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 Isabella Leardini, poetessa e giornalista culturale, vive a Rimini. Nel 2002 ha vinto il Premio Montale con le poesie in seguito edite nel primo libro La coinquilina scalza uscito nella collana Niebo diretta da Milo De Angelis (La Vita Felice 2004, 2006, 2008). Alcune poesie tratte dalla sua opera prima e da Una stagione d’aria (in uscita) sono presenti con traduzione di Jean Baptiste Para nell’antologia Les Poètes de la Méditerranée (Gallimard, 2010) e nell’antologia Nuovi poeti italiani 6 a cura di Giovanna Rosadini (Einaudi 2012). È direttore artistico di Parco Poesia: nato nel 2003 come primo festival italiano dedicato alla poesia giovane, è oggi un osservatorio permanente per le scritture emergenti e un punto di riferimento per la poesia contemporanea.

Ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario dalla morte di Alfonso Gatto. Moriva l’8 marzo del 1976, a sessantasette anni, in un incidente stradale.

Era nato a Salerno nel 1909, a 21 anni appena sposato si era trasferito a Milano. Era solo un ragazzo eppure, come molti ragazzi di quegli anni, era già in grado di segnare il proprio tempo. Fu uno dei più schietti e attivi animatori del dibattito letterario e culturale degli anni ’30, non meno nelle scelte politiche e civili: nel 1936 venne arrestato per antifascismo e passò in carcere sei mesi. Partecipò alla Resistenza, nel 1944 s’iscrisse al Pci, divenne una colonna portante della redazione de l’Unità.

Che non sia soltanto un anniversario, ma una buona occasione per ritrovare la forza e l’originalità di questa voce, che nel panorama dell’ermetismo si pone da subito come centrale, eppure ha una personalità che la distingue; seppur riconosciuta immediatamente e accolta fin dagli anni 50 nel catalogo dello Specchio Mondadori, la figura di Gatto meriterebbe forse oggi uno sguardo nuovo nel canone della poesia del ‘900. Benché attivissimo protagonista sulle riviste che fecero la cultura letteraria degli anni ’30, Alfonso Gatto spicca per carattere e unicità di canto, si differenzia dai fiorentini dell’ermetismo più puro, con quella sua lingua che coniuga l’altezza lirica meridionale con la più distesa quotidianità lombarda. La traiettoria Salerno-Milano, che appartiene alla vita del poeta, è anche un tratto felice della sua lingua poetica.

Non sono i caratteri più puramente ermetici o le ascendenze surrealiste, i volti che potrebbero caratterizzare una riscoperta di questa poesia da parte delle più giovani generazioni, bensì quella cantabilità distesa e tesa, che appartiene totalmente alla più alta tradizione della lingua italiana ma che Gatto mette in dialogo in modo inconfondibile con il temperamento emotivo delle cose.

Quando oggi i più giovani cercano la poesia, sono attratti dalla possibilità di un ritmo che abbia proprio questa qualità: che sia memorabile e cantabile; lo cercano, lo accordano come uno strumento, vogliono riprodurre con la propria voce il sortilegio di un equilibrio perfetto delle parole, quell’equilibrio che si trova nell’endecasillabo di Gatto.

I ragazzi di oggi la poesia spesso la scoprono per caso, se la trovano all’improvviso di fronte scritta su un muro: su quel “wall” che scorre all’infinito sulle pagine di facebook. E così non è soltanto un’idea bellissima, ma anche una metafora efficace, l’iniziativa della Fondazione Alfonso Gatto, che da due anni a Salerno sta cambiando il volto dei quartieri, colorando le strade con la poesia.

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500 metri di versi scritti, 1.400 metri quadrati disegnati, 196 litri di colore, 15 artisti coinvolti e 2.730 ore di lavoro, ma soprattutto un capolavoro che ha trasformato case e muri del quartiere Fornelle – tra i più antichi rioni della città – in una visione a cielo aperto. Questo è il progetto “Muri d’autore”, che dallo scorso anno sta prendendo forma avvalendosi di muralisti internazionali, calligrafi, poeti di strada e giovani artisti locali.

 

(video da You Tube: Versi scritti – Anna Santonicola)

Già dall’ottobre del 2014 la Fondazione aveva mosso un primo passo nella direzione della street art, affidando all’artista romana Alice Pasquini un’opera sulla scalinata dei Mutilati, nel pieno centro di Salerno; un successo internazionale che anche grazie ai social network ha reso il luogo meta di turisti e curiosi. È vero, la street art è cultura americana, ma in Italia ha trovato terra fertile di talenti fin dagli anni 80, forse perché capace di incontrare una radice artistica che fa parte del nostro dna. Maestri dell’affresco e del Trompe l’oeil fin dall’antica Roma, gli italiani hanno stravolto i muri da sempre, dalla grande arte rinascimentale alla più piccola e tenera devozione dipinta da qualcuno su una strada di campagna, la narrazione per gli umili, la più bella, quella che tutti sapevano leggere. Nasce dalla povertà anche la street art, e forse non a caso uno dei principali esponenti del graffitismo italiano fin dagli anni 80, Davide Eron Salvadei, è stato il primo street artist italiano a cui sia stata commissionata l’affrescatura di una chiesa, quasi a chiudere un cerchio perfetto.

Alfonso Gatto
Alfonso Gatto

L’Italia è così bella che anche per i piccoli borghi gioiello la concorrenza è dura, e così sono diversi i piccoli paesi che nel murales hanno trovato un’identità affettiva. Dozza e Toscanella nell’imolese ospitano fin dagli anni 60 la biennale del muro dipinto, con opere di grandi artisti internazionali. Sono stati invece due artisti locali, ad affrescare per passione con le storie di Pinocchio il piccolo borgo montano di Vernante in provincia di Cuneo. A Polignano a Mare, il borgo pugliese a strapiombo sul mare che ha dato i natali a Modugno, i vicoli sono cosparsi di versi e citazioni, scritti a mano in modo talvolta amatoriale, come se alla prima mano se ne fossero aggiunte tante altre più o meno abili, ma comunque capaci di quella infantile meraviglia che sollevano le parole, quando arrivano di sorpresa e ci sembrano un segno proprio per noi. Se l’Italia assomigliasse di più a se stessa seguirebbe l’esempio di Salerno, sarebbe creativa, intraprendente, curiosa, capace di voler bene a ciò che ha di più caro. Per nient’altro che per questo siamo amati: per la bellezza capace di allegria. Ogni città ha avuto il suo poeta, e se anche non fossero più gli editori a volere la poesia, se non fossero più i giornali o le librerie nei loro scaffali, allora almeno che siano i muri e le strade a farla scoprire a chi passa, perché la poesia è uno dei grandi patrimoni del Made in Italy. Lo ha colto alla perfezione la regione Marche, quando ha scritturato Dustin Hoffman per uno spot e gli ha fatto recitare l’Infinito.

Ma non è solo questione di marketing, è identità e cultura. La Fondazione Alfonso Gatto si segnala per diverse opere importanti nella sua recente storia, dalla nascita nel 2012 ad oggi. Su tutte la preziosa riedizione dopo 65 anni de “Il capo sulla neve”: la raccolta di Alfonso Gatto dedicata alla Resistenza e illustrata per l’occasione da Tanino Liberatore, con la prefazione di Andrea Camilleri e i testi di Massimo Bontempelli e Italo Calvino. Per ogni realtà virtuosa come questa potrebbero esserci dieci giovani poeti pronti a dare un apporto di studio e di operatività culturale. Perché anche questa è la grande eredità della poesia, la capacita di resistere attraverso un testimone che passa: finché un autore è amato la sua opera vive. E così, nel nome di Gatto voglio concludere indicando almeno due giovani autori salernitani. Lucrezia Lerro, nata nel 1977, che come lui si è trasferita a Milano, è oggi una scrittrice affermata con i suoi romanzi editi da Mondadori, ma è anche una splendida voce in versi, che con il suo libro di poesie “Il corollario della felicità” (Stampa2009) intreccia con precisione e intensità una vicenda familiare ed un amore assoluto. E poi il più giovane Francesco Iannone, classe 1985, che a Salerno tuttora risiede e che ad Alfonso Gatto ha dedicato la sua tesi di laurea, ne raccoglie in modo convincente la lezione cantabile ed alta, nel suo esordio “Poesie della fame e della sete” (Ladolfi, 2011).