Qualche giorno fa vi abbiamo proposto il contributo dello storico Claudio Dellavalle all’incontro tra il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, e alcune personalità del mondo della cultura italiana per conoscere il loro punto di vista sulla situazione attuale del Paese e sull’immagine dell’associazione dei partigiani. Agli invitati era stato inviato l’appello unitario “Uniamoci per salvare l’Italia” per una valutazione sull’intento del sodalizio di costruire una rete comune con quei movimenti resistenziali, altre associazioni, organizzazioni studentesche, sindacati, formazioni politiche che insieme rappresentano una parte fondamentale del Paese. Ecco le riflessioni della storica Aurora Delmonaco.

Sventolano bandiere nere, scattano saluti fascisti. A un funerale a Roma, nei pressi di piazza Bologna, si sente gridare “Duce! Duce!”, come avviene spesso anche altrove. Il 6 gennaio una massa scomposta assalta Capitol Hill nel nome di Trump. Sui social corre un brivido di esaltazione o di sgomento “È il ritorno del fascismo”.

Negli Usa però non è pensabile un ritorno alla memoria europea, e allora qualcuno ricorda Umberto Eco e la sua teoria del fascismo eterno, l’Ur-fascismo. Ma potrebbe essere una scorciatoia per non interrogarsi sui tempi che viviamo, e sulle fratture che ci sono state tra quel lontano ieri e oggi. Certo, il fascismo perenne può essere un gioco giocato in molti modi, e lo è stato, ma è sui “modi” che occorre interrogarsi perché nella storia l’eterno, se esiste, assume volti diversi e si conforma a molte realtà. Ed è la realtà che conta.

(Imagoeconomica)

Quale realtà rappresenta quel grido “Duce! Duce!” se l’uomo della Provvidenza a cui un tempo era rivolto non esiste più, neppure nei suoi surrogati che sono di un altro tempo e di un altro mondo? Lo sguardo allora deve volgersi altrove, a questi nostri giorni.

Siamo in piena transizione della società in cui sbiadiscono, o scompaiono, molte identità collettive che sono state la cinghia di trasmissione fra la società e lo Stato, partiti, classi, certezze, speranze, e in questo punto di passaggio ci sono “io dispersi”, individualità schiacciate oppure annaspanti per un collocamento in qualche spazio di stabilità o di potere. C’è anche l’assurdità di voler “essere nella storia” come singoli grazie a coreografie, simboli, parole d’ordine, ostentazioni, gesti e grida che hanno soltanto un valore associativo, e a perentorie affermazioni astoriche tradotte in slogan senza senso di fronte a un nemico inventato e nell’identificazione con il fantasma di un mito sconfitto.

Claude Lévi-Strauss (wikipedia)

Questo è il paradosso. L’antropologo Levy Strauss aveva descritto i due poli verso cui sono orientate le società, quelle “fredde” che nel tempo si riproducono uguali a sé stesse fondandosi su ritualità, simboli e miti tramandati, e quelle “calde” in cui il tasso di trasformazione è alto e la prospettiva per formare le nuove leve sociali nasce in gran parte da culture egemoni e dai loro contrasti. Noi stiamo vivendo il paradosso di una società in piena trasformazione in cui il contrasto si manifesta con ritualità e narrazioni “fredde”, anche se urlate e convulse.

Di fronte a questo che si proclama spudoratamente fascismo, e alle sue cause, quale antifascismo può esserci? Salvatore Lupo quindici anni fa teorizzò amaramente l’affermarsi di un anti-antifascismo scettico sulla “sintesi repubblicana” tra partiti di varie origini, mentre Sergio Luzzatto scriveva che per certe convinzioni l’antifascismo è “fenomeno anagraficamente residuale, destinato a inabissarsi con il venire meno delle generazioni che l’hanno vissuto”.

27 gennaio 2021, Giorno della Memoria. A Cogoleto (GE), tre consiglieri comunali di minoranza hanno votato in Consiglio comunale con il saluto romano. Sono ora indagati per apologia di fascismo

Certo, i temi con prefisso “anti” per molti hanno valore se si riferiscono a fenomeni percepibili e chiari da contrastare, ma non è detto che il presente abbia la dimensione dell’immediato. Esistono spinte che vengono da lontano e danno significato alla realtà attuale. Si possono percepire o si può lasciarle insabbiare in un polverone di “senso comune”.

Certo, come affermava Pietro Scoppola diversi anni fa, l’Italia non ha saputo riconoscersi “in un unico mito fondativo perché il viaggio degli italiani è avvenuto su binari di appartenenze separate”. Ma c’è anche una Costituzione antifascista che ha dato una casa comune a tutte le diverse anime dell’Italia e ha posto il paese entro l’orizzonte europeo.

L’ignobile propaganda imperiale (da https://anticafrontierabb.files.wordpress.com/2012/10/propaganda-fascista.jpg)

In Europa, se vogliamo riprendere il tema del fascismo eterno e dei vari modi in cui si incarna nella storia, i fascismi hanno avuto una valenza nazionalistica, mitica e identitaria su cui si fondava la costruzione del consenso. Per l’Italia era la missione del popolo erede di Roma in una prospettiva antigiudaica, antimassonica, antibolscevica; per la Germania era l’invenzione della congiura ebraica e il disegno dominatore del popolo tedesco per la sua supremazia su ogni altro. Nel momento della crisi Mussolini nel suo ultimo discorso al Lirico di Milano cercò nuove prospettive in un fascismo “universale”, che fu la portata più allarmante del neofascismo repubblicano.

Oggi, di fronte a un rigurgito di fascismo che non conosce sé stesso ma grida “Duce! Duce!”, si affida alla Giornata della memoria uno spaccato di storia antinazista bilanciata dalla Giornata del ricordo. Da osservare che se nella narrazione dei media il fascismo viene ridotto alle sole leggi razziali e il nazismo alla Shoah, se di contro le tragedie del confine orientale sono viste come la controprova che l’atrocità è il segno del totalitarismo, unica categoria che spiega tutti quei fatti, si relega l’antifascismo alla pietà dei cimiteri e si costruisce una memoria autenticamente anti-antifascista.

Che cosa può proporre l’antifascismo nella complessità dell’attuale passaggio storico, mentre la “società liquida” tenta di raggrumarsi intorno a parole d’ordine vuote di senso, a controversie divisive, allucinazioni identitarie, a un razzismo inconsciamente post-colonialista, a nuove schiavitù nello smarrimento dell’umanità solidale?

Quale patrimonio ha l’Anpi se non l’identità etica costituzionale che i suoi padri gli hanno lasciato per una battaglia di civiltà contro i mali oscuri dei nostri giorni, che ci riporti a una sintesi repubblicana e democratica collocando tra i cimeli muffiti bandiere nere e braccia levate al grido “Duce Duce”?