Immagine tratta dal sito http://leveritasulduce.blogspot.it/ che titola così: “Il duce, un grande uomo per una grande nazione”

Le ultime vicende politico-parlamentari, e in particolare le rotture tra le forze politiche che hanno fatto seguito all’effimera convergenza sulla legge elettorale, inducono a ritenere più probabile rispetto a qualche settimana fa la conclusione della legislatura nel termine naturale del 2018.

Una previsione ipotizzata, in un’intervista a Bloomberg, anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

In ogni caso, anche senza addentrarsi troppo sul terreno scivoloso delle previsioni politiche, si può convenire che, essendo ormai la legislatura stessa molto più che a metà del suo cammino, non è del tutto irragionevole tentare di tracciare qualche bilancio sugli adempimenti e sulle lacune della produzione legislativa degli ultimi quattro anni: una voce senz’altro deficitaria riguarda l’antifascismo, e, più in generale, l’iniziativa finalizzata al contrasto delle attività e delle organizzazioni razziste, xenofobe, omofobe, sessiste o comunque volte a promuovere l’odio etnico e razziale. Non che siano mancate, in questa materia, specifiche proposte ma, come si cercherà di evidenziare, queste ultime appaiono più il frutto della buona volontà e di sensibilità politiche individuali che il prodotto di una iniziativa sistematica e sostenuta adeguatamente da una precisa opzione politica.

Quando il fascismo prende alla gola. Immagine tratta da http://www.italianosveglia.com/images/listing_photos/93189 _melogfascisti1216.jpg

Il risultato è che gran parte delle pure apprezzabili proposte avanzate attendono ancora l’inizio dell’esame in Commissione, e, essendo comunque prossimo lo scioglimento delle Camere, appaiono destinate a decadere, senza neanche giungere all’approvazione in un solo ramo del Parlamento che renderebbe possibile, nella legislatura successiva, l’adozione di un procedimento abbreviato di esame. Si aggiunga che tutte le proposte di cui si darà conto di seguito, costituiscono “riforme a costo zero”, cioè non comportano oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, e pertanto sono sottratte all’insieme di passaggi procedurali di verifica delle coperture finanziare in adempimento dell’obbligo costituzionale di cui all’articolo 81, che costituisce uno dei maggiori fattori (peraltro largamente giustificabili) di rallentamento dell’iter di approvazione.

Dall’esame delle proposte di legge con le caratteristiche sopra indicate, presentate nei due rami del Parlamento dall’inizio della legislatura a oggi, si evidenziano tre temi: la trasmissione della memoria attraverso segni e iscrizioni visibili in pubblico, quali la toponomastica stradale, lapidi e monumenti intitolati a personaggi del secolo passato; il commercio e la diffusione di oggetti recanti emblemi, ritratti e simboli finalizzati a evocare l’ideologia e i regimi nazi fascisti; il divieto di presentare liste elettorali denominate con espliciti riferimenti al fascismo o recanti simboli, contrassegni o immagini ad esso riferiti.

Il primo tema è affrontato nel disegno di legge n. 962, “Modifiche agli articoli 2 e 3 della legge 23 giugno 1927, n. 1188, in materia di divieto di dedicare strade, monumenti, lapidi o altri ricordi permanenti a esponenti del partito fascista o delle Forze Armate durante il regime fascista ovvero a condannati per delitti di mafia o terrorismo” dei deputati Sergio Boccadutri (Pd), Toni Matarelli (Mdp) e Nicola Stumpo (Mdp), presentato il 16 maggio 2013 alla Camera dei deputati, e assegnato alla Commissione Affari Costituzionali. Il testo si compone di un solo articolo, di modifica degli articoli 2 e 3 della legge 23 giugno 1927, n. 1188 che disciplina la toponomastica stradale e i monumenti a personaggi contemporanei, vietando di intitolare sia strade o piazze pubbliche, sia monumenti, lapidi o ricordi permanenti situati in luogo pubblico o aperto al pubblico, a esponenti del disciolto partito fascista o ad appartenenti alle Forze Armate durante la dittatura fascista, ovvero a persone condannate con sentenza passata in giudicato per atti di terrorismo o per associazione mafiosa. La questione, al di là della formulazione testuale delle norme, appare non secondaria, considerato il significato che, nella formazione della memoria pubblica, può assumere la denominazione di strade, o l’intitolazione di monumenti.

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La disciplina legislativa attualmente vigente, come esplicitata anche in numerose circolari del ministro dell’Interno, attribuisce alla competenza della giunta comunale la decisione in materia di toponomastica, ma le relative delibere acquistano efficacia solo dopo l’autorizzazione del prefetto. A oggi, gli unici vincoli posti alla discrezionalità delle amministrazioni locali sono costituiti dal divieto di assegnare la stessa denominazione ad aree dello stesso tipo, anche se comprese in frazioni o circoscrizioni amministrative diverse, e di attribuire nomi di persone decedute da meno di dieci anni, salvo deroga del ministro dell’Interno, che ha delegato tale potere al prefetto con una circolare del 1992. La proposta di legge n. 962 interviene a porre ulteriori vincoli che, peraltro, risultano del tutto coerenti con le disposizioni costituzionali e legislative vigenti.

Va poi ricordato che sulla materia è stata presentata il 6 giugno 2013 dalla deputata Monica Gregori (Si), e altri nove parlamentari, la proposta di legge n. 1172, di contenuto analogo alla proposta di legge n. 962, poiché integra la stessa legge n. 1188 mediante l’aggiunta del divieto di dedicare strade, monumenti, lapidi o altri ricordi permanenti a persone condannate per crimini di guerra o contro l’umanità ovvero per delitti di mafia o terrorismo. Questa proposta definisce pertanto un ambito di applicazione, differente da quello del testo presentato dai deputati Boccadutri, Matarelli e Stumpo, nel quale rientrerebbero coloro che hanno compiuto crimini di guerra durante il regime fascista. È appena il caso di ricordare, però, che questi crimini non sono mai stati perseguiti legalmente dalla Stato democratico e non sono stati pertanto riconosciuti con sentenze penali di condanna. Viene subito alla mente, a tale proposito, la vicenda del “mausoleo” eretto ad Affile in memoria del criminale di guerra Rodolfo Graziani, non a caso ricordato in ciascuna delle relazioni illustrative delle due proposte di legge, per evidenziare la necessità di scongiurare il rischio che tale episodio possa ripetersi. Entrambe le proposte, peraltro, sono ancora in attesa dell’inizio dell’esame.

Sono tuttora fermi presso i rispettivi rami del Parlamento, anche la proposta di legge n. 3295, del deputato Marco Di Maio (Pd), sottoscritta da altri 32 deputati, presentata il 9 settembre 2015, e il disegno di legge n. 2213, della senatrice Mara Valdinosi (Pd), sottoscritto da altri 53 senatori, presentato il 21 gennaio 2016. Entrambe le proposte modificano l’articolo 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, al fine di vietare la produzione, distribuzione, diffusione e vendita di beni mobili raffiguranti immagini o simbologie del disciolto partito fascista. La legge n. 654 del 1952 è più nota come legge Scelba, e ha per oggetto l’attuazione della XII disposizione finale della Costituzione che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista: entrambe le iniziative legislative, pur con formulazioni normative leggermente diverse, prevedono l’estensione delle pene già comminate dalla legge del 1952 a chi fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo di stampo fascista, a chiunque produca, distribuisca, diffonda o venda, direttamente o con qualsiasi modalità, anche telematica, beni mobili raffiguranti immagini o simboli che si richiamano univocamente all’ideologia fascista o nazifascista ovvero ad associazioni, movimenti o gruppi aventi le caratteristiche e perseguenti le medesime finalità.

Quando il vino dà alla testa

La proposta della senatrice Valdinosi prevede inoltre la rimozione del contenuto illecito, su iniziativa del pubblico ministero, nel caso in cui la vendita sia fatta o propagandata via web, sul modello di quanto disposto dal decreto-legge n. 7 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 43 del 2015, in materia di terrorismo. Come sottolinea la relazione introduttiva dell’articolato, occorre infatti assicurare che, una volta accertata l’illiceità del contenuto, esso sia rimosso dalla rete, altrimenti l’effetto lesivo del reato (e il rischio di emulazione) permane nel tempo.

Come detto, per entrambe le iniziative legislative, dopo l’assegnazione alle Commissioni parlamentari competenti, si è in attesa dell’inizio dell’esame. È invece in corso l’esame in sede referente, presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati, della proposta di legge n. 3343, del deputato Emanuele Fiano (PD), sottoscritta da altri 64 deputati e presentata il 2 ottobre 2015, che presenta contenuti analoghi a quelli delle altre due proposte di legge, con una diversa formulazione normativa: l’articolo unico di cui si compone il testo, infatti, non interviene direttamente a modificare la legge Scelba, ma propone l’introduzione di un articolo 239-bis del Codice penale, al fine di sanzionare alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti. Nella relazione illustrativa è richiamato, a titolo di esempio, il ripetersi di episodi in cui alcuni nostalgici ostentano in pubblico il saluto romano: su tale condotta, si osserva, si è prodotta una giurisprudenza oscillante, e il saluto romano è stato considerato in alcune sentenze un fatto penalmente irrilevante in quanto non suscettibile di determinare, di per sé, un pericolo concreto e attuale di riproposizione di organizzazioni di stampo fascista, mentre la Corte di Cassazione si è spesso pronunciata in senso opposto (la relazione richiama la sentenza n. 37577 emessa dalla prima sezione penale il 12 settembre 2014, con cui si conferma che il saluto romano è un gesto perseguibile sulla base della legislazione vigente). Inoltre, la proposta di legge n. 3343 introduce la sanzione della reclusione da sei mesi a due anni per chiunque propagandi le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiami pubblicamente la simbologia o la gestualità. La pena è inoltre aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici.

Neofascisti a Milano (da http://immagini.quotidiano.net/?url=http://p1014p.quotidiano.net:80/polopoly_fs/1.863417 .1433938090!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/wide _680/image.jpg&pos=top&op=noop)

Il deputato Emanuele Fiano è anche primo firmatario della proposta di legge n. 1246, sottoscritta da altri 59 deputati e presentata il 20 giugno 2013, recante “Modifiche ai testi unici di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e 16 maggio 1960, n. 570, nonché alla legge 17 febbraio 1968, n. 108, in materia di inammissibilità delle liste elettorali che si richiamino all’ideologia fascista o al disciolto partito fascista”.

Si tratta, come è noto, di una questione assai rilevante, affrontata da ultimo anche nel seminario sull’attualità dell’antifascismo promosso dall’Anpi il 27 maggio, e oggetto di polemiche nella recente tornata elettorale amministrativa, in seguito alla presentazione di liste dichiaratamente fasciste: la relazione illustrativa del provvedimento segnala preliminarmente il ripetersi di casi di liste elettorali contrassegnate da simboli, immagini o denominazioni esplicitamente richiamanti il fascismo o che implicitamente ne richiamavano precetti e ideologie e rileva come i differenti orientamenti giurisprudenziali in materia pongano in evidenza la necessità di un intervento normativo che faccia definitiva chiarezza in merito alla ricusabilità delle suddette liste.

Viene citata, a titolo esemplificativo, la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1354 del 6 marzo 2013, che ha riformato la pronuncia con cui la I sezione distaccata a Pescara del tribunale amministrativo regionale (TAR) dell’Abruzzo (sentenza n. 363 del 7 maggio 2012) aveva accolto il ricorso della candidata sindaco di una lista denominata “Fascismo e libertà” esclusa dalla competizione elettorale del comune di Montelapiano (Chieti) per deliberazione della competente Sottocommissione elettorale circondariale. Nel capovolgere la sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato osservava che il diritto di associarsi in partiti e di accedere alle cariche elettive (artt. 49 e 51 della Costituzione) trova un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, «tale precetto costituzionale, fissando un’impossibilità giuridica assoluta e incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche elezioni». Tuttavia, andando poi ad esaminare i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni delle liste elettorali, quali sono previsti per le amministrazioni comunali dalla vigente legislazione elettorale, lo stesso Consiglio di Stato ha dovuto riconoscere che tale impossibilità era postulata soltanto «in via implicita».

Il sodalizio nazifascista

Rilevata pertanto l’esigenza di rendere esplicito tale principio, la proposta di legge n. 1246 modifica le diverse normative in materia elettorale introducendo il principio dell’inammissibilità, per qualunque tornata elettorale a livello europeo, nazionale, regionale e locale, di liste con contrassegni che riproducono in tutto o in parte acronimi, simboli, immagini o soggetti che si richiamano all’ideologia fascista o al disciolto partito fascista, ovvero di liste che fanno comunque riferimento, anche nella propaganda elettorale, ad associazioni, movimenti o gruppi che perseguono finalità antidemocratiche, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolgendo la loro attività all’esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del partito fascista o compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista.

Malgrado l’indiscutibile rilevanza politica della proposta di legge, la Commissione affari costituzionali, cui essa è stata assegnata, non ne ha ancora iniziato l’esame. È pertanto auspicabile che la discussione sulla nuova legge elettorale politica che si presuma possa avere luogo nei prossimi mesi riservi il dovuto spazio anche a questa importante problematica.

Peraltro, si tratta di un auspicio che non appare suffragato dai precedenti di una legislatura che si è dimostrata complessivamente carente nell’impegno rivolto a rafforzare l’orientamento antifascista che dovrebbe animare tutte le istituzioni – prima fra tutte quella preposta alla produzione normativa e diretta espressione della sovranità popolare – e renderne l’attività più coerente con il dettato costituzionale: ciò malgrado gli autorevoli interventi in tal senso dei presidenti del Senato e della Camera, e malgrado l’iniziativa di singoli parlamentari che hanno manifestato una forte sensibilità su questi temi. Né si può tacere, sempre a questo proposito, l’inerzia dei governi succedutisi dal 2013 ad oggi, che non hanno assunto proprie iniziative, né hanno adeguatamente sostenuto le proposte di cui abbiamo dato conto in questa breve rassegna, che, peraltro, ci proponiamo di proseguire nei prossimi numeri di Patria, dando conto anche della presentazione e dell’esito degli atti di sindacato ispettivo (interpellanze e interrogazioni) in tema di contrasto del neofascismo e delle connesse manifestazioni di odio e intolleranza razziale, etnica e religiosa.