È sotto gli occhi di tutti: i temi dell’attualità si intrecciano coi contenuti della Costituzione. Il lavoro, i diritti e i doveri (dei cittadini e dello Stato), la solidarietà, la pace e il nostro rapporto col mondo; il funzionamento del Parlamento, il ruolo di deputati e senatori, del presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica; il rapporto fra Stato e Regioni; l’autonomia della magistratura e le modifiche costituzionali. La natura alta di questi argomenti, evidentemente, teme un utilizzo meramente elettorale, cioè di parte.
La legge fondamentale dello Stato è il riferimento, non uno strumento alla bisogna. Da quando vige un sistema elettorale maggioritario – che in Italia ha coinciso potentemente col personalismo – la Costituzione è sempre più oggetto di attenzione. Per cercare di approfondire (almeno, lo è nelle intenzioni) il significato di temi così importanti, faccio parlare madri e padri costituenti: Lelio Basso, Piero Calamandrei, Giovanni Conti, Giuseppe Di Vittorio, Leonilde Iotti, Edgardo Lami Starnuti, Giorgio La Pira, Roberto Lucifero, Pietro Mancini, Concetto Marchesi, Angelina Merlin, Umberto Merlin, Aldo Moro, Paolo Rossi, Meuccio Ruini, Aldo Spallicci e Palmiro Togliatti. Volutamente non cito le appartenenze, si leggano i contenuti; volutamente ho riportato frasi o brani interi, i ragionamenti evitano le semplificazioni. Buona lettura.
I Principi fondamentali
Alla base dell’ordinamento e della stessa esistenza della Repubblica ci sono i Principi fondamentali. Si leggono, di fatto, quegli elementi che il regime fascista ha calpestato e cancellato. In virtù di questo, una vera democrazia deve realizzarsi nel loro spirito. Non un preambolo di intenti, come qualcuno avrebbe voluto, ma fondamento dentro la Costituzione.
Spiegava Meuccio Ruini: “era necessario che la Carta della nuova Italia si aprisse con l’affermazione della sua, ormai definitiva, forma repubblicana. Non si comprende una costituzione democratica, se non si richiama alla fonte della sovranità, che risiede nel popolo: tutti i poteri emanano dal popolo e sono esercitati nelle forme e nei limiti della costituzione e delle leggi; nel che sta l’altra esigenza dello ‘Stato di diritto’. La Costituzione, dopo aver affermato il concetto della sovranità nazionale – proseguiva il deputato costituente –, intende inquadrare nel campo internazionale la posizione dell’Italia. Rinnegando recisamente la sciagurata parentesi fascista l’Italia rinuncia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. Contro ogni minaccia di rinascente nazionalismo, la nostra Costituzione si riallaccia a ciò che rappresenta non soltanto le più pure tradizioni ma anche lo storico e concreto interesse dell’Italia: il rispetto dei valori internazionali. Preliminare a ogni altra esigenza è il rispetto della persona umana; qui è la radice delle libertà, anzi della libertà, cui fanno capo tutti i diritti che ne prendono il nome. Né i diritti di libertà si possono scompagnare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro e inscindibile aspetto. Dopo che si è scatenata nel mondo tanta efferatezza e bestialità, si sente veramente il bisogno di riaffermare che i rapporti fra gli uomini devono essere umani. Spetta ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l’autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso”.
Le parole del giurista Ruini, dunque, delineano la carta d’identità del popolo italiano, il cui nome e cognome sono Repubblica e democratica escludendo quindi, forme di governo autoritario. Una carta di identità che ha come caratteristiche: la sovranità e la partecipazione (art. 1), che è universale nei temi dei diritti (art. 2), per l’accoglienza (art. 10); che esclude il nazionalismo perché vede nella pace non semplicemente la non guerra, ma aiuto ai Paesi in condizioni di disagio (art. 11); che vede la solidarietà elemento di rispetto dell’uomo indipendentemente dalle caratteristiche naturali e dalle inclinazioni individuali; dove il principio personalista, che sancisce dignità umana, esclude l’individualismo (art. 3); che individua nel lavoro la realizzazione del progresso sociale sia individuale che collettivo (art. 4); che decentra perché l’organizzazione dello Stato deve rappresentare l’unità e l’universalità delle possibilità (art. 5); che riconosce le diversità culturali (art. 6) e le libertà religiose (artt. 7 e 8); che definisce la vera ricchezza del nostro popolo (art. 9) e che vede nella bandiera il riferimento a quel patriottismo costituzionale, che è insito nei valori espressi (art. 12). Chi rifiuta o contrasta queste caratteristiche valoriali – dunque – è fuori e contro le regole della democrazia.
Parte prima della Costituzione
Entriamo nella prima parte della Costituzione (artt. 13-54), la cui ripartizione, elaborata dal Comitato di Redazione, ha seguito uno sviluppo concettuale che può dirsi ispirato al criterio della “socialità progressiva”.
Titolo I – Rapporti civili
Nel Titolo I – Rapporti civili (artt. 13-28), il cittadino è visto nella sua individualità, pur nel quadro della società di cui fa parte. Giorgio La Pira, in un suo lungo, elaborato ed esaustivo documento in cui tratta la libertà in tutte le sue implicazioni, sostiene: “la libertà, infatti, è ordinata per natura e deve servire per l’elezione al bene supremo e personale di ciascuno e a quello comune, solidale e fraterno per tutti. La libertà è, perciò, fondamento di responsabilità”. La sintesi è severa. La libertà è responsabilità di tutti: da come parliamo, da quello che facciamo e da come lo facciamo. Non ci sono scuse.
Titolo II – Rapporti etico-sociali
Nel Titolo II – Rapporti etico-sociali (artt. 29-34), si considerano i primi e più elementari rapporti del cittadino con la comunità. Scuola, famiglia e salute, gli elementi portanti.
Aldo Moro sulla scuola: “nessuno potrebbe dunque negare allo Stato questa competenza a organizzare scuole, e ciò tanto più perché lo Stato non ha solo dinanzi a sé la sintesi degli interessi individuali alla formazione della personalità e al possesso della cultura, ma ha un interesse più alto squisitamente collettivo da soddisfare, quello della preparazione dei singoli ad assumere funzioni sociali”. Della stessa visione Concetto Marchesi: “credo, con tanti altri, che non esista funzione nazionale e sociale più alta di quella che provvede alla educazione ed elevazione del popolo e assicura pertanto la unità della Nazione. Per questo suo valore unitario, per questo suo lievito d’indissolubilità nazionale la Scuola deve appartenere allo Stato”. Dunque, la scuola come luogo che forma i cittadini. Proprio sul significato della formazione dei futuri cittadini, i due onorevoli si trovano concordi anche sul ruolo della scuola privata.
Sosteneva Concetto Marchesi: “sorgano pure in copia e fioriscano gli istituti privati di assistenza e di educazione; ma l’autorità dello Stato resti sovrana nella misura e nella valutazione del profitto che deve aprire agli scolari le vie delle pubbliche attività”.
Aldo Moro, da parte sua aggiungeva: “abbiamo accennato alla necessità che vi sia non solo una collaborazione tra scuola pubblica e privata, ma anche un adeguato controllo dello Stato sulla scuola privata. Precisiamo che questo controllo fa tutt’uno con la attribuzione del diritto a gestire scuole private ed è come una condizione del suo riconoscimento”. Molto chiaro. Aldo Moro propone anche una lettura universale del concetto di insegnamento: “viene infine in considerazione il diritto che a ogni cittadino compete di insegnare. Esso è un naturale completamento e una legittima conseguenza del diritto, costituzionalmente garantito a ciascuno, di pensare, di esprimere il proprio pensiero, di diffonderlo con tutti i mezzi. Tra questi è appunto l’insegnamento, comunicazione specialissima, austera e responsabile, del pensiero, la quale corrisponde a una vocazione tra le più alte che l’uomo possa avere nella vita sociale, di trasmettere cioè alle generazioni nuove il frutto della propria esperienza intellettuale e di aiutarle ad aprirsi coscienti alla vita”. Il monito è impegnativo: gli adulti, in quanto tali, devono dare l’esempio alle generazioni future.
Nel trattare la famiglia Leonilde Iotti propone la parità dei ruoli: “l’Assemblea Costituente deve inserire nella nuova Carta Costituzionale l’affermazione del diritto dei singoli, in quanto membri di una famiglia o desiderosi di costituirne una, a una particolare attenzione e tutela da parte dello Stato”.
Sempre Nilde Iotti propone una visione lunga della legislazione che riguarda la famiglia: “ci si potrà obiettare che trasformazioni profonde del costume in senso democratico e progressivo, come quelle che noi auspichiamo, non si ottengono con affermazioni di principio costituzionali, trattandosi sopra tutto di una sfera come quella della famiglia. È vero; egualmente vero è però che anche le auspicate trasformazioni del costume devono trovare nella nostra nuova Carta Costituzionale l’affermazione che serva da stimolo e guida, e in pari tempo sia come binario su cui si muoverà la corrispondente nuova legislazione”.
La famiglia prospettata da Leonilde Iotti non è più solo quella che esce dalla guerra: col progresso e l’evoluzione della società, si sarebbero potuti realizzare nuovi e diversi tipi di famiglia. Un progresso perché permetterà di interpretare la famiglia nelle trasformazioni della società italiana. Nella discussione interviene Angelina Merlin in ordine alle tutele economiche che devono essere riconosciute ai singoli, con l’accento sulle donne: “Si devono dare garanzie economico-sociali all’individuo perché, se in un certo momento della sua vita volesse formarsi una famiglia, non si trovi ostacolato dalle sue condizioni economiche; il diritto dell’individuo al minimo necessario per l’esistenza, e precisamente agli alimenti, agli indumenti, all’abitazione e all’assistenza sanitaria anche per la famiglia. Ma l’affermazione di questi principi e di questi diritti per la famiglia non significa che coloro che non si sono voluti o non hanno potuto costituire una famiglia ne siano privati. In ordine ai diritti riconosciuti alla donna si afferma il concetto dell’uguaglianza dei diritti della donna nei confronti dell’uomo, nessuna differenza deve essere fatta tra gli individui dell’uno e dell’altro sesso. La donna ha un’importanza decisiva nella formazione della famiglia. Una donna, anche se non sia sposata, se ha dei figli potrà ugualmente costituire la propria famiglia. La donna, sotto questo aspetto, è la creatura più importante, l’essere intorno al quale si forma il nucleo familiare”. Il futuro della famiglia, dei ruoli in essa contenuti, era delineato con chiarezze assolutamente attuali.
Aggiunge, inoltre Merlin, la condizione della maternità: “il riconoscimento della funzione sociale della maternità non interessa solo la donna, o l’uomo, o la famiglia; interessa tutta la società. Proteggere la madre significa proteggere la società alla sua radice, poiché intorno alla madre si costituisce la famiglia e, attraverso la madre, si garantisce l’avvenire della società. Di qui la necessità di istituzioni assistenziali e previdenziali. Affermato il principio della protezione della madre, saranno tutelati anche i figli, compresi gli illegittimi, i quali, per il solo fatto di essere nati, hanno diritto alla vita”. Da qui la soppressione della ignobile dicitura “N.N.” e l’inserimento della tutela dei figli, sempre e indipendentemente dal tipo di famiglia.
Sulla sanità e sul suo ruolo sociale e universale interviene Aldo Spallicci: “Dunque, dicevo, assistenza sanitaria, assistenza che non trasformi i malati in postulanti e i medici in fiscali. Non bisogna rimettere nelle condizioni il medico di essere un fiscale. Dunque, per il medico, la ‘pietà che l’uomo a l’uomo più deve’ e per tutti: una salus publica, che deve essere suprema lex; salus che non sia soltanto nel senso politico, ma anche una valetudo effettiva. Questo grande compito sociale non ci trova divisi, ma tutti riuniti nella difesa della Repubblica che coincide colla difesa dell’umanità”. La sanità è emanazione di umanità, per questo deve essere per tutti.
Titolo III – Rapporti economici
Nel Titolo III – Rapporti economici (artt. 35-47), si considera la sfera del cittadino nell’ambito economico inteso come realizzazione sia dell’individualità, sia della collettività.
Così Meuccio Ruini introduce il tema: “Per lo sviluppo della sovranità popolare, il lavoro si pone quale forza propulsiva e dirigente in una società che tende a essere di liberi ed eguali. Si è quindi affermato, che l’organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica ha per fondamento essenziale – con la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori – il lavoro: il lavoro di tutti, non solo manuale ma in ogni sua forma di espressione umana”.
Sullo stesso tema, il monito di Palmiro Togliatti: “vano sarà l’aver scritto nella nostra Carta il diritto di tutti i cittadini al lavoro, al riposo e così via, se poi la vita economica continuerà a essere retta secondo i principi del liberismo, sulla base dei quali nessuno di questi diritti mai potrà essere garantito. Un inizio di garanzia si avrà invece quando nella Costituzione stessa venga indicato che la vita economica del Paese sarà regolata secondo principi nuovi, i quali tendano ad assicurare che l’interesse egoistico ed esclusivo di gruppi privilegiati non possa prevalere sull’interesse della collettività e tutta l’attività economica del paese venga guidata in modo che consenta la realizzazione dei nuovi principi di giustizia sociale”.
Da parte sua Giuseppe Di Vittorio contribuisce nel merito: “nell’attuale sistema sociale, infatti, la ricchezza nazionale è troppo mal ripartita, in quanto si hanno accumulazioni d’immensi capitali nelle mani di pochi cittadini, mentre l’enorme maggioranza di essi ne è completamente sprovvista. In tali condizioni, è chiaro che nei naturali e inevitabili contrasti di interessi economici e sociali sorgenti fra i vari strati della società nazionale, il cittadino lavoratore e il cittadino capitalista non si trovano affatto in condizione di eguaglianza”.
Roberto Lucifero propone una attenzione per mettere al riparo il principio costituzionale dal programma politico: “se essa (la Costituzione, n.d.r.) assume l’aspetto e il contenuto programmatico di una determinata maggioranza di un determinato momento, ogni spostamento di maggioranze ne diminuirà la funzionalità e ne intaccherà il prestigio; è ciò con danno di tutto il regolare svolgimento dell’attività legislativa dello Stato e con particolare pregiudizio proprio di quella maggioranza (e le maggioranze sono sempre transitorie in regime democratico), che ritenne di approfittare di un momento di preponderanza per imporre una propria impostazione programmatica”.
Il lavoro, dunque, come progresso sociale che dà dignità all’individuo e alla società. Una dignità che evita lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Una prospettiva che non vuole eliminare meriti, ma evitare che i meriti siano privilegi di pochi a discapito di una maggioranza.
Titolo IV – Rapporti politici
Nel Titolo IV – Rapporti politici (artt. 48-54), si considera la sfera del cittadino in riferimento al suo rapporto col mondo della politica, intesa come partecipazione al fine di rendere effettiva la sovranità.
Pietro Mancini ricorda che la democrazia ha bisogno di cittadini: “il fascismo è stato inesorabilmente giudicato dai suoi frutti e la democrazia, che è nata sulle rovine di quel tristo regime, ha il principale compito di mettere il cittadino nella possibilità di avere la propria opinione personale, di esprimerla e di farla valere in una maniera confacente al bene comune”.
Lelio Basso rammenta che la democrazia ha bisogno dei partiti: “noi siamo d’opinione che in un regime democratico i partiti sono una realtà che è inutile fingere di ignorare e che non è affatto vero che costituiscano un male, per quanto necessario, essi costituiscono un bene, che va riconosciuto e protetto”.
Umberto Merlin precisa che è il voto il mezzo che rende effettiva la sovranità: “la iscrizione del cittadino come elettore lo investe di un diritto tutto speciale, che non è cedibile, non è rinunziabile, non è esercitabile a mezzo mandatario e che egli deve attuare, non nell’interesse proprio, ma nel superiore interesse della Nazione”. La partecipazione, dunque, non solo come mezzo personale di espressione, ma soprattutto interesse collettivo. Ed è anche in virtù di questo, si può pensare e dobbiamo sostenere, che chi ricopre ruoli pubblici lo deve fare con dignità e onore. Cioè dare l’esempio.
Parte seconda della Costituzione
La seconda parte della Costituzione si apre con la continuità degli articoli. Volontà dei Costituenti è costruire un progetto di società nella quale, dai principi, ai diritti, doveri e alla seconda parte, gli articoli sono concatenati, proprio per uno sviluppo armonico e sostanziale della Costituzione.
Titolo I – Il Parlamento
La seconda parte, dunque, non comincia con un altro articolo 1, ma prosegue con l’articolo 55 che introduce il Titolo I – Il Parlamento. Il potere legislativo. Il ruolo delle due Camere, o la loro esistenza è stato dibattito acceso anche in Costituente. In modo trasversale, dai progressisti al centro ai liberali, le posizioni erano variegate. La storia repubblicana ha sempre ragionato su come e sul cosa significassero due Camere anche in relazione alle mutate condizioni sociali, politiche ed economiche che hanno accompagnato lo sviluppo della società. Il tema è sempre intrecciato a una interpretazione di democrazia, della sua rappresentanza e del suo processo decisionale, che toccano nel vivo il significato stesso del concetto di repubblica democratica.
Giovanni Conti suggerisce di usare sempre l’interesse nazionale: “in primo luogo, esso rende preferibile il sistema bicamerale, lasciando vedere come sia viziato da un evidente semplicismo il noto ragionamento col quale si pretendeva di condannare tale sistema. L’utilità generale che le leggi risultino ponderatamente elaborate e perciò più stabili e più spontaneamente osservate ha manifestamente un valore più alto che non la velocità del meccanismo che le produce. D’altra parte, quello stesso criterio indica le necessità che i modi di formazione delle due Camere parlamentari siano differenti, perché esso sarebbe fondamentalmente disconosciuto se una Camera non fosse che una seconda edizione dell’altra. Ciascuna di esse per il modo della sua costituzione, deve dare affidamento di apportare al processo di formazione della legge un concorso ispirato alla considerazione di interessi e esigenze e punti di vista che meritano di essere tenuti in conto per essere composti nell’interesse generale della Nazione”.
Ė il giurista Meuccio Ruini a fare sintesi e, se pur nelle diverse posizioni, viene approvato il sistema bicamerale. Che ha tenuto insieme tutti è stato il rischio della monocameralità: “l’istituto della seconda Camera è prevalso nella Commissione, per l’opportunità di doppie e più meditate decisioni, e pel contributo che può dare con un altro esame, nella sua diversa composizione e competenza, una seconda Camera. La unicameralità è scartata sovrattutto per il timore di cadere nel governo convenzionale o di assemblea. È stato respinto il sistema di una seconda Camera ridotta a funzioni consultive di Consiglio, o ‘Camera di riflessione’. Né venne accolto il sistema di ‘bicameralità imperfetta’ che vige in altri paesi, di prevalenza di una Camera sull’altra”.
Il tema è ancora attuale. Certo è che non sono i personalismi e le smanie egemoniche che contribuiscono a far comprendere in che modo e in che modalità è, o meno, opportuno intervenire sul processo democratico, e nemmeno con gli “spettacoli offensivi” che si vedono, purtroppo, in Parlamento. Personalismi, smanie egemoniche, offese, distraggono il cittadino dal vero significato dell’istituzione.
Ma se gli uomini sbagliano, non significa che sia sbagliata l’istituzione. In questo senso è importante conoscere il significato delle due righe dell’articolo 67 che delinea il ruolo dei parlamentari. Essi (deputati e senatori) svolgono le loro funzioni senza vincolo di mandato perché rappresentano la nazione. Senza libertà di mandato, un parlamentare non sarebbe altro che una pedina del proprio partito, privo della possibilità di scelte autonome. Il vincolo di mandato potrebbe impedire a un parlamentare di svolgere con coscienza il proprio lavoro. Se a questo, poi, si aggiungono leggi elettorali che non consentono la scelta del candidato, ma liste preconfezionate, allora davvero si cambia la natura del Parlamento. D’altro canto, proprio in base alla libertà di mandato, un candidato può essere eletto in un partito e poi “cambiare casacca”, passando a un altro partito, magari dalla maggioranza all’opposizione (facendo così cadere un governo) o dall’opposizione alla maggioranza (divenendo “stampella” nei momenti di difficoltà). Ma non si cada in facili trappole.
Anche in questo caso, il ragionamento va sempre sul livello di principio: se l’uomo approfitta di questo principio di libertà e cambia “casacca” tante volte quante “servono”, non significa che il principio sia sbagliato. Attenzione ad abbassare o eliminare i principi per adeguarli alle distorte realtà. I principi troppo bassi vengono calpestati ed eliminarli è la scelta più facile. Lo abbiamo già vissuto. L’articolo 67 fu votato in Assemblea senza discussione alcuna.
Titolo II – Il Presidente della Repubblica
Il ruolo del Presidente della Repubblica è stato al centro di una bagarre che, addirittura, vedeva nella sua azione costituzionale motivo di impeachment. Anche in questo caso, smanie e personalismi hanno dimostrato che la conoscenza della Costituzione non è sufficiente (anche se gli articoli sono molto chiari).
Così spiega Meuccio Ruini : “il Presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si vuole in altre Costituzioni. Egli rappresenta e impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato, al di sopra delle fuggevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore, riferimento spirituale prima che temporale della Repubblica. Egli, quindi, è al di sopra delle funzioni statali, al di fuori delle contese politiche; riassume in sé lo Stato e agisce in tutela dei cittadini”. Da giurista, appunto, oltre ogni ragionevole dubbio.
Titolo III – Il Governo
Il potere esecutivo, ancora un elemento di attualità e discussione. Il rapporto fra il potere esecutivo (governo) e Parlamento (il potere legislativo), considerando che quest’ultimo è luogo della discussione in cui i cittadini indicano i loro rappresentanti per la realizzazione della sovranità (art. 1). Entra in gioco l’equilibrio dei poteri, dunque quei pesi e contrappesi che sono l’essenza stessa della democrazia.
Ruini non fa tanti giri di parole: “l’errata illazione che pienezza di sovranità popolare ed efficienza di regime parlamentare portino con sé debolezza nei poteri di governo va decisamente superata”. Potenza della sintesi. Chi ricopre cariche di Governo, deve confrontarsi col parlamento. Non siamo presidenzialisti, né semipresidenzialisti, né altre soluzioni inventate ad personam. La nostra è una democrazia parlamentare. Nulla da aggiungere. Necessario, tuttavia, riprendere il significato del ruolo del Presidente della Repubblica, proprio per le funzioni che gli competono nel momento in cui entra in gioco sull’incarico al Presidente del Consiglio. Ancora Ruini illustra come: “la portata della sua (del Presidente della Repubblica, n.d.r.) azione sta soprattutto in tre punti costituzionalmente determinati. Egli nomina e conseguentemente revoca il primo ministro e i ministri. Questi debbono bensì avere la fiducia del Parlamento; ma la scelta, la designazione di un uomo a capo del governo può, in situazioni complesse e delicate, aver influenza decisiva di orientazione così, come da garante dei cittadini, anche per la designazione dei ministri.” L’equilibrio dei poteri garantiti dalla democrazia: la nostra. Nulla da aggiungere.
Titolo IV – La Magistratura
Il potere giudiziario. Anche la Magistratura – in particolare nell’epoca personalista – è stata al centro di critiche. Da una parte il tentativo di bloccarla per evitarne un lavoro di garanzia; dall’altra, alcuni membri rei di essere usciti dal ruolo di imparzialità. Entrambe gravissime: la prima per il tentativo della politica di svilirne il ruolo, dall’altra l’utilizzo politico del ruolo. Tutto ciò, con responsabilità diverse, rimanda ai cittadini la precarietà di chi deve essere garante. Eppure, è così che spiegava Meuccio Ruini: “per adempiere il mandato, che esercita in nome del popolo, la magistratura è autonoma e indipendente. Non è soltanto un ‘ordine’; è sostanzialmente un ‘potere’ dello Stato; anche se non si adopera questo termine, neppure per gli altri poteri, a evitare gli equivoci e gli inconvenienti cui può dar luogo una ripartizione teorica, ove sia interpretata meccanicamente”. Giusto ricordarlo come attuale monito. I cittadini hanno bisogno di sapere, ma soprattutto di constatare, che la magistratura non guarda in faccia a nessuno, perché è così che tutela tutti.
Titolo V – Le regioni, le provincie, i comuni
L’organizzazione dello Stato in tutte le sue diramazioni. Uno stato unitario è rappresentato nella totalità del suo territorio, da Pantelleria a San Candido. Una innovazione costituzionale sostiene Meuccio Ruini: “l’innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione è nell’ordinamento strutturale dello Stato, su basi di autonomia; e può aver portata decisiva per la storia del Paese. Il Comune: unità primordiale; la Regione: zona intermedia e indispensabile tra la Nazione e i Comuni”. È un tema di attualità, in virtù anche della pandemia, il rapporto Stato-Regioni.
Spiega Edgardo Lami Starnuti: “per realizzare il decongestionamento dell’organismo statale e il conseguente trasferimento delle funzioni per esso necessarie dal centro alla periferia, non basta però potenziare i comuni e riconoscere a essi la completa libertà nell’espletamento dei compiti loro propri, perché le funzioni che andrebbero sottratte allo Stato trascendono l’ambito della circoscrizione comunale. Occorre perciò ricorrere a un ente intermedio che stia fra lo Stato e i Comuni. Si è che lo Stato resta sovrano, l’unico sovrano e, che le Regioni non possono mai, per quanto estesi siano i poteri a esse attribuiti, invocare alcun titolo di sovranità e mettersi al livello degli Stati membri dello Stato federale. La differenza fra questi e le Regioni resterà sempre notevole. Non c’è quindi alcun pericolo che l’autonomia politica regionale sbocchi in un federalismo, anche soltanto larvato. Indubbiamente, all’adozione del sistema suddetto inconvenienti potrebbero nascerne qualora i dirigenti di una Regione si indirizzassero per avventura in una politica di gretto e astioso particolarismo e di contrasto sistematico con le generali direttive politico-economico-sociali dello Stato”. Un passo avanti, in questa direzione, vorrebbe che chi ricopre ruoli sia almeno a conoscenza delle responsabilità e delle funzioni che ha. Non tanto per sé (la cui dignità dovrebbe contare), ma per l’interesse generale e per evitare di rimandare ai cittadini quell’incompetenza che contribuisce a svilire il ruolo delle istituzioni.
Titolo VI – Garanzie costituzionali
Come si può e come si fa a cambiare la Costituzione. Il tema è come “modificarne” dei tratti per “migliorarne” i contenuti a favore di una presunta governabilità. Le personalizzazioni che hanno caratterizzato le proposte di modifica bocciate dal popolo (Berlusconi 2006 e Renzi 2016), non hanno tuttavia, limitato le intenzioni in questa direzione. Viene da pensare che questo modo di intendere la Costituzione, rappresenti una adolescenziale scusa che serve a colmare la vera funzione dei partiti, cioè di rappresentare esigenze e di concorrere alla politica (magari anche con persone competenti). Viene da pensare che la personalizzazione cerca di sostituire alla Costituzione una individuale garanzia che configura “un capo” che garantisce tutto. In questo caso mancano le due parole che hanno contraddistinto il ragionamento fin qui proposto: “interesse generale”.
Paolo Rossi invita tutti alle normali attenzioni che si dovrebbero avere: “ciò che si deve pretendere è che la Costituzione sia posta al riparo dalle transitorie oscillazioni della politica e da quegli improvvisi ed effimeri “scarti d’umore” da cui i popoli, e il nostro specialmente, non sono più immuni degli individui. La serietà, l’amore, la cura che vogliamo porre nello sceglierle e nel perfezionarle saranno, intanto, un primo contributo alla formazione di quella “coscienza costituzionale” che rende vive ed efficienti le Costituzioni, scritte o tradizionali che siano. La “coscienza costituzionale” è elemento indispensabile per l’esercizio e la sicurezza dei diritti politici”. Tutto sommato Paolo Rossi ci dice che prima di fare qualsiasi cambiamento, bisognerebbe conoscere la Costituzione, non citando gli articoli a memoria, ma nel suo intimo. Insomma, studiarla.
Da parte sua, Meuccio Ruini entra nel merito del meccanismo di cambiamento: “carattere comune delle costituzioni moderne è di essere rigide. La modificabilità continuata, e quasi inavvertita, poté sembrare un giorno vantaggio e conquista della democrazia; ma ha dato disastrosi risultati nel tempo fascista; e oggi la coscienza politica, vigile e sospettosa, reclama la difesa delle libertà sancite nella costituzione e vuole che nella gerarchia delle norme, quelle costituzionali abbiano valore preminente, e istituti e procedimenti particolari siano di salvaguardia contro le violazioni da parte dello stesso Parlamento”. Il riferimento è molto chiaro. La democrazia è tale non perché garantita dalle persone, ma dalle strutture che la democrazia sa darsi e far funzionare. Per evitare di cadere nell’errore di pensare che chi vince ha ragione. In democrazia, chi vince ha più responsabilità.
Disposizioni transitorie e finali
In ultimo, tra le altre, è la XII fra le Disposizioni transitorie e finali quella in cui si tratta apertamente il tema del ritorno del fascismo. I fatti di attualità che possono essere misurati da tutti in tutti i modi mettono l’accento sulla situazione legislativa vigente e chiedono se non sia il caso di un adeguamento. I fenomeni neofascisti, xenofobi, razzisti, quando non neonazisti, dovrebbero far riflettere. Piero Calamandrei già proponeva una riflessione e una soluzione evidentemente avanzate: “c’è nelle disposizioni transitorie, un articolo che proibisce la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del partito fascista. Non so perché questa disposizione sia stata messa fra le transitorie: evidentemente può essere transitorio il nome ‘fascismo’, ma voi capite che non si troveranno certamente partiti che siano così ingenui da adottare di nuovo pubblicamente il nome fascista per farsi sciogliere dalla polizia. Se questa disposizione deve avere un significato, essa deve esser collocata non tra le disposizioni transitorie e non deve limitarsi a proibire un nome, ma deve definire che cosa c’è sotto quel nome, quali sono i caratteri che un partito deve avere per non cadere sotto quella denominazione e per corrispondere invece ai requisiti che i partiti devono avere in una Costituzione democratica. Sarà la organizzazione militare o paramilitare; sarà il programma di violenze contrario ai diritti di libertà; sarà il totalitarismo e la negazione dei diritti delle minoranze: questi o altri saranno i caratteri che la nostra Costituzione deve bandire dai partiti, se veramente vuol bandire il fascismo.
E per controllare la giusta repressione di questi caratteri – proseguiva Calamandrei – bisognerà creare un organo apposito, fornito di adeguate garanzie giuridiche e politiche; in mancanza di che accadrà che il partito fascista, di fatto se non di nome, sarà vietato o permesso secondo quel che parrà alle autorità politiche locali, sotto l’influsso delle correnti prevalenti; e magari si troveranno autorità politiche che si varranno dell’articolo 47 (poi diventato art. 49, n.d.r.) per impedire la vita di un partito in sé sinceramente democratico. Allora contro il provvedimento il partito ingiustamente soppresso ricorrerà al Consiglio di Stato; ma il Consiglio di Stato vi dirà che questo è un atto compiuto nell’esercizio di un potere politico che si sottrae al suo controllo. Quando invece si avesse una sezione della Corte costituzionale per verificare quali sono i partiti che corrispondono, per la loro organizzazione e per i loro metodi, alla definizione data dalla Costituzione, vi sarebbero garanzie molto più sicure per poter impedire ai partiti antidemocratici di risorgere e ai partiti democratici di non essere soppressi e perseguitati da soprusi e arbitri di polizia”.
Cosa c’è sotto quel nome, quali sono i caratteri che un partito deve avere per non cadere sotto quella denominazione e per corrispondere invece ai requisiti che i partiti devono avere in una Costituzione democratica.
In conclusione. Per conoscere e capire di più ed eventualmente scegliere con ragionevolezza. In un articolo su La Repubblica del 22 dicembre 2012, Gustavo Zagrebelski spiegava: “l’efficacia della Costituzione, invece, comporta che in molti, in qualche misura, si sia ‘costituzionalisti’. Non è un’affermazione paradossale. Significa solo che, senza conoscenza non ci può essere adesione, e che, senza adesione, la Costituzione si trasforma in un pezzo di carta senza valore che chiunque può piegare o stracciare a suo piacimento. Così, comprendiamo che la prima insidia da cui la Costituzione deve guardarsi è l’ignoranza. Una costituzione ignorata equivale a una Costituzione abrogata. È lecito il sospetto che sia ignota non solo a gran parte dei cittadini, ma anche a molti di coloro che, ricoprendo cariche pubbliche, spensieratamente le giurano fedeltà, probabilmente senza avere la minima idea di quello che fanno. La Costituzione, è stato detto, è in Italia ‘la grande sconosciuta’. Ma c’è una differenza tra l’ignoranza dei governanti e quella dei governati: i primi, ignoranti, credono di poter fare quello che vogliono ai secondi; i secondi, ignoranti, si lasciano fare dai primi quello che questi vogliono. Così, l’ignoranza in questo campo può diventare instrumentum regni nelle mani dei potenti contro gli impotenti”.
N.B.: Tutti gli interventi riportati sono testi originali tratti da documenti prodotti in sede di Commissione dei 75 (da luglio 1946 a gennaio 1947); Piero Calamandrei, seduta Assemblea costituente del 4 marzo 1947; Aldo Spallicci, seduta assemblea costituente del 21 Aprile 1947; Meuccio Ruini, brani dalla relazione che fece di presentazione del progetto di Costituzione all’Assemblea Costituente il 6 febbraio 1947 e che rappresentava la sintesi del lavoro della commissione dei 75.
Paolo Papotti, componente della Segreteria nazionale Anpi, responsabile Formazione
Pubblicato venerdì 25 Giugno 2021
Stampato il 11/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/carattere-75/