In questi mesi impegnativi e complicati abbiamo tutti insieme (ed io per prima) sperimentato una importante comunione di sentimenti e di valori che deve animare anche questo nostro Consiglio Nazionale.

Sono trascorsi due anni dal precedente Consiglio e dobbiamo valutare cosa è rimasto e cosa è cambiato, da allora.

È rimasto soprattutto il nostro solido e fermo impegno per la difesa e l’attuazione della Costituzione. Non dobbiamo mai stancarci di ripeterlo: la nostra Carta costituzionale è l’eredità più solida, il viatico più grande, che ci ha lasciato la lotta di Liberazione. Essa è sempre stata guida fondamentale e preziosa, anche nei momenti più difficili e bui della nostra storia nazionale.

L’abbiamo difesa nel 2016, lo facciamo anche oggi.

Oggi il messaggio costituzionale è a rischio. In particolare due articoli. L’articolo 3 sancisce:“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. È questo articolo che ci impegna a combattere ogni forma di discriminazione e di razzismo. L’articolo 2 recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Questo articolo sancisce l’inviolabilità dei diritti umani, in primo luogo il diritto alla vita, e l’inderogabilità dei doveri di solidarietà. Questi due articoli hanno ispirato anche la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” ed è il vero spartiacque tra democrazia e dittatura.

Mi indigna, perciò, constatare, come abbiamo fatto in questi giorni, che una parte del Senato della Repubblica si è rifiutata di approvare l’istituzione della Commissione contro i reati di odio, di razzismo e di antisemitismo proposta dalla senatrice a vita Liliana Segre. A lei, al suo straordinario impegno morale e civile vada perciò da questa assemblea, il saluto più affettuoso e la solidarietà più grande di tutta l’ANPI, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Aggiungo soltanto che il tema del razzismo va posto al centro della nostra attenzione, perché nella società italiana è un fenomeno carsico, che emerge ogni qual volta le classi dirigenti lo alimentano e lo promuovono. La condizione umana nel nostro tempo è caratterizzata da paure e insicurezze, che derivano, in sostanza, dal fallimento del sistema economico sociale dominante: crisi, disoccupazione, perdita di radici, cioè memoria e identità; angoscia del futuro, cioè smarrimento della speranza. Questa è la base oggettiva su cui si fa leva per far crescere odio e rancore verso l’altro, perché ritenuto diverso, sia esso migrante, o ebreo, o nero, o omosessuale, o avversario politico. C’è il tentativo di disumanizzare l’altro perché additato come comunque colpevole di qualcosa e meritevole di un castigo. È la vecchia storia del capro espiatorio.

Ma il voto sulla Commissione Segre ci dice anche un’altra cosa: purtroppo nel nostro Paese, non esiste una destra liberale. Ci si è illusi che questo fosse possibile, si è sbagliato. Sono lontani i tempi in cui il presidente del Partito liberale italiano Giovanni Malagodi faceva espellere dalla Federazione internazionale dei Liberali il cancelliere austriaco Haider perché filo-nazista. Oggi CasaPound manifesta in piazza del Popolo assieme alla destra. Oggi lo slogan “Prima gli italiani” è di per sé negatore di quel meraviglioso articolo 3 della Costituzione che afferma che tutti i cittadini hanno gli stessi diritti.

“Prima gli italiani poi gli stranieri”. Lo ricordate: “Prima il Nord e poi il Sud”, “prima gli uomini poi le donne”? E più recentemente “Prima gli umbri”, o “Prima i veneti”, o “Prima i lombardi”. Si tratta della più evidente dichiarazione di ineguaglianza. Se c’è un “Prima”, c’è sempre un “Dopo”, cioè una gerarchia: l’esatto contrario del disposto costituzionale.

Questa ispirazione discriminatoria tra i cittadini non è mai venuta meno nella politica della destra italiana.

Da cosa deriva infatti la proposta di riforma costituzionale della “autonomia differenziata”, se non da questa idea di rompere il patto solidaristico tra Nord e Sud dell’Italia?

Qual è il substrato ideologico se non la discriminazione nei confronti delle donne quello che anima una proposta di legge come quella “Pillon”? La discriminazione verso le donne è la più grande dichiarazione di ineguaglianza e la più evidente proposta gerarchica. L’idea della società gerarchica, assieme al razzismo ed alla propensione alla guerra ed alla violenza, è un caposaldo di ogni fascismo.

Questi sono alcuni esempi su cui è necessario riflettere per avere ben chiaro che l’attacco ai valori fondanti della Costituzione è ampio e quotidiano.

Abbiamo saputo reagire a tutto questo? Penso di sì, anche perché abbiamo sempre cercato di farlo assieme ad altri partiti e movimenti. Non da soli.

Ovviamente non si tratta di essere sempre soddisfatti o compiaciuti, ma di riproporsi di camminare su di una strada giusta e comune. È stato importante, in questa prospettiva, costruire un percorso comune con 23 associazioni, partiti e sindacati per chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle associazioni organizzazioni fasciste. Nel pieno rispetto del dettato costituzionale. Da questo punto di vista è molto importante il lavoro che ha fatto la Commissione di esperti, presieduta dal Presidente emerito Carlo Smuraglia in particolare per l’attuazione della XII disposizione transitoria della Costituzione. Lavoro che, in tempi brevi, confidiamo dia origine ad un apposito volume che invieremo a tutti i nostri Comitati provinciali.

Ho detto prima che dobbiamo reagire a tutto questo, come è giusto e necessario. Ma non è sufficiente. Dobbiamo anche “agire”, cioè operare in autonomia e propositività, senza farci necessariamente dettare l’agenda dagli eventi della politica o della cronaca. Per questa ragione penso che dobbiamo mettere in cantiere per l’inizio dell’anno prossimo una grande iniziativa antifascista e antirazzista che rilanci in modo alto e forte nell’irriconoscibile Italia di oggi i valori e i principi della Resistenza e della Costituzione. È ancora il tempo dei partigiani!

Affrontiamo qui un secondo problema che in senso ampio riguarda il mondo della cultura, e in particolare il rapporto con gli intellettuali, la formazione e la comunicazione. Da sempre l’ANPI ha coltivato una speciale relazione sia con gli intellettuali in senso ampio – docenti, insegnanti, ricercatori, tecnici – sia, per così dire, con le élites – scrittori, artisti, scienziati, personalità del mondo dello spettacolo, storici, giuristi. Intendiamo proporre a questi mondi, oggi per alcuni aspetti privati di punti di riferimento, un rapporto più organico e costante, all’interno di un progetto più generale di rilancio dei valori resistenziali. Una questione essenziale è quella della formazione dei nostri gruppi dirigenti. È questo un tema molto importante che non dobbiamo mai perdere di vista. Sappiamo che molto è già stato fatto. Oggi, davanti ad un ampio rinnovamento dei gruppi dirigenti e degli stessi iscritti, abbiamo lo specifico problema di una formazione di base, dei fondamentali, per così dire, della Resistenza, dell’antifascismo e della stessa ANPI. In particolare, attraverso la memoria antica e recente, dobbiamo mettere a fuoco la natura sempre politica e mai partitica della nostra grande associazione, proprio oggi, in questa fase di passaggio dagli esiti ancora oscuri del sistema partitico. Di fronte alle difficoltà di questi tempi, a volte alcune organizzazioni pensano di precorrere i tempi rispetto alla linea nazionale e, sempre a volte, questo può produrre confusioni ed errori. Mi permetto di dirlo con chiarezza, ma senza nessuna presunzione: è necessario che si tenga sempre conto della linea nazionale dell’ANPI. Sta a tutti noi contemperare con equilibrio la libertà dell’iniziativa e la consapevolezza che ogni nostra azione o parola coinvolge tutta l’ANPI. Questo vale sia per la politica nazionale che sia per quella internazionale. Infine la questione della comunicazione; anche qui sono stati fatti grandi passi avanti sia a livello nazionale che a livello locale. Eppure dobbiamo porci la domanda se siamo davvero all’altezza della sfida delle nuove tecnologie applicate alla comunicazione. Sappiamo bene che la forza delle destre più radicali – mi riferisco anche ai partiti presenti in parlamento – risiede in parte consistente nell’uso spregiudicato e, per così dire scientifico, dei socialnetwork. Penso che dobbiamo immaginare un adeguamento sostanziale della presenza dell’ANPI in questo vasto e nuovo mondo della comunicazione.

Il populismo e il nazionalismo hanno messo a rischio il nostro ruolo di nazione fondatrice dell’Europa.

Certo l’Europa che abbiamo vissuto in questi decenni non è quella di Spinelli e degli altri confinati di Ventotene. È stata troppo un’Europa dei mercati e poco un’Europa dei popoli, ma un conto è lottare per cambiarla altro è rinunciare al ruolo di pace che il nostro continente può e deve svolgere.

Purtroppo nella recente, vergognosa, vicenda dell’aggressione che il governo turco ha realizzato nei confronti del popolo Curdo, il ruolo dell’Europa è stato praticamente inesistente. Dal ritiro dei soldati americani voluto da Trump, alla mediazione attuata da Putin, è risultato chiaro che la vicenda curda è stata completamente ignorata dall’Europa.

Rilanciare un’idea di Europa antifascista è perciò indispensabile e urgente.

Un brutto episodio è stato quello della risoluzione del parlamento europeo, approvata anche con voto di parlamentari europei della sinistra, che equiparava nazismo e comunismo. A questa risoluzione l’ANPI ha reagito prontamente e così pure la FIR (Federazione Internazionale dei Resistenti Europei) di cui si svolgerà fra dieci giorni a Reggio Emilia il Congresso internazionale.

Ritengo che si debba prendere atto, con soddisfazione, che le parole stesse pronunciate a Marzabotto dal Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, hanno riportato il dibattito nelle sue giuste proporzioni e sono suonate come una sostanziale presa di distanza dalla suddetta mozione.

Ma l’episodio della risoluzione, voluta, fra l’altro, dalle repubbliche baltiche e dalla Polonia, è il campanello d’allarme di una nuova e più grave ondata di revisionismo storico che cerca, in ultima analisi, di delegittimare le resistenze e di sabotare alla radice la natura unitaria della lotta antifascista, che è a fondamento della stessa unità europea. Cos’altro è l’attacco ai comunisti nella lotta di Liberazione se non il tentativo di dividere il fronte antifascista, grazie alla cui unità si è sconfitto il folle progetto nazifascista del dominio del mondo?

Dobbiamo perciò tornare alle radici di una Europa democratica e antifascista. Smettere di inseguire, a suon di miliardi di euro, governi autoritari e fascisti come quello turco e altri. Dobbiamo, noi europei, riappropriarci dei nostri valori fondanti.

È questa la strada giusta per combattere ogni forma di sovranismo che sarebbe solo un grande danno per il nostro Paese e per l’Europa tutta. È un dato di fatto che l’unità europea – con la brutta eccezione delle guerre in Jugoslavia – ha consentito il più lungo periodo di pace fra Paesi europei della storia moderna e contemporanea. È un dato di fatto che i nazionalismi hanno sempre portato la guerra dentro i confini europei. È un dato di fatto che la pace e l’unità europea hanno portato ad un incremento ed a una profonda integrazione degli scambi commerciali nel continente. Non è la strada dell’isolamento quella che ci può aiutare, ma quella di valori condivisi.

Più in generale abbiamo tutti davanti agli occhi una situazione mondiale davvero preoccupante. Non c’è solo il fronte turco-curdo in un Paese, la Siria, devastato da anni di guerra. C’è la sanguinaria repressione in Cile nei confronti dei manifestanti che si ribellano ad un intollerabile tasso di ingiustizia sociale causato dal sistema economico liberista. C’è la vergogna di Bolzonaro in Brasile. Di converso che la situazione di instabilità in Venezuela con la scomparsa dalla scena politica dell’autonominato presidente Juan Guaidò, la sconfitta di Macrì in Argentina, la drammatica vicenda di Evo Morales in Bolivia. Ci sono in Medio Oriente le manifestazioni e gli scontri contro le diseguaglianze in Libano e in Iraq, le continue tensioni militari in una Libia che non esiste più come Stato nazionale, il perdurante conflitto israelo-palestinese, la lunga e sconvolgente guerra in Yemen. Un quadro generale di altissima instabilità, complice anche la politica di Trump che, attuando in chiave protezionistica il suo slogan First America, ha scombinato le economie di mezzo mondo, oltre ad aver recentemente dichiarato, parlando col leader inglese, di non volere l’unità europea.

Dobbiamo tenere conto che in questi ultimi mesi sono successe, nel nostro Paese, molte cose; in particolare, è cambiato il governo.

A questo nuovo governo, come al precedente, noi antifascisti ci rivolgiamo con attenzione e rispetto. Il nostro primo obiettivo è quello di veder finalmente cancellata dalla vita quotidiana del nostro Paese la presenza fascista, che, viceversa, è sempre più esplicita ed arrogante.

No, non vogliamo più vedere tremila persone a Predappio. Non vogliamo più ascoltare i cori razzisti negli stadi. Chi semina odio, chi non ha pietà, chi disprezza il più povero e corrompe anche il senso comune, e allora può succedere che un ragazzo venga picchiato solo perché ha un colore della pelle diverso dal nostro. Può succedere che non si abbia pietà di una madre che annega in mare con il proprio bambino. Può succedere, insomma, che diventiamo tutti cattivi.

Come diceva Alessandro Manzoni: “Il buon senso tace, quando parla il senso comune”. A tutto questo dobbiamo opporci, con tutte le nostre forze. Con la capacità del nostro pensiero e della nostra azione.

Abbiamo pubblicamente apprezzato il metodo attraverso cui si è gestita la crisi di agosto riportandola in Parlamento e si è formato il nuovo governo. Abbiamo condiviso alcune proposte del Presidente del Consiglio, criticato altre proposte, non condiviso alcuni silenzi. Abbiamo auspicato un governo che volasse alto e guardasse lontano. Certo, un governo che fosse in grado di gestire lo scoglio della legge di bilancio, ma che avanzasse anche un progetto di trasformazione incardinato sul rilancio dell’economia reale, cioè l’industria e il commercio, della sostenibilità ambientale, dell’occupazione. Non vediamo ancora chiari segnali in questa direzione, anzi, preoccupano i primi passi, come la riforma costituzionale del numero di parlamentari, che non condividiamo e per di più è mancante ancora dei correttivi necessari (anche se insufficienti) e cioè una nuova legge elettorale e una nuova norma per i grandi elettori delle Regioni in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. Abbiamo chiesto la cancellazione dei decreti immigrazione sicurezza, ma ancora non è avvenuto nulla. Sappiamo, sia chiaro, che oggi tutto è difficile e complesso. Non vogliamo la luna, ma segnali incontrovertibili di inversione di tendenza, non serve un governo per sopravvivere, serve un governo per vivere meglio e per restituire la speranza a milioni di italiani. È inutile nascondersi che un fallimento di questo governo porterebbe con tutta probabilità al potere la peggiore destra che l’Italia ha conosciuto dal 2 giugno 1946 ad oggi. A maggior ragione occorre chiedere al governo, nella piena autonomia di cui l’ANPI dispone ed è fieramente gelosa, uno scatto in avanti, una piena assunzione programmatica dei temi dell’antifascismo, dell’antirazzismo e della pace, nell’ambito di un orizzonte di cambiamento caratterizzato da una maggiore giustizia sociale.

Molte cose le abbiamo fatte, ne cito solo due che sono particolarmente importanti. La prima è l’esposto fatto da Emilio Ricci e dal suo studio alla Procura di Roma che presenta un elenco dettagliato e purtroppo sempre arricchentesi di episodi di violenza e rigurgiti fascisti. Constatiamo che, soprattutto in questi ultimi tempi, qualcosa da parte della magistratura è stato fatto. Molto importante è che, anche nella formazione dei giovani magistrati, siano stati inseriti i temi dei reati di odio e di fascismo. La seconda è l’intervista che, su progetto dei giornalisti Gad Lerner e Laura Gnocchi, viene fatta a molte partigiane e partigiani ancora viventi. È un lavoro prezioso perché ci consente di trasmettere la memoria di cosa è stata la Resistenza, ma soprattutto ci consente di capire meglio l’oggi e di misurare la distanza tra il sogno resistenziale e la realtà di oggi. Assieme alle interviste (ma penso lo dirà nel suo intervento Laura Gnocchi) chiediamo a tutti i Comitati provinciali e alle Sezioni di raccogliere le testimonianze già in loro possesso anche dei partigiani che non sono più tra noi. L’obiettivo è un grande archivio della memoria che parli alle giovani generazioni.

Sono molto contenta di annunciare che, a questo nostro Consiglio nazionale partecipano i rappresentanti di tre associazioni di studenti – la Rete della conoscenza, la Rete degli studenti e l’Unione degli universitari –con cui da tempo l’ANPI è in rapporto. Li abbiamo di recente invitati ad una riunione di Segreteria nazionale per conoscere i problemi delle giovani generazioni.

È emerso un quadro di cui tratteggio alcuni caratteri. C’è un tema che accomuna i giovani che è quello della dispersione individualistica e dello smarrimento, ma questa condizione sociologica si articola in modo diverso in base all’età, all’essere o meno inclusi in un percorso formativo, al rapporto con i socialnetwork, che varia a seconda dell’età dei ragazzi.

C’è poi una grande differenza fra i giovani inseriti nei percorsi formativi e quelli che invece ne sono esclusi, anche a causa dei costi elevati della formazione. Com’è naturale, i primi sono molto più sensibili agli stimoli culturali e sociali. Va aggiunto però che gli stessi luoghi della formazione – scuola e università – svolgono sempre meno una funzione aggregativa, sia perché molti ragazzi studiano e lavorano e perciò hanno meno tempo per l’aggregazione, sia per il crescente individualismo. Più in generale i giovani studenti, spesso lavoratori, hanno pochissimo tempo libero e sovente il luogo d’aggregazione si limita al bar, essendo fra l’altro quasi scomparsi i tradizionali luoghi di aggregazione sociale.

Nonostante questo quadro prevalentemente negativo, c’è grande attenzione all’associazionismo, e questa attenzione è esplosa col fenomeno Friday for future, cioè con la presa di coscienza della crisi ambientale globale. Va notato a questo proposito che le nuove generazioni sono e saranno le prime a subire le conseguenze del cambio climatico. Questo movimento ambientalista esploso negli ultimi mesi coinvolge i giovani e i giovanissimi ed è il primo movimento antisistema in un tempo in cui fino a poco tempo fa si negava persino la possibilità di cambiare sistema.

Su questo scenario insistono alcuni fatti, in primo luogo la presenza di una forte emigrazione giovanile. Secondo il recente rapporto SVIMEZ circa due milioni di persone, in larga parte giovani, hanno lasciato il Mezzogiorno dal 2000 ad oggi. Si aggiunge l’inquietante dato dell’abbandono degli studi da parte del 18.8% dei ragazzi del Sud rispetto all’11.7% al Nord. Segnalo in secondo luogo una presenza crescente, molto forte e altamente competitiva dell’estrema destra sui socialnetwork.

L’ANPI vive e vivrà quanto più riesce e riuscirà ad interloquire ed a intercettare tutte le generazioni. È abbastanza evidente che la fascia di età verso cui dobbiamo concentrare i nostri sforzi è proprio data dai giovani e dai giovanissimi, dalle stesse generazioni – aggiungo – che sono state protagoniste della Resistenza 75 anni fa. Non siamo ancora attrezzati pienamente a questa sfida vitale e dovremo perciò assumere in un futuro ravvicinato scelte e decisioni che ci consentano una presenza molto maggiore fra di loro. Possiamo e dobbiamo avanzare proposte di aggregazione e di ascolto a queste generazioni, sia in rapporto alle associazioni giovanili come quelle qui invitate, sia come ANPI in quanto tale. Penso, per esempio, alla partecipazione e alla promozione di campeggi, ad iniziative sociali e ideali in grado di coinvolgere le giovani generazioni usando anche un nuovo linguaggio e nuove modalità, a proposte di aggregazione e di tempo libero anche nuove rispetto alle esperienze dell’ANPI, ad una presenza più forte sui socialnetwork. Dobbiamo trovare forme moderne per trasmettere il messaggio antifascista, dobbiamo far arrivare ai ragazzi di oggi in modo nuovo il messaggio dei ragazzi di ieri, dei partigiani. Non possiamo lasciare le giovani generazioni nelle mani della propaganda nazifascista e razzista. Dobbiamo porre a tema di un moderno antifascismo anche la lotta per la difesa dell’ambiente, contro il riscaldamento globale, contro la devastazione del territorio. Non è un caso che il complice di un vero e proprio crimine contro l’umanità, e cioè la devastazione della foresta amazzonica, sia un pericoloso reazionario fascista come Bolsonaro. Sul tema dell’ambiente come frontiera di un moderno antifascismo dobbiamo fare un approfondimento molto serio e preciso. Non dobbiamo mai aver paura del nuovo. Non dobbiamo mai dire: questo non lo facciamo perché non lo abbiamo mai fatto. Se facciamo una cosa nuova forse sbagliamo. Se non la facciamo sbagliamo sicuramente.

Ho detto tutto questo perché il tema della formazione delle giovani generazioni è al centro dei nostri pensieri e io mi sento di fare i complimenti e gli auguri di buon lavoro a tante nostre strutture periferiche che vi stanno lavorando quotidianamente. È un passaggio di testimone virtuale, preziosissimo. Esso ha tratto sostegno e linfa anche dalla convenzione col MIUR e anche dalle ricerche che abbiamo realizzato in questi anni sia con l’INSMLI che con il Ministero della Difesa.

La formazione è sicuramente quella che si svolge nelle scuole, nelle università e nelle nostre stesse sezioni, ma è anche quella che si realizza nei movimenti. In questi anni di recrudescenza razzistica, abbiamo però visto anche un’altra Italia. Quella che è scesa in piazza a Milano come a Roma, nelle piccole città e nei grandi centri, nelle scuole e nelle fabbriche per affermare valori di fraternità, solidarietà e uguaglianza.

Permettetemi a conclusione di questa relazione di ricordare due sacerdoti che sono stati per noi fratelli e compagni, don Gallo e padre Ernesto Melandri, entrambi recentemente scomparsi.

Con questo mondo cattolico, come con il mondo del lavoro e della solidarietà abbiamo fatto e ancora possiamo fare tanto cammino comune.

Un saluto vorrei da questa assemblea inviarlo anche a Mimmo Lucano, che finalmente ha potuto tornare al proprio nel suo paese e a tutti i quotidiani combattenti per la libertà.

Ci ritroveremo insieme sicuramente nell’impegno della Marcia Perugia-Assisi e nella quotidianità. Ci ritroveremo insieme per dire che esiste un’altra Italia, quella della solidarietà e della eguaglianza. Abbiamo alcune richieste fondamentali: ho già accennato alla prima, e cioè che si cancellino i cosiddetti decreti sicurezza che sono in realtà strumenti di discriminazione e razzismo; la seconda è che il Parlamento italiano approvi finalmente una legge sullo ius soli. Lo chiediamo a questo governo che, ne siamo consapevoli, si è insediato da poco tempo, ma lo chiediamo con fermezza.

L’Italia e l’Europa hanno urgente necessità di vedere realizzati nei fatti quei valori di solidarietà e pace che soli ne giustificano esistenza e futuro.

Noi ANPI – di questo sono certa care compagne e compagni – ne discuteremo in questo Consiglio nazionale. A questo nostro appuntamento, lo dico subito, se ne aggiunge un altro, a cui vi rimando: la festa nazionale dell’ANPI che si svolgerà l’anno prossimo, nel 75° anniversario della Liberazione. Ovviamente rimando tutti all’impegno per il Tesseramento dell’anno prossimo con lo stesso entusiasmo con cui, mi fa piacere ricordarlo, avete dato un ulteriore impulso con le giornate del 26 e 27 ottobre u.s. ad una importante e consistente chiusura del Tesseramento che da quest’anno avverrà il 31 dicembre.

Vorrei infine provare a rappresentare il senso della nostra battaglia oggi citando alcune parole di Eugenio Curiel, partigiano, assassinato il 24 febbraio 1945 dalle brigate nere, Medaglia d’Oro al Valor Militare. Curiel nel pieno della lotta di Liberazione, immaginando il futuro, scriveva: “In un’Italia democratica, progressiva, vi dovranno essere e vi saranno diversi partiti corrispondenti alle diverse correnti ideali e di interessi esistenti nella popolazione italiana”. Ed aggiungeva che “tutte le forze del popolo devono mobilitarsi, (…) che questa mobilitazione può essere l’opera solo di una democrazia nuova, forte e progressiva”. Dunque in tutto ciò che ribolle nella Resistenza c’è un’idea di democrazia, certo, come istituzione, ma anche come rapporto fra istituzione e società in continuo movimento, in tensione costante, che non si realizza mai perfettamente, compiutamente, ma che in questa sua continua imperfezione trova l’energia per tendere verso un orizzonte sempre più pieno e ricco. Questo ritroviamo pienamente in quella Repubblica costituzionale per così dire in continuo movimento espansivo, perché, per esempio, “rimuove gli ostacoli”, ma anche “tutela”, “promuove”, “riconosce”, “garantisce”, in sostanza non si limita a prendere atto e a normare uno stato di cose presente, ma è attiva e operante.

Ma da alcuni decenni è obiettivamente in corso un processo inverso, e cioè una democrazia che si impoverisce, regredisce, si allontana. Ecco, è questa oggi la nostra lotta: ribadire la natura della nostra democrazia, il suo respiro, la sua capacità di interpretare i bisogni popolari, la sua forza fondata sulla partecipazione.

Concludo rivolgendo a tutte e tutti voi un appello: siamo davanti ad una sfida grandissima, nuova nella storia della Repubblica democratica nata dalla Resistenza, una sfida irta di pericoli, di insidie, di contraddizioni; ma ricordiamoci sempre che fu molto più grande e molto più difficile la sfida a cui si trovarono di fronte i ragazzi del ’43-’45, e che vinsero. Quelle ragazze e quei ragazzi divennero partigiani. Tanti per quella sfida hanno perso la vita. Tanti altri ci hanno lasciato in questi decenni per l’inesorabile scorrere del tempo. Rimangono con noi, speriamo il più a lungo possibile, alcune migliaia di partigiani che salutiamo con grandissimo affetto, rispetto e riconoscenza. Ma affetto, rispetto e riconoscenza, pur doverosi, non bastano, non ci bastano. Occorre rinnovare il nostro impegno ogni giorno, ogni ora, per difendere quegli ideali grazie ai quali oggi siamo liberi in un’Italia libera. Occorre essere i partigiani del Duemila. Ed essere partigiani, oggi come allora, vuol dire tante cose, ma una è la più importante di tutte, perché dipende solo da noi: metterci il cuore. Io so che tutti noi lo abbiamo fatto, lo facciamo, continueremo a farlo.

Buon dibattito e buon lavoro a tutti.

Carla Nespolo, Presidente nazionale ANPI


Il video della relazione di Carla Nespolo, Presidente nazionale ANPI, al Consiglio nazionale riunito ad Acqui Terme il 9 e il 10 novembre 2019. Prima seduta.