Lo storico Giovanni De Luna (Imagoeconomica)

Perché Germania e Italia continuano a essere così distanti nel fare i conti con il passato della dittatura? “Credo dipenda dalle specificità delle diverse storie nazionali” risponde lo storico Giovanni De Luna, docente di Storia contemporanea all’università di Torino. Ma la cronaca di questi giorni fa pensare: lo scorso 24 settembre la senatrice a vita Liliana Segre è stata insignita in una toccante cerimonia al Senato dell’onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica tedesca “per lo straordinario impegno per ricordare la Shoah e l’instancabile lotta contro l’odio e l’intolleranza”, come ha ricordato l’ambasciatore Viktor Elbing che, alcuni mesi fa, aveva già insignito analogamente il Procuratore generale militare Marco De Paolis, il magistrato che ha celebrato i processi per le stragi nazifasciste in Italia e che, in una recente intervista a Patria Indipendente ha ricordato come “in Germania parlare oggi di nazismo e fare delle iniziative, come dare onorificenze, lavorare sulla memoria, significa non avere particolari problemi nel farlo, l’opinione pubblica lo accetta. In Italia, ogni cosa che viene organizzata sulla Resistenza e la Liberazione spacca, perché trova consensi da un lato e dall’altra innesca un meccanismo di delegittimazione e ridimensionamento per poter contrastare ciò che si dice a favore”.

Il lager di Stutthof (wikipedia)

Così, mentre in Germania, sempre nei giorni scorsi, Irmgard Furchner, la 96enne ex segretaria del lager di Stutthof, accusata di favoreggiamento nello sterminio di 11 mila persone, ha cercato di sfuggire al processo in cui è attualmente imputata, in Italia non sono mancati, anche alla vigilia delle elezioni amministrative, richiami nostalgici di qualche candidato di estrema destra.

Partigiani veneti (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Professor De Luna, perché tanta differenza tra Germania e Italia nell’affrontare il proprio passato?

Credo dipenda dalle diverse storie nazionali, anche se la tragedia dei totalitarismi è la stessa per tutti i Paesi, le ferite dell’Europa sono quelle che si confrontano con le lacerazioni del Novecento. Ma vanno considerate le singole storie nazionali: tra la nostra e quella tedesca la differenza è che loro hanno avuto la Germania anno zero, i conti con il nazismo erano nelle cose, le distruzioni materiali e morali di una nazione, da cui si poteva solo ripartire. L’Italia no: tra il 1943 e il 1945 è stata co-belligerante con gli Alleati, ha avuto la Resistenza e tutto questo, insieme a una serie di cose, ha evitato che il nostro Paese prendesse la strada di Norimberga. Che, di fronte al disastro immane del nazismo, fu la pietra miliare di quell’anno zero.

Sul banco degli imputati a Norimberga. In prima fila da sinistra: Göring, Hess, von Ribbentrop e Keitel. In seconda fila da sinistra: Dönitz, Raeder, Schirach e Sauckel

Una certa difficoltà dell’Italia ad abbandonare alcuni richiami fascisti viene quindi dal non aver processato i gerarchi fascisti così com’è stato con i nazisti? Colpa, infine, dell’amnistia e del processo di pacificazione?

Noi non abbiamo avuto Norimberga perché qui c’è stato un vero e proprio tempo sospeso, in cui il Paese ha iniziato a riscattarsi combattendo con gli angloamericani, per non parlare dei partigiani, che avevano già fatto la loro scelta. Norimberga fu una vendetta postuma, mentre noi non ne avevamo bisogno, quindi. E l’errore non è stato cercare la pacificazione nazionale, ma la guerra fredda, la costituzione dei due blocchi. In Francia, a ben vedere, l’epurazione è stata molto invasiva tra l’agosto del 1944, quando è stata liberata, e l’aprile 1945; dopo, anche qui si ferma, perché entrano in gioco i due blocchi contrapposti. A ben vedere, Norimberga è l’ultimo atto dell’alleanza contro Hitler: poi gli ex nazisti, scienziati e tecnici che interessano ai due blocchi vengono salvati o dai russi o dagli americani che se li portano a lavorare per loro.

Jorg Meuthen, leader (insieme a Tino Chrupalla) di Alternative für Deutschland – AfD, partito nazionalista tedesco (Imagoeconomica)

Le recenti elezioni tedesche hanno visto l’estrema destra in arretramento. In Italia sembra che invece non solo ci siano gruppi oltranzisti che provano ad alzare la voce, ma anche personaggi che si richiamano al fascismo nei partiti…

Naturalmente, non bisogna mai abbassare la guardia perché l’Italia ha molti tratti di quel fascismo che Piero Gobetti definiva l’autobiografia della nazione, per cultura, per abitudini e convinzioni. Ma gli anticorpi che abbiamo interiorizzato sono tanti e, prima che qualcuno si legittimi come erede del fascismo, devono capitare delle catastrofi. Basti vedere la vicenda di Salvini che chiedeva i pieni poteri, come peraltro Berlusconi prima di lui, e che è stata bruscamente interrotta. Ci sarà quindi sempre una destra italiana che ha un flirt con il passato, ma gli anticorpi ci sono.