Brasile, Salvador Bahia, La statua alta due metri realizzata dalla scultrice soteropolitana Márcia Magno in memoria di Zumbi dos Palmares. Foto di Antonella Rita Roscilli
Brasile, Salvador Bahia, La statua alta due metri realizzata dalla scultrice soteropolitana Márcia Magno in memoria di Zumbi dos Palmares. Foto di Antonella Rita Roscilli

La schiavitù degli africani in Brasile terminò ufficialmente nel 1888 con la “Legge Aurea” che portava la firma dalla principessa Isabel, figlia dell’imperatore Dom Pedro II e di Teresa Cristina di Borbone. Da un giorno all’altro migliaia di africani e brasiliani afrodiscendenti ottennero la libertà, ma si ritrovarono per strada, spesso senza nulla. Mai vennero risarciti, mai vennero aiutati a inserirsi nella società, mai vennero rispettati.

La stessa cosa accadde per i popoli indigeni del Brasile, ancora oggi in lotta per il riconoscimento di terre e culture, e che invece dovrebbero essere orgoglio e base della ricchezza culturale nazionale.

Le conseguenze della mancata inclusione si avvertono fino ad ora anche se i vari governi che si sono avvicendati tra il 1996 e il 2016 hanno creato programmi di integrazione scolastica e sociale: un buon inizio per un Paese di 205 milioni di abitanti, dimensioni continentali e una storia fatta di colonizzazione e dittature. Eppure il razzismo esiste e a morire sono prevalentemente indigeni e afrodiscendenti poveri, periferici, invisibili, innocenti o caduti nelle reti della malavita. La lotta al razzismo coinvolge aspetti relativi al contradditorio processo di sviluppo brasiliano che ha prodotto violenze visibili in varie forme.

Una favela, emblema della condizione di povertà in Brasile (da https://www.lagone.it/wp-content/uploads/2020/06/favelas-brasile-702×424-680×365.jpg)

Un dato allarmante dell’Ibge (Istituto brasiliano di geografia e statistica) sottolinea che i brasiliani afrodiscendenti sono quelli più colpiti da disoccupazione, lavoro minorile, analfabetismo e non solo. Nel 2018 tra coloro che abitavano case con carenze igieniche, 69.404 milioni erano afro, 25.015 milioni erano bianchi; senza raccolta di rifiuti viveva il 12,5% degli afro contro il 6% dei bianchi; senza approvvigionamento idrico il 17,9% contro 11,5% dei bianchi; senza fognature sanitarie il 42,8% contro il 26,5% dei bianchi.

Le disuguaglianze etnico-razziali hanno origini storiche, ma alla base, come afferma lo studioso Milton Santos, il preconcetto razziale in Brasile continua ad essere “impregnato di connotazione strutturale”. Il segno più noto è la “naturalizzazione della discriminazione” che porta anche molti giovani ad abbandonare la scuola. Come afferma lo studioso baiano Moisés Oliveira “l’inclusione sociale aiuterebbe a combattere violenza e discriminazioni razziali, ma è necessaria una volontà politica per comprendere il ruolo dell’educazione sociale per i giovani poveri, periferici e afrodiscendenti che, attraverso l’istruzione scolastica, possono avere possibilità di dare un nuovo significato alla propria vita”.

Brasile violenze proteste
Da https://static.ilmanifesto.it/2020/06/03est2-brasile9.jpg

In realtà tutto quello che è avvenuto in termini di riscatto storico e inserimento sociale è il risultato di secolari e faticose lotte, spesso negate da una parte dell’opinione pubblica. Negate perfino dai libri di storia se pensiamo che fino alla fine degli anni 80 il modo in cui si studiava la storia del Paese era sempre a partire dal colonizzatore, ossia da una visione eurocentrica ove l’eroe era sempre bianco ed europeo. Alcuni studiosi la definiscono “alienazione coloniale” perché impedisce al popolo di pensare alla storia partendo dalle proprie lotte. Nei libri didattici le popolazioni indigene e le popolazioni afrodiscendenti non apparivano come parte integrante nella costruzione di questo complesso  territorio che prima dell’arrivo dei colonizzatori portoghesi, si chiamava Pindorama. Il negazionismo impedì quindi il riconoscimento della realtà, di quella storia fatta di grida, lotte per la libertà e sangue. Dopo 350 anni di schiavitù, 3 secoli di colonizzazione, 21 anni di dittatura,  le lotte per il riconoscimento della storia a partire da uno sguardo interno iniziarono con la redazione della Costituzione del 1988 e ancora continuano. Oggi sappiamo che dove esistette violenza e schiavitù ci fu anche tanta Resistenza e vi furono personaggi che si immolarono  in nome della libertà.

Una delle forme della Resistência Negra nel secolo XVII era la fuga e il conseguente raggruppamento all’interno della foresta in comunità chiamate quilombos, che in lingua quimbundu significa unione. Oltre ad africani che fuggivano dall’olocausto della schiavitù, la popolazione si componeva di indigeni, bianchi poveri ed esclusi dal progetto coloniale portoghese. I quilombos erano una seria minaccia per il potere colonizzatore e perciò sistematicamente attaccati da spedizioni portoghesi, ma continuarono a sorgere soprattutto nel Nordest. Venivano fondati in luoghi di difficile accesso e organizzati come piccoli Stati con leggi e norme proprie.

Quilombo dos Palmares, dove sorse la comunità di schiavi fuggiti nel Brasile coloniale. Si trovava nella Capitaneria di Pernambuco, oggi nello stato brasiliano di Alagoas
Quilombo dos Palmares, dove sorse la comunità di schiavi fuggiti nel Brasile coloniale. Si trovava nella Capitaneria di Pernambuco, oggi nello stato brasiliano di Alagoas (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ commons/thumb/e/e1/Brazil_State_Alagoas.svg/ 375px-Brazil_State_Alagoas.svg.png)

Tra essi  il quilombo di Palmares fu il più grande nucleo di resistenza per estensione e durata, e diede i natali a Zumbi dos Palmares, eroe e simbolo di lotta contro la schiavitù. Fondato nel 1597 nella Serra da Barriga, all’epoca capitania del Pernambuco, Palmares occupava un’area grande quasi come il Portogallo e rimase attivo per circa 100 anni. Fu la prima Repubblica democratica libera brasiliana, con 30.000 abitanti (il 15% della popolazione totale del Brasile), 11 villaggi (mocambos) e 1.500 case. Aveva una giurisdizione propria e non esistevano poveri perché il possesso della terra era colletivo, la divisione dei prodotti era ugualitaria. Si svilupparono artigianato, commercio e agricoltura differenziata, cioè non ristretta alla coltivazione della canna da zucchero, come invece volevano i portoghesi. Dal punto di vista politico-militare il quilombo possedeva un capo generale e si divideva in vari mocambos ognuno dei quali aveva un capo locale politico-militare.

Dal 1602 al 1694 furono intraprese diverse spedizioni per distruggere Palmares, sia dai portoghesi sia dagli olandesi che nel 1630 avevano invaso il Pernambuco. Nel 1662 dopo una cruenta battaglia vennero fatti prigionieri molti degli abitanti. Tra loro c’era un bimbo, aveva poco meno di 6 anni: fu condotto nel distretto di Porto Calvo dal padre gesuita Antonio Melo che lo battezzò col nome di Francesco, gli insegnò a leggere e a scrivere in portoghese e in latino. Francisco crebbe trattato come un figlio, ma soffriva nel vedere tanti africani umiliati e perseguitati. Capì che la cosa più importante non era vivere libero, ma attivarsi e lottare per la libertà dei suoi fratelli. Perciò all’età di 15 anni tornò nel villaggio dove era nato libero. Qui ricevette il nome di Zumbi. Si fece notare subito per destrezza e astuzia. A 20 anni era già un rispettato stratega militare. Nel 1678 Pedro de Almeida, governatore della Capitania di Pernambuco, stanco dei lunghi conflitti, si riappacificò con i leader di Palmares offrendo libertà a tutti gli schiavi fuggitivi a condizione che si sottomettessero alla corona portoghese. Il leader Ganga Zumba voleva accettare, ma Zumbi rifiutò la proposta perché avrebbe favorito la continuità del regime di schiavitù. Il popolo lo proclamò nuovo leader e le lotte si protrassero fino al 1694.

Il 6 febbraio di quell’anno venne distrutta la capitale Macaco, Zumbi ferito riuscì a fuggire nella foresta ove resistette ancora per un anno. Lo uccisero nella battaglia del 20 novembre 1695. Fu squartato e la sua testa esposta fino alla completa decomposizione nella piazza pubblica di Recife, per impaurire gli africani schiavizzati e smentire la leggenda secondo cui Zumbi era immortale.

Dal 2003 in Brasile la data della sua morte è stata inclusa nel calendario nazionale per la celebrazione della “Giornata della Coscienza Negra”. Dio della guerra, Morto Vivo, Forza dello spirito presente: qualunque sia il significato del suo nome, Zumbi dos Palmares è oggi il maggior simbolo della Resistenza Negra in Brasile.

C’è chi dice che anche nei quilombos fosse stata impiantata la schiavitù e che lo stesso Zumbi dos Palmares avesse schiavi al suo seguito, ma diversi studiosi hanno specificato che, in realtà, si trattava di un periodo di servitù a cui erano sottoposti i nuovi arrivati prima di essere integrati nel quilombo. Erano considerati membri delle case dei cittadini stabili, ai quali dovevano obbedienza. Imparavano a lavorare, apprendevano leggi, ma una volta integrati, avevano tutti i diritti sociali e potevano anche essere eletti capi: una cosa ben diversa dall’olocausto della schiavitù a cui erano sottoposti indigeni e africani dai colonizzatori.

Sono trascorsi secoli, ma la memoria di Zumbi dos Palmares permane e la sua storia è raccontata orgogliosamente dagli abitanti della regione dove lottò e si immolò per la libertà. Identificare, propagare e mantenere viva la sua importanza significa lottare contro il razzismo e in questo senso è stata importante l’inaugurazione della statua di Zumbi dos Palmares a Salvador Bahia, la città più africana fuori dell’Africa. L’opera in bronzo, realizzata dalla scultrice soteropolitana Márcia Magno, è alta due metri e si erge in Praça da Sé, in pieno centro storico. Nacque da un progetto della Ong “A Mulherada” insieme ad altri enti. Dal 2008 ha preso il posto della statua del fondatore della città, il portoghese Tomé de Souza, importante personaggio, ma spostato in altra piazza che porta il suo nome. Anche questo significa educare le generazioni attuali e future, ridando il giusto posto e la dignità a personaggi e a popoli martoriati.

Antonella Rita Roscilli, giornalista, brasilianista