Un cadavere scomparso, uno riesumato e altre morti sospette nella terra dove si coltivano quasi tutti i pomodori gustati sulle tavole italiane. Terra di taranta, uva e olive, con aziende agricole di antica eccellenza e innovazione. Dove però si lavora per appena 25 euro al giorno, rischiando anche la vita. L’ultimo recentissimo lutto per un bracciante pugliese dopo settimane di agonia, la morte di una lavoratrice sua concittadina, la notizia del decesso di un operaio agricolo originario del Mali, e dell’occultamento del suo corpo, hanno acceso i riflettori su un problema storico e al contempo nuovo. Mario Fraccascia, segretario regionale CGIL Agricoltura, ci racconta la Puglia dei campi e le vittime del caporalato 2.0, organizzato via WhatsApp.

 

«La morte di un bracciante originario del Mali e l’occultamento del suo corpo è quasi certamente notizia infondata. La Flai CGIL ha raccolto e riferito una voce che circolava, forse creata dai lavoratori stessi per sollecitare una sorta di protezione da parte dello Stato, nel timore di ritorsioni per le novità introdotte dal Governo e le proposte legislative per il contrasto all’interposizione nel reclutamento di manodopera. Soprattutto la confisca dei beni ai caporali, cioè a quanti si arricchiscono reperendo forza lavoro irregolare, sottopagata e costretta a condizioni pesantissime. I giudici stanno ora indagando sulla morte reale, dopo un mese di agonia, di un bracciante pugliese e di una sua concittadina, una lavoratrice stroncata da un infarto tra i filari d’uva, sotto il sole cocente, con una temperatura di oltre 40°. In un primo tempo la vicenda aveva rischiato di essere archiviata ma si è chiesto e ottenuto che la salma fosse riesumata per l’autopsia. Attendiamo i risultati: vogliamo sapere se ad uccidere i lavoratori è stata la fatica. La magistratura sta anche operando accertamenti per altri decessi, tutti di uomini africani».

Gli “alloggi” dei lavoratori extracomunitari nella zona di Lavello-Venosa, poco distante dal CIE di Palazzo S. Gervasio in provincia di Potenza (Basilicata). Foto Alessandro Fundone

Chi sono i caporali?

«Sono impresari dello sfruttamento, di nazionalità sia italiana che straniera, poiché devono conoscere bene la comunità sulla quale speculano per assicurarsi silenzio e omertà. Un caporale guadagna fino a 4.000 euro al giorno semplicemente grattando sul salario del lavoratore. Il capitale illecito viene poi investito nei pullman gran turismo coi quali si trasportano centinaia di lavoratori irregolari, oppure nell’edilizia. La Regione Puglia si è dotata da oltre un decennio di strumenti all’avanguardia per contrastare il fenomeno. Ma non basta perché l’illegalità non è confinata al Meridione, ma è presente anche in Lombardia e Piemonte, in Trentino, in Umbria. È patrimonio nazionale, purtroppo».

 

Come un tempo, la manodopera nei campi è composta soprattutto da donne?

«Nelle nostre campagne dei 180 mila lavoratori regolari, di cui 40mila stranieri, 2/3 sono donne. Dopo il crollo di Barletta in cui morirono quattro operaie, nel 2011, la magistratura avviò indagini anche nelle campagne. In circa 7mila aziende ortofrutticole che assumono lavoranti, secondo i controlli degli organi ispettivi, l’irregolarità arriva al 35%. Tuttavia, noi stimiamo che il dato reale svetti al doppio. In Puglia appena 600 grandi aziende assumono i 2/3 delle maestranze. Accanto a imprese di eccellenza e ai piccoli coltivatori diretti convive un’illegalità diffusa. Annidata anche nelle 500 aziende vinicole, un comparto che negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo enorme e il lustro internazionale».

 

La crisi economica ha aggravato le condizioni di lavoro?

«Paradossalmente l’agricoltura è un settore anticiclico, tutti gli indicatori lo confermano. Dal 2011, mentre la crisi globale sconquassava l’industria italiana, l’agricoltura pugliese registrava indici positivi, ancora oggi in continuo aumento. Si produce di più, serve più manodopera e nei campi arrivano a prestare lavoro nuove migliaia di persone licenziate da altri comparti, oltre alla consistente quota di stranieri. La differenza rispetto al passato è un livellamento, al ribasso, sia delle condizioni di lavoro sia dei salari. Per tutti: italiani e stranieri. Da contratto, la retribuzione base giornaliera ammonta a 54 euro. In nero si percepisce anche la metà. In Puglia si producono ottima uva da tavola e vino, dalla provincia di Foggia provengono due terzi dei pomodori consumati in Italia, il Salento va fiero del suo olio di pregio. La prossima raccolta di olive, tra l’altro, si preannuncia ottima, riscattando la scorsa stagione compromessa dalla mosca infestante. Ma molto è frutto di disumane sfacchinate: le macchine aiutano ben poco, ad esempio, nella raccolta delle ciliegie o delle angurie. Solo la raccolta dei pomodori è automatizzata: il resto arriva sulle nostre tavole perché una donna, italiana o straniera, si alza nel cuore della notte per trovarsi all’alba sul campo di lavoro, non si ferma mai per oltre otto ore, torna a casa dopo un viaggio anche di 5 ore tra andata e ritorno, per ricominciare il giorno dopo. E molte donne straniere sono vittime di un doppio sfruttamento: a Taranto sono in corso due processi per induzione alla prostituzione di cittadine rumene».

 

Foto Alessandro Fundone (2008)

Molti braccianti africani vivono in baracche di lamiera e cartone.

«Nel nostro territorio risiedono stabilmente 20.000 braccianti stranieri, per lo più rumeni, gli altri sono africani e si spostano in tutta Italia seguendo la stagionalità dei prodotti. La Puglia, ancor prima della rivolta dei lavoratori immigrati a Rosarno, ha predisposto l’accoglienza in alberghi ad affitto solidale, dove si dorme con 5 euro. I ghetti però restano e sono un pugno nello stomaco, un’offesa all’umanità, alla dignità di chi lavora e alla Costituzione».

 

Questo mentre la Puglia è presente all’Expo di Milano…

«La Regione ha i titoli in regola per mostrare capacità ed eccellenza produttiva a livello internazionale. Milano non è solo una vetrina, ma un’occasione per riflettere tutti, per capire quanto è importante la gestione della filiera. Il Governo ha promosso, ed è in vigore dal 1° settembre, la Rete del lavoro agricolo di qualità; ma sensibilità e impegno devono essere anche di chi acquista. È un tema culturale: non si può permettere che un chilo di uva Italia, pagato appena 40 centesimi ai contadini, nei supermercati arrivi a costare 2 euro. L’Expo ha contribuito a portare in primo piano molti aspetti dell’attuale produzione agricola, in Italia e nel pianeta. Finalmente ci si sta muovendo. Nel nostro Paese oltre alla confisca dei beni, come nei casi di mafia, verrà istituita una commissione d’inchiesta parlamentare sul fenomeno che, nonostante i precedenti non siano proprio brillanti, può essere un utile strumento se ben utilizzato. Servono poi banche dati regionali e nazionali e ulteriori provvedimenti in grado di contrastare caporalato e società in odore di interposizione nel reclutamento di manodopera. Un traffico illecito che oggi è reso più agevole anche dalle nuove tecnologie. Non c’è più bisogno di radunare i lavoranti in un punto stabilito, col rischio di essere individuati dalle forze di polizia. Si passano a prendere sotto casa, dopo averli convocati col metodo social più economico e rapido del mondo: un messaggino via WhatsApp».