“Il lavoro in sicurezza per ricostruire il futuro” è stato lo slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil per la piazza virtuale del Primo maggio, affidata alla sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma che alla vigilia si è illuminata con i colori della bandiera italiana. Sicurezza. Perché nonostante il momento storico ci avesse imposto un immobilismo fisico, le morti sul lavoro non sono cessate. Solo in questi ultimi giorni a Roccastrada (Grosseto) un operaio giardiniere è morto, precipitando dall’albero che stava potando. Ad Ariano Irpino (Avellino) un altro operaio è deceduto durante i lavori di manutenzione di un cavalcavia Anas, travolto da una trave che si è staccata dalla gru.

Foto Imagoeconomica

Il tutto mentre l’Inail certifica 28mila denunce di contagi Covid19 sul lavoro e almeno 98 morti, aggiornati al 21 aprile. Prendendo in considerazione le diverse attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale – in cui rientrano ospedali, case di cura e case di riposo – registra il 72,8% dei casi di contagio sul lavoro.

È scoraggiante, tuttavia, soppesare la diversa visibilità attribuita dall’informazione alla contabilità degli scomparsi per l’una o per l’altra tragedia. Non ci sono morti più importanti degli altri.

L’autrice e attrice Betta Cianchini (da https://it-it.facebook.com/betta.cianchinidue)

Attraverso statistiche e cronache, la dimensione drammatica degli incidenti sul lavoro sfuma d’intensità. È quanto viene denunciato dalla pièce “L’Italia è una Repubblica affondata sul lavoro” di Betta Cianchini, andata in scena settimane prima del lockdown, amarissima correzione al testo dell’articolo 1 della nostra Costituzione. Perché anche se non è l’arte a risolvere i problemi della società, li può denunciare.

«Ancora un altro operaio. L’operaio… Detta così sembra non sia successo niente. L’operaio è una parola che non fa male a nessuno. Mio figlio non era un numero. Era carne e ossa che mi hanno sfracellato in pezzi. Una poltiglia che è rimasta a terra» dice Maria, madre di Massimo, protagonista assente dello spettacolo teatrale.

Uno spettacolo politico e di forte impatto emotivo, che narra il dramma delle morti sul lavoro.

Marina Pennafina, Betta Cianchini e Chiara Becchimanzi, interpreti della pièce (da https://www.oltrelecolonne.it/wp-content/uploads/2020/01/L%E2%80% 99Italia-%C3%A8-una-Repubblica- affondata-sul-lavoro-35- e1578859931480.jpg)

In meno di un’ora, scorre sulla scena non solo il racconto della tragedia, ma anche tutto il flusso di sentimenti, reazioni e ammonizioni che da quella esperienza nascono. E che possono avere un senso civile ed esistenziale per tutti gli spettatori, non solo per quelli che abitualmente devono fare i conti con la sicurezza sul proprio posto di lavoro. Di Massimo vediamo solo una bara, perché Massimo è morto mentre lavorava. Ma vediamo sua madre che non vuole che nella camera ardente entri «la gente che conta… che conta i morti ammazzati. Ma solo dopo che sono morti. Prima no. E che gliene frega. Non li voglio vedere. Me lo hanno ammazzato loro mio figlio».

I passaggi narrativi si animano su un palcoscenico disadorno, metafora di un mondo vuoto in cui la parola si pone come elemento centrale. La parola: arma bianca contro le morti bianche. Che poi di bianco queste morti non hanno proprio niente. Bianco allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’accaduto, invece la mano responsabile c’è sempre. Più di una.

La drammaturgia prende spunto da un fatto di cronaca italiana. «Leggevo un trafiletto su un giornale che diceva: giovanissimo operaio morto sul posto di lavoro schiacciato da una gru. A riguardo c’era solo un numero, 3.5, che è la media in Italia delle morti sul lavoro. Nient’altro. Ho pensato alla madre, immedesimandomi, che ha visto il figlio uscire di casa per andare a lavorare e non ritornare mai più – spiega l’autrice Cianchini –. E ho visto questa madre felice per il figlio che ha firmato il suo primo contratto, che ha una tredicesima e, a ritroso, mentre immagina un felice avvenire per il figlio che ha in grembo».

Di lavoro si muore principalmente per mancanza di controlli. Oggi abbiamo la metà degli ispettori che vi erano dieci anni fa: un’impresa può nascere, vivere per anni e morire senza mai essere controllata. Il Testo Unico Sicurezza del Lavoro è stato approvato nel 2008 e alcuni dei suoi articoli non sono mai stati attuati. Dodici anni fa. La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo già in passato aveva definito la questione delle morti sul lavoro “un’emergenza nazionale” ed ha avviato dei tavoli di confronto con le parti sociali e con il ministro della Salute Roberto Speranza per urgenti interventi normativi.

All’emergenza lavorativa si è però sovrapposta quella sanitaria, che in questa tanto attesa Fase2 si concentrerà sulla sicurezza dei lavoratori dal possibile contagio da coronavirus, secondo nuove misure contenute nel decreto del 26 aprile, in accordo con sindacati e imprese. Quanto cambierà in termini di morti sul lavoro se lo stanno chiedendo in tanti.

Mariangela Di Marco