimo perché l’uomo sin dai tempi delle pitture rupestri, dei bassorilievi, degli affreschi nelle chiese, è stato abituato a saper leggere il codice visivo più del codice scritto; è storia recente che un libro per adulti non debba avere illustrazioni. La fortuna è che in tanti altri Paesi si sia mantenuta la tradizione del libro illustrato per adulti, e finalmente stiamo riscoprendo il potere della parola affiancata alla meta-narrazione dell’immagine. Ma guardare una illustrazione richiede tempo e attenzione, perché essa non si limita a illustrare: aggiunge, cita la stessa Storia dell’arte, si fa densa di riferimenti e di segreti sussurrati solo a chi ha il garbo di fermarsi a darle la giusta dignità.

Un’altra immagine della libreria (da http://www.vittoriovenetopiu.com/images/ UsersUploads/big/iltrenodibogota_8.jpg)

Come stanno l’editoria e le librerie per ragazzi in Italia?

Navigano acque strane; nel nostro Paese manca una seria legge sul libro, e così assistiamo a realtà affaticate e grandi che spadroneggiano, a poli economici che posseggono tutta la filiera e dettano le regole del mercato. Ma è anche il luogo dell’entusiasmo di tanti che ancora credono nel potere dei libri, guardate la Fiera della piccola e media editoria a Roma: nata come una scommessa, ora è una delle realtà più belle in Italia e riparte dai piccoli, da chi ogni giorno rischia e lavora con passione ed etica.

Puoi dirci in poche parole perché è importante leggere “forte”, ad alta voce, ai bambini – che lo facciano genitori, nonni o educatori? E perché in questi tempi virtuali e digitali occorre mantenere uno spazio fisico e reale per i libri e i loro lettori, librerie o biblioteche che siano?

In poche parole verrebbe da dire perché è bello, perché è un regalo, perché è uno spazio di intimità che nulla può restituire, perché è uno spazio di dialogo in cui ti scopri senza per forza parlare, prova ne è chi riscopre la bellezza di leggere ad alta voce per degli adolescenti: si può dire tantissimo con le parole di un libro e con i suoi silenzi. Gli spazi della cultura sono o dovrebbero essere piazze, sono luoghi sociali, sono il nostro salvarci dall’anomia, dall’individualismo, dalla solitudine, sono un antidoto – se per primi sappiamo pensarli perché possano accogliere – a ogni forma di totalitarismo che etichetta e divide.

 Infine, che titoli suggeriresti per raccontare la Resistenza ai ragazzini?

Vedere il giorno, di Emma Giuliani, ed. Timpetill, perché narra come Resistere sia una parola forte, unica; Libertà, di Paul Eluard, Anouck Boisrobert e Louis Rigaud, ed. Gallucci, perché fa viaggiare dentro una poesia come se fosse qualcosa da scoprire poco a poco, un libro illustrato per qualsiasi età; e poi La mia resistenza, di Roberto Denti, ed. Rizzoli, perché è l’autobiografia di un grande uomo, partigiano e fondatore con Gianna Vitali della prima libreria per bambini in Italia.