La celebre foto di Robert Capa, morte di un soldato repubblicano, Spagna, 1936

Il 23 dicembre 1938 i franchisti sferrarono l’offensiva contro la Catalogna. II fronte cedette rapidamente. A metà gennaio cadeva Tarragona, il 25 di quello stesso mese nazionalisti e italiani entravano a Barcellona.

Con la caduta della Catalogna si apriva l’ultima, drammatica fase della guerra. Essa doveva svolgersi su due teatri diversi. II primo fu la frontiera con la Francia. Una valanga crescente di donne, vecchi e bambini, fra i quali si confondevano spesso migliaia di soldati repubblicani, si spostava verso il confine. Il 28 gennaio passarono 13.000 persone. II Thomas dà le cifre di quell’esodo, che per di più avveniva in condizioni rese ancora più tragiche dal rigore dell’inverno: 10.000 feriti, 170.000 donne e bambini e 60.000 civili di sesso maschile, ai quali si aggiunsero, fra il 5 e il 10 febbraio, circa 250.000 uomini dell’esercito repubblicano.

«La frontiera si era trasformata nel teatro di una immane tragedia. I profughi arrivavano stremati dalla fame e dalla fatica, con gli abiti zuppi di pioggia e di neve. Ma pochi si lamentavano. Benché stroncati dal disastro, i repubblicani spagnoli camminavano a testa alta con passo fermo e dignitoso».

Il governo repubblicano poteva però contare su una porzione del territorio ancora ragguardevole che comprendeva la capitale, Madrid, Valenza e alcune città minori, e un esercito che contava circa mezzo milione di uomini, in realtà sommariamente equipaggiati e armati solo in parte. Tutto ciò poteva ancora costituire una base, sia per continuare la guerra in attesa che la situazione internazionale si facesse più chiara, sia per trattare una pace che non fosse una pura e semplice resa senza condizioni.

Da parte franchista, però, quella disposizione ad avviare una trattativa che, sia pure non confessata, era parsa a un certo momento con notevole chiarezza, era del tutto scomparsa. Si voleva la resa pura e semplice e, con la resa, il riconoscimento di una vittoria che già si annunciava come una sanguinosa vendetta.

Mussolini e Francisco Franco, da https://static2-blog.corriereobjects.it/wp-content/blogs.dir/215/files/2016/07/mussolini_franco.jpg?v=1468055712

I comunisti, sia i capi militari che i politici, rimasero isolati a sostenere la possibilità e la necessità della continuazione della guerra. Il presidente della Repubblica, Azaña, aveva rifiutato di tornare in Spagna e il primo ministro, Negrin, sembrava sempre più orientato a cercare un modo per mettere fine alla guerra.

Il 27 febbraio, quasi a coronamento di una politica di cedimenti e di compromessi perseguita per circa due anni, Francia e Inghilterra riconoscevano ufficialmente il governo nazionalista. L’Unione Sovietica denunciò aspramente la «politica capitalista di capitolazione dinanzi all’aggressore», anche se alla denunzia non era possibile far seguire nessuna iniziativa concreta.

Intanto, a Madrid, la congiura cominciava a prendere forma.

Osserva il Thomas che «due anni e mezzo dopo la sollevazione militare di Sanjurjo, Mola e Franco, la guerra finì com’era cominciata, con la ribellione di un gruppo di ufficiali contro il loro governo».

E in realtà attorno al colonnello Casado, comandante dell’Armata del centro, si andavano raccogliendo gli elementi politici e militari che avrebbero consegnato Madrid e il resto della Spagna leale ai nazionalisti. Quando anche gli anarchici, nella speranza di infliggere un colpo definitivo ai comunisti, entrarono nella congiura, essa non aveva ormai bisogno che di concludersi apertamente. Quando, il 26 febbraio, Negrin convocò i capi militari nell’aeroporto di Los Llanos, vicino a Valenza, la maggioranza dei comandanti d’armata, il comandante della marina e quello dell’aviazione si dichiararono contro la possibilità di continuare a combattere. Il vecchio Miaja, comandante in capo, si espresse a favore della continuazione della guerra, ma parve a tutti che le sue non fossero che parole.

Picasso, Guernica

Si era ormai al 1° marzo. Negrin invitò a un incontro il generale Matallana, capo dei trasporti dell’esercito e il colonnello Casado, i quali ribadirono la loro opposizione alla continuazione della guerra. La sera di quello stesso giorno, Casado comunicò ad alcuni suoi colleghi la decisione di ribellarsi al governo. Qualche giorno dopo, rifiutato per l’ennesima volta l’invito rivoltogli da Negrin di un nuovo incontro a Yeste, Casado accettò, nel corso di una riunione dei capitolardi, di diventare presidente del futuro Consiglio Nazionale, che avrebbe dovuto perfezionare la resa.

Quella sera stessa del 4 marzo, Casado e il socialista Besteiro parlarono alla radio in termini che rivelavano, nonostante la riaffermata decisione di «continuare a combattere», la loro volontà di capitolare.

Come nei primi giorni della ribellione, il telefono riprese nuovamente la sua funzione di protagonista. Dal telefono, appunto, Negrin seppe dallo stesso Casado, che costui si era ribellato. Era la fine. I maggiori dirigenti repubblicani, compreso Negrin, non avevano altra alternativa che abbandonare il Paese, ormai in preda al caos.

Solo a Madrid la volontà di resistere era ancora viva. Agli ordini del generale Barceló, reparti del I, II e III Corpo d’Armata controllavano la città, battendosi contro le truppe agli ordini degli uomini di Casado.

Intanto il Consiglio Nazionale, di cui Casado era presidente, aveva reso note le sue «condizioni» per una trattativa. Esse erano evidentemente deboli e, tutto sommato, generiche. II Consiglio non era concretamente in grado di porre alcuna condizione.

Le trattative vere e proprie fra le due parti, iniziarono effettivamente l’11 marzo, quando il colonnello Cendaños, che comandava un parco di artiglieria, informò il generale Casado, durante un incontro, di essere il rappresentante di Franco a Madrid. Egli chiedeva la resa senza condizioni, anche se, successivamente, illustrò un memorandum del comando franchista che sembrava offrire alcune garanzie, nel senso di non trasformare la vittoria in una vendetta indiscriminata.

Una specie di trattativa venne condotta tra il 23 e il 24 marzo, fra gli emissari repubblicani, colonnelli Garijo e Ortega e quelli fascisti, Gonzalo e Ungria. Si trattava di trattative più che altro formali. La ripresa dell’offensiva delle armate nazionaliste doveva renderle del tutto inutili.

II 28 marzo l’Armata centrale si arrese, mentre le armate fasciste raggiungevano gli obiettivi contro i quali i loro assalti si erano infranti ripetutamente per due anni e mezzo.

A mezzogiorno di quel 28 marzo, un generale assai meno noto dei «quattro» ribelli del luglio 1936, occupava Madrid indifesa. Madrid, eroica e invincibile, era stata consegnata al nemico.

Quello che per oltre due anni era stato il corazon del mundo, aveva cessato di battere.

(Da “30 anni di Spagna” a cura di Ignazio Delogu e Cesare Colombo – edizioni ANPI-Roma, 1969)

 


Cronologia del 1939 in Spagna

25 gennaio: I fascisti raggiungono i sobborghi di Barcellona. La capitale catalana viene occupata il giorno appresso.

10 febbraio: Nel Castello di Figueras ultima riunione delle Cortes in Spagna. Il presidente Negrin nel suo discorso afferma: «II popolo di Spagna si batte per la sua libertà e in pari tempo per l’avvenire di tutte le democrazie. Esso difende, contro gli Stati fascisti, gli interessi dei Paesi che hanno reso più difficile la nostra lotta e che nella situazione attuale fanno una politica con la quale sperano di salvare la pace d’Europa. Ma per quanti giorni si salverà la pace in Europa? Credo e affermo orgogliosamente che è qui, sui contrafforti dei Pirenei che si decide l’orientamento del mondo». Tutti i gruppi parlamentari votano la fiducia al governo e il Parlamento vota all’unanimità una mozione sul diritto della Spagna alla propria indipendenza nazionale.

8 febbraio: II governo di Roma, annuncia che le Camicie Nere e le altre formazioni dell’Esercito italiano non si avvicineranno più di 10 chilometri di distanza dalla frontiera pirenaica. I fascisti spagnoli raggiungono la frontiera in quasi tutti i punti.

9 febbraio: L’Esercito popolare passa la frontiera. Le autorità francesi racchiudono tra fili spinati in improvvisati campi di concentramento i combattenti della libertà. Anche la popolazione civile che ha cercato scampo in Francia subisce un trattamento del tutto consono agli orientamenti politici dei nipotini dei fucilatori della Comune.

L’incrociatore britannico Devonshire induce i difensori di Minorca alla capitolazione, mentre l’aviazione italiana bombarda l’isola.

10 febbraio: II governo repubblicano raggiunge la zona centro-sud. Port Bou è occupata dai fascisti.

Secondo la stampa francese, nel solo campo di Argelès sur Mer sono ammassate 150.000 persone tra militari e civili. La frontiera è stata attraversata da oltre 300.000 non militari.

14 febbraio: II governo francese invia a Burgos in missione ufficiosa Léon Berard.

22 febbraio: Muore a Colliure, nel versante francese dei Pirenei, Antonio Machado.

27 febbraio: II governo britannico annuncia il suo intendimento di riconoscere il governo di Burgos come governo di tutta la Spagna.

28 febbraio: II presidente Azaña si rifiuta di seguire il governo nella zona non ancora occupata dai fascisti e dà le dimissioni.

3 marzo: Il Maresciallo Filippo Pétain è nominato ambasciatore francese a Burgos.

5 marzo: A Madrid uomini politici di varie correnti assumono tutti i poteri e iniziano aperte persecuzioni contro i comunisti e dichiarano di non più riconoscere l’autorità del governo Negrin. Ufficiali agenti di Franco (da cui ottennero poi avanzamenti e riconoscimenti) dispongono movimenti militari per isolare le unità militari fedeli al governo.

27 marzo: Adesione della Spagna al Patto antikomintern stipulato tra Germania, Giappone e Italia.

29 marzo: II colonnello Casado, presidente della Giunta che aveva annunciato il suo intendimento di raggiungere una «pace onorevole» con i fascisti, accetta la resa e viene accolto da una nave da guerra britannica.

30 marzo: Tutta la Spagna è caduta sotto il controllo fascista. Circa 20.000 – tra militari e civili – attratti nel porto di Alicante dalla speranza che unità navali francesi e britanniche avrebbero preso a bordo quanti erano minacciati di morte dai fascisti, sono bloccati dalla divisione Littorio, comandata dal generale Gambara.

10 aprile: Franco dichiara che le operazioni militari sono terminate.

(Da “30 anni di Spagna” a cura di Ignazio Delogu e Cesare Colombo – edizioni ANPI-Roma, 1969)