Il dialogo tra passato e futuro, fondato sulla cultura, ci permette di vivere la complessità del presente; ed è premessa e condizione della nostra dignità. Sia quella che spetta a tutti noi – cittadini e stranieri – in astratto, in quanto persone. Sia quella che spetta a ciascuno di noi – cittadino o straniero – in concreto, nello svolgimento della propria personalità attraverso il superamento degli ostacoli di ordine economico e sociale che ne impediscono il pieno sviluppo e ne limitano la libertà e l’eguaglianza.

La memoria del passato è proposta dal linguaggio delle pietre e degli oggetti che esprimono quel passato. Il progetto del futuro è proposto dal linguaggio dell’erba, dei fiori, degli alberi, dell’acqua, della terra e dell’aria che ci circondano e che continuiamo sempre più a violentare e a cercare di far tacere, con la nostra pretesa dissennata di dominio e di sfruttamento dell’ambiente.

Il nostro rapporto con la bellezza e con la ricchezza del passato e con quelle della natura è componente essenziale della dignità oggi e soprattutto domani (se riusciremo a salvarle). Quel rapporto deve essere reso consapevole, possibile e sviluppato – grazie alla cultura e alla ricerca – attraverso la conservazione delle tracce del passato e la tutela dell’ambiente, di fronte ai guasti sempre più irreparabili che essi subiscono a livello globale ed a livello locale.

Altrimenti si rischiano la compromissione e la perdita della nostra identità; si diminuiscono le possibilità della nostra sopravvivenza. Quindi si incide pesantemente sulle condizioni della dignità di tutti in astratto e di ciascuno in concreto.

Basta ricordare la distruzione delle vestigia del passato, dai Budda di Bamiyan ai templi di Palmira; o le innumerevoli catastrofi ambientali con il loro corteo di inquinamenti, di morti, di desertificazione, dal lago di Aral alla deforestazione. O ancora – per restare a qualche esempio di casa nostra – le aggressioni alla Valle dei Templi di Agrigento; la cementificazione delle pendici del Vesuvio e delle coste; l’inquinamento del mare e dei fiumi.

La parete di roccia dov’era il Buddha di Bamiyan fatto saltare in aria dai talebani (dahttps://it.wikipedia.org/wiki/Buddha_di_Bamiyan#/media/File:Bouddhas_de_B%C3%A2miy% C3%A2n_-_Aout_2005.jpg)

Da ciò l’importanza dell’articolo 9 della Costituzione per una riflessione sia sulla promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca; sia sulla tutela della memoria (il patrimonio culturale ed artistico) e sul progetto del presente e del futuro (il paesaggio, rectius l’ambiente). Una riflessione sul rapporto fra spazio (paesaggio, territorio e ambiente) e tempo (patrimonio storico e artistico) nel contesto della globalizzazione; di fronte a tutto il seguito di interrogativi e di contraddizioni che quest’ultima solleva a proposito della dignità.

Nella logica e nella continuità del rapporto fra memoria del passato e progettualità per il futuro, quella riflessione iscrive i beni cui si riferisce l’articolo 9 della Costituzione nella categoria di quelli comuni, come ricorda il giurista e maestro Stefano Rodotà, da poco scomparso. È una riflessione che cerca di seguire il percorso di salvaguardia, di sviluppo, di accessibilità di quei beni nella prospettiva di un’economia della cultura, con i suoi limiti e le sue peculiarità; non nella prospettiva di un’economia di cultura, con i suoi tagli sbrigativi alle risorse e agli strumenti o con il predominio della logica di sfruttamento. Cerca di superare l’equivoco e la tendenza a comprimere la fruizione di quei beni da parte di tutti in una logica soltanto di profitto per pochi; o al contrario la pigrizia di abbandonarla al disinteresse.

Infine è una riflessione dedicata all’ambiente come arcipelago di valori spesso in conflitto fra di loro, di cui offre da ultimo una fotografia spietata l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. L’enciclica riporta alla mente il ricordo della predicazione di San Francesco: non quella ai passeri a Bevagna, della tradizione agiografica illustrata da Giotto ad Assisi; ma la predicazione agli uccelli rapaci, quando il Santo si allontanò da Roma perché i romani non volevano ascoltarlo. Gli uccelli, rapaci, come il lupo di Gubbio, però, secondo la tradizione, ascoltarono il Santo a differenza – temo – dei rapaci di oggi, molto più agguerriti ed ostinati.

L’ambiente è un concetto multiforme e pluricomprensivo. Non sono agevoli né la sua delimitazione e definizione, né la sua riconduzione ad obiettivi precisi e regole di tutela. Offre prova di ciò il lungo e faticoso percorso che ha preceduto la riforma nel 2015 del sistema di prevenzione e di repressione dei cosiddetti ecoreati, attraverso il passaggio da una prospettiva antropocentrica ad una ecocentrica.

I pannelli del trittico

Il famoso Trittico Stefaneschi di Giotto

Il trittico delineato dall’articolo 9 fra cultura, ambiente e paesaggio, patrimonio storico e artistico, è una premessa fondante della dignità umana. È una componente insostituibile del suo riconoscimento e della sua affermazione, salvaguardia ed accrescimento. Un livello dignitoso di cultura, un ambiente dignitoso di vita, un’identità dignitosa fondata anche sulla consapevolezza del comune passato (non soltanto degli errori ed orrori di quest’ultimo), sono condicio sine qua non per il percorso di ciascuno di noi verso quella pari dignità sociale che esprime la dignità di tutti in quanto persone.

In quel trittico il pannello centrale è dedicato alla cultura, che deve essere sviluppata e alla ricerca scientifica e tecnica, che deve essere promossa; i pannelli laterali sono dedicati al paesaggio e al patrimonio storico e artistico, che devono essere tutelati.

Nel quadro dei princìpi fondamentali – insieme alla democrazia, alla libertà, all’eguaglianza, alla solidarietà, alla laicità ed agli altri princìpi che segnano la nostra convivenza – quel trittico è profondamente attuale, concreto. Ma richiede numerosi e incisivi interventi di restauro.

È sufficiente pensare alla povertà della cultura; alle difficoltà e ostacoli della ricerca; al degrado ambientale e del patrimonio storico e artistico. Le risorse disponibili non sono poche, ma sono spesso malgestite o trascurate; o sono al più viste troppo spesso in una logica soltanto di sfruttamento e di profitto.

Per questo è essenziale il superamento di una sorta di disattenzione che vi è stata sin dall’origine verso il primo comma dell’articolo 9, dedicato alla cultura e alla ricerca (ndr: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”). Era considerato – si diceva – una “pseudodisposizione infelice” priva di valore normativo, perché indeterminata e destinata a trovare spiegazione e concretezza nei successivi articoli 33 (libertà di arte e scienza e del loro insegnamento) e 34 (accesso di tutti alle scuole). Perciò era trascurato a favore dell’indagine sul secondo comma (ndr: Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione).

La peculiarità e la novità dell’articolo 9 nella sua unità stanno invece nella stretta connessione tra le due componenti del primo e del secondo comma: una connessione da riscoprire e da valorizzare. Essa condiziona l’interpretazione di ciascuna delle due componenti e quella dell’insieme della norma in termini di circolarità; rende superata e non più attuale la pretesa di una loro trattazione separata. La Corte Costituzionale (sentenza n. 388 del 1992) avverte che l’articolo 9 della Costituzione «impegna la Repubblica ad assicurare, tra l’altro, la tutela del patrimonio culturale nazionale e la tutela dell’ambiente, ad assecondare la formazione culturale di cittadini e ad arricchire quella esistente, a realizzare il progresso spirituale e ad acuire la sensibilità dei cittadini come persone».

Da https://rizzoroberto.files.wordpress.com/ 2014/03/9524e-tempo58.jpg

Per interpretare il secondo comma dell’articolo 9 e il suo legame con il primo comma; per cercare di capirne il contenuto e la portata occorre muovere da un effetto tipico della globalizzazione, del progresso tecnologico, della prevalenza dell’economia e del mercato, del dominio della rete: la concentrazione dello spazio e del tempo.

Dalla concentrazione dello spazio derivano sia la mobilità delle persone, dei beni, delle idee; sia il superamento delle frontiere (in realtà apparente e precario od a senso unico, come insegnano l’esperienza di Schengen e il dramma dei migranti in Europa); sia la svalutazione della dimensione territoriale reale a favore di una dimensione virtuale che ha inquinato anche molti altri aspetti della vicenda umana, a partire dall’economia.

La concentrazione del tempo è l’altra faccia di quella dello spazio; sconfina anch’essa nella dimensione virtuale a discapito del reale. Annullando lo spazio si annullano o si comprimono grandemente i tempi per superare le distanze; si elimina la gradualità necessaria per assimilare le diversità, attraverso l’assuefazione progressiva alle distanze; si accentua il contrasto fra l’accelerazione dei cambiamenti e dei ritmi di vita e la naturale lentezza dell’evoluzione biologica.

Giovanni Maria Flick (foto Imagoeconomica)

Tuttavia lo spazio e il tempo sono le coordinate essenziali della nostra identità e della nostra dignità. La loro scomparsa e la loro riduzione ci portano spesso a una crisi di identità, di insicurezza e di solitudine; oppure, al contrario, ad una crisi di uniformità e di massificazione.

Alla svalutazione dello spazio si reagisce con lo sviluppo, la valorizzazione e l’enfatizzazione del diritto al territorio. Alla svalutazione del tempo si reagisce con la rivalutazione del diritto alla memoria.

La cultura del territorio e della memoria è il primo ed essenziale valore per uscire dalla crisi che stiamo vivendo: una crisi non solo finanziaria, ma soprattutto di cultura. La cultura come condivisione di esperienze tra istituzioni e società civile, tra popolazioni, tra individui; come strumento essenziale per conoscere il passato e costruire il futuro; come lettura della nostra storia attraverso lo scavo.

Oltre alla lingua parlata e scritta, sono perciò componenti essenziali della cultura la lingua del paesaggio, quella delle pietre, la lingua dell’arte, quella della musica: rivolte a tutti e comprensibili da tutti. Perciò nell’articolo 9 della Costituzione la cultura insieme alla ricerca è evocata come la premessa – di cui promuovere lo sviluppo – della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico (l’impegno del presente e del futuro; l’eredità del passato) per progettare il futuro e uno sviluppo sostenibile in esso.

da https://greenjobmessina. files.wordpress.com/ 2011/05/eduamb.jpg

Il patrimonio culturale storico, artistico e ambientale – che sono inscindibilmente connessi fra di loro e con il primo, in una interdipendenza reciproca (“simul stabunt, simil cadent”) – sono il segno più evidente dell’identità di una comunità, della sua unità e delle sue divisioni, della sua storia.

La conoscenza del patrimonio culturale, di quello storico e artistico, di quello paesistico e ambientale – ai diversi livelli – e la loro fruizione da parte di tutti i membri della comunità, in condizioni di eguaglianza e di agevole accessibilità, sono condizione per il pieno sviluppo della persona umana; per il raggiungimento e per il riconoscimento della sua pari dignità sociale (articolo 3 della Costituzione).

Questa funzione è certamente prioritaria rispetto all’obiettivo di produrre reddito attraverso lo sfruttamento del patrimonio culturale. Essa è altresì essenziale per superare la frattura – altrimenti difficilmente evitabile – tra l’“oggetto (e il monumento) bello, antico, prezioso, raro” e la quotidianità; tra lo spazio chiuso e troppo spesso elitario del museo o del monumento e lo spazio aperto della vita e dell’esperienza comune di tutti.

In questo senso è stimolante la concezione del territorio e di ciò che racchiude come patrimonio di ciascuno e di tutti: nostro; di chi ci ha preceduto in passato; di chi convive con noi su di esso; di chi ci succederà in futuro su quel territorio; con le nostre e le loro tracce, i nostri e i loro interventi. Il territorio esprime attraverso quelle tracce ed interventi la sovranità di ciascuno di noi su di esso; è vivo e presente in ciascuno e in tutti noi attraverso la memoria.

In questo senso può e deve essere interpretato l’articolo 9 della Costituzione, nella sua unità: come un’indicazione fondamentale per la sopravvivenza ed il futuro della nostra identità attraverso il richiamo al suo passato.

Giovanni Maria Flick, giurista, politico e accademico italiano, Ministro di grazia e giustizia del governo Prodi e presidente della Corte costituzionale fino al febbraio 2009