Forza Nuova si spezza

Il 6 maggio Forza Nuova Romagna, con tutte e sette le sezioni territoriali, abbandona il partito a causa della “incoerenza e inaffidabilità della segreteria nazionale“. Roberto Fiore, segretario nazionale e padre/padrone, espelle i tre dirigenti responsabili dell’accaduto per “indegnità politica“, sebbene non sia chiaro se avvenga prima l’abbandono oppure l’espulsione.
Nei giorni immediatamente successivi però comunicano la stessa decisione dei forzanovisti romagnoli le intere declinazioni regionali di Forza Nuova in Lombardia, Trentino-Alto Adige e Basilicata, quasi tutte le sezioni di Toscana e Puglia e parte di quelle della Campania, Veneto, Liguria, Abruzzo e altre regioni. Inoltre si staccano interi apparati organizzativi come l’Associazione Evita Peron, ovvero l’associazione femminile del partito la cui presidente nazionale figura fra gli espulsi, e Solidarietà Nazionale, cioè il gruppo solidaristico per soli italiani “etnici”.

Negli anni le uscite da Forza Nuova, alla spicciolata o di intere sezioni, sono state parecchie. Certo è che le proporzioni e la modalità questa volta sono fra le più importanti mai viste.

Le ragioni di quanto accade vanno cercate nella radicata struttura interna del partito, ampliate e portate alla rottura da una contingenza del momento.
Ideatore, fondatore, segretario nazionale e finanziatore: negli oltre vent’anni di esistenza Forza Nuova è sempre stato il partito personale di Roberto Fiore, impensabile senza di lui. La condotta inflessibilmente padronale che Fiore fa del suo partito è sempre stata stringente ed ha generato un continuo stillicidio di abbandoni.
Questo contesto, insieme ad uno spregiudicato intreccio imprenditoriale e politico di cui Fiore è il centro e il motore, ha fatto precipitare i rapporti politici interni alla formazione neofascista innumerevoli volte, anche con strascichi giudiziari. Le testimonianze dei molti “ex” di primo piano di Forza Nuova sono concordi, ad esempio quella di Paolo Caratossidis, raccolta nel libro Nazitalia, o quella di Massimo Perrone o ancora quelle di Alessandro Ambrosini e Maurizio Boccacci.
Anche ciò che sta accadendo in questi giorni è generato da questa situazione.

Perché proprio adesso?
L’insofferenza di molti dirigenti di Forza Nuova verso questa situazione si è acutizzata negli ultimi mesi. Certamente pesa il quadro di salute del partito, politicamente debole e continuamente incalzato da altre formazioni del fascismo nostrano, con le varie attività collaterali che non decollano o sono morenti. Basti osservare l’incapacità di essere minimamente incisivo del raggruppamento Lotta Studentesca, la stagnazione totale vissuta da Italica Sport e Avventura oppure dall’associazione solidaristica per disabili IncancellAbili e l’irrilevanza del micro-sindacato Sinlai e de La Lega della Terra. O ancora lo shop online del partito oramai chiuso, destino condiviso da RadioFN, gli stentati ritmi della “piattaforma culturale” Ordine Futuro e di Foglio di Lotta, pubblicazione che incubò Forza Nuova nel 1996 e rinata nel 2018 per fare “la guerra contro l’ANPI” ma tornata in un triste oblio nel giro di qualche mese.
Per non dire delle disastrose prestazioni elettorali che, nonostante una fitta rete di alleanze locali, non raggiungono la metà dei consensi di CasaPound anch’esse a loro volta talmente negative che la tartaruga frecciata ha deciso di non presentarsi più ad elezioni.

Fosse però solo questo la fuga in massa da Forza Nuova ancora stupirebbe, perché sia l’organizzazione interna che le difficoltà organizzative e gli insuccessi elettorali sono condizioni pressoché permanenti nella storia di questo partito come di altre formazioni simili. Negli ultimi anni si è però consolidata attorno a Roberto Fiore la forza della sezione romana di Forza Nuova: è questo l’epicentro dei malumori dei fuoriusciti.
Guidata da Giuliano Castellino, è la sezione romana a nascondersi dietro le parole “incoerenza e inaffidabilità” usate da quei “ribelli” forzanovisti che agognano a tornare ai valori fondanti del partito.

Castellino ha vagato dall’area politica neonazista di Boccacci a quella dell’ex sindaco Gianni Alemanno, passando dalle curve dello stadio fino a CasaPound Italia, per poi approdare definitivamente in Forza Nuova. In costante ascesa è arrivato ai massimi vertici di un partito la cui battaglia contro le droghe è fra le prime e più sentite. Ma Castellino cinque anni fa girava in scooter con un etto di cocaina sotto al sellino, così, per festeggiare Capodanno. E se gli arresti domiciliari, le accuse di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale con aggravanti come odio razziale, le aggressioni a giornalisti sono un curriculum per nulla insolito in certi ambienti, invece la frode al sistema sanitario nazionale, realizzata speculando sui rimborsi di prodotti per celiaci, è qualcosa che irrita più di qualcuno dentro a Forza Nuova.

Sempre a Roma è figura di primo piano Armando Renzitelli, infermiere noto alle cronache per i reiterati abusi sessuali su ragazze svenute al pronto soccorso, realizzando un contraltare perfetto al famoso manifesto di FN contro i “negri” che stuprano le “bianche”.

Ma la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno fino al colmo può essere ricercata nella linea oltranzista della sezione romana sulla pandemia, avvallata dal segretario nazionale, che punta alla sguaiatezza complottista, che grida “né mascherine, né distanze sociali” e organizza cortei religiosi in spregio alle misure minime di sicurezza.

Lo strapotere dei dirigenti romani, la loro impresentabilità e la piega politica che, come fanno notare alcuni fra i fuoriusciti, è antitetica allo sbandierato slogan “ordine contro il caos” sono le ragioni di quanto accade adesso in Forza Nuova.

In tutta questa vicenda il peso delle comunque interessanti inchieste di Report e de L’Espresso non ci pare fondamentale: in fondo l’approccio torbido e affaristico di Fiore non è certo una novità per i dirigenti di FN.

È da notare che la novità importante delle defezioni avvenute fra il 6 e l’8 maggio sta nell’avere almeno una parvenza di coordinamento. I comunicati con cui intere sezioni si sono staccate dal partito di Fiore sono pressoché identici e annunciano tutti l’adesione ad una “Rete delle comunità forzanoviste“. Insomma, se si tratti di una vera e propria scissione ce lo dirà il tempo, verificando se oltre ad una continuità comunicativa esista anche una solidità politica e organizzativa. Già nel 2016 si era verificata un’uscita di alcune sezioni, ma allora non c’era stata la capacità di riaggregarsi in un nuovo soggetto. Le possibilità che questa Rete riesca a stabilirsi come presenza permanente nel panorama dell’estrema destra italiana ci paiono però scarse.

La reazione di Roberto Fiore è stata simmetrica, con comunicati-fotocopia che arrivano dalle sezioni lealiste e che annunciano “nessun traditore o sabotatore” in questa o quella declinazione territoriale del partito e “rinnovano totale fiducia e fedeltà al segretario e Capo Roberto Fiore“. I vari dirigenti espulsi o che hanno abbandonato sono stati in buona parte prontamente sostituiti, inoltre è stato annunciato un congresso per la seconda metà di luglio.

Ci sembra improbabile che questa crisi, per quanto grave, possa determinare un’implosione di Forza Nuova. Certamente si tratta di un nuovo gradino verso il basso nella decadenza di una formazione ideologicamente e strutturalmente incapace di comprendere il presente.

CasaPound si maschera

L’interessante novità per CasaPound Italia riguarda il neonato movimento delle Mascherine Tricolori.

A fine aprile paiono nascere dal nulla e iniziano a coordinarsi alcuni gruppi di semplici cittadini che protestano contro la gestione dell’emergenza sanitaria. Che però, come raccontato da L’Espresso, semplici cittadini non sono: son tutti militanti e dirigenti di CasaPound.
La cosa può essere facilmente verificata dalle tante “facce note” che si scorgono fra gli agitatori degli intervenuti alle varie manifestazioni di piazza, ma anche sfogliando i social è facile accorgersene. Ad esempio l’account Twitter delle Mascherine Tricolori è seguito da una pletora di dirigenti di CasaPound Italia, mentre è ignorato da altre formazioni dell’estrema destra.

Le Mascherine Tricolori si trovano ogni sabato nelle piazze di decine di città italiane per una sorta di flash mob. Sono eventi di qualche minuto, con poche persone che in piedi e distanziate (ma con pose ed un inquadramento tipico di alcune manifestazioni dal sapore paramilitare, comuni in questa area politica) che leggono un volantino.
Sono attività organizzate e coordinate tramite canali Telegram, a cui segue una forte mediatizzazione anche se a fronte di una scarsa partecipazione reale. Solo in un’occasione, a Roma, dove CasaPound è particolarmente ben radicata, gli intervenuti hanno raggiunto qualche decina di presenze.
Non di rado hanno subito sanzioni per violazione delle norme sul distanziamento sociale o sono stati fermati dalle forze dell’ordine perché, ovviamente, per nessuna di queste manifestazioni è stata chiesta autorizzazione.

Il responsabile di CasaPound del XIII Municipio romano con il megafono ed alcuni militanti alla manifestazione delle Mascherine Tricolori in piazza Mancini a Roma.

Eppure, secondo noi, l’aspetto interessante della faccenda sta non tanto nel fatto in sé, visto che è pratica comune per CasaPound agganciarsi a temi di attualità e introdurvisi con la consueta capacità comunicativa. Il punto è che le Mascherine Tricolori non hanno un collegamento palese con CasaPound Italia, ovvero per la prima volta da molto tempo in un’azione mediatica pubblica di livello nazionale di CasaPound non si vede, nemmeno per sbaglio, il simbolo della tartaruga frecciata. Né, dopo lo scoop di Palladino su L’Espresso, c’è stata una comunicazione o una rivendicazione, tutto tace: il che evidenzia la volontà di lasciare il legame – per quanto oramai innegabile – lontano dai riflettori.
CasaPound negli ultimi anni e nelle tantissime iniziative metapolitiche ha sempre agito con una sostanziale trasparenza, per lo meno in quelle di respiro nazionale e con la possibile eccezione delle attività a carattere imprenditoriale.

Perché nelle piazze non si sono visti i volti noti a livello nazionale, ma solo dirigenti locali e spesso anche in questo caso solo quelli di secondo piano? Perché i canali ufficiali di CasaPound e dei suoi dirigenti nazionali non hanno neppure citato la questione? Insomma, perché questa volta invece si sono davvero “mascherati”?

Innanzi tutto c’è da tenere in considerazione il cambiamento radicale di quasi un anno fa: CasaPound Italia ha deciso di non presentarsi più agli appuntamenti elettorali con il proprio simbolo. Cade dunque l’esigenza di mostrare il più possibile la tartaruga frecciata per renderla riconoscibile e abbinabile ad iniziative che si svolgono in maniera coordinata in tutta Italia.
Si torna dunque alla metapolitica “losca”, a quella strategicamente più infida, aggressiva ed “entrista”, al cavalcare le difficoltà e le contraddizioni agendo di soppiatto.
Nella stessa logica rientra l’aver messo in secondo piano nella comunicazione pubblica il termine “fascisti” per autodefinirsi, preferendogli spesso il termine meno inflazionato e più ampio di “sovranisti”, in un tentativo di vicinanza ed espansione ad altri ambienti, ben più vasti, della destra nazionale ed internazionale.

Una seconda considerazione è l’agognato ritorno sui social network, in particolare Facebook, da dove nel corso del 2019 erano stati estromessi. Se per Forza Nuova il ban da FB aveva lasciato sopravvivere le varie organizzazioni collaterali, per CasaPound invece la disfatta è stata quasi completa, con tutta la famiglia di associazioni collegate che avevano subito la medesima sorte della formazione politica principale.
Le Mascherine Tricolori sono dunque anche il tentativo di tornare nella piazza mediatica più grande, con già una decina di pagine attive su Facebook. Perché, sebbene la pagina Facebook de Il Primato Nazionale non abbia mai subito alcuno oscuramento e la pagina principale sia stata riammessa dopo l’azzardato pronunciamento di un tribunale, CasaPound ha visto il precedente capitale di quasi 1.000 pagine Facebook pressoché azzerato. Senza contare che contro questo pronunciamento è stato presentato ricorso da parte del social network, un ricorso con non poche speranze di successo visto che nel frattempo l’analogo processo intentato da Forza Nuova per gli stessi motivi ha invece avuto un esito negativo per la formazione fascista.

Le Mascherine Tricolori a tutta pagina sulla homepage de Il Primato Nazionale.

Se quindi CasaPound non insegue Forza Nuova nella gara a chi la spara più grossa sui temi della pandemia è chiaro che la cruciale decisione di non presentarsi più alle elezioni ha rimodulato anche le strategie con cui si muove nella società. Non è quindi un caso che sia proprio Il Primato Nazionale – che oramai ha conquistato una sua nicchia di lettori che va oltre l’autoreferenziale microcosmo del neofascismo – ad essere il principale sostenitore delle Mascherine Tricolori, ovviamente tacendo il collegamento con CPI.

Che il fine principale sia proprio la mediatizzazione e il raggiungimento di un pubblico più ampio, soprattutto il pubblico mirato da Il Primato Nazionale, è evidente da come sono realizzate le iniziative. Con l’esclusione di alcuni di quelli più grandi, comunemente i flash mob delle Mascherine Tricolori avvengono in piazze secondarie, sono rapidissimi e con poca o nessuna probabilità di essere visti dalla cittadinanza. Nell’ottica, che è prassi consolidata nelle attività di CasaPound, specie in quelle solidaristiche e di lavoro sul territorio, di creare una narrazione di presenza e di attivismo che però è ben lontana dalla realtà dei fatti.

In fin dei conti è la missione della metapolitica così come sempre interpretata da CasaPound Italia, innervare la società attraverso pratiche non immediatamente utili elettoralmente, occupare spazi sociali non direttamente politici, fare insomma un tentativo di egemonia culturale nel solco tracciato ormai decenni fa dalla Nouvelle Droite.

E, adesso che è tornata vantaggiosa, anche con l’ipocrisia dell’opacità.