Anpi punto di riferimento imprescindibile della società civile italiana, Anpi che più volte nella storia repubblicana è dovuta intervenire in difesa della Costituzione e del contrasto a derive antidemocratiche, Anpi che ha saputo offrire vicinanza e solidarietà anche durante il primo lockdown e solo pochi mesi fa ha lanciato un appello per la persona, il lavoro, la socialità, oggi vuol continuare a contribuire con visioni lunghe e concrete alla costruzione di un futuro migliore per il Paese. Non appena sarà superato il momento emergenziale, l’associazione nazionale dei partigiani avvierà la stagione congressuale, a partire dai territori, per poi approdare all’Assise nazionale. E se la parola chiave, l’essenza del sodalizio di memoria attiva, è partecipazione, perché non coinvolgere anche il mondo della cultura?
Per questa ragione venerdì scorso, 12 marzo, il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, ha voluto ascoltare storici, scrittori, attori, giornalisti ed esponenti di altre associazioni, sollecitati a dire la loro sulla situazione italiana, a raccontare attese e compiti a cui, secondo le personalità che hanno partecipato all’incontro sono chiamati gli eredi della Resistenza. Tra quanti erano collegati in videoconferenza, c’era lo storico Claudio Dellavalle.
Considero drammatica la situazione del Paese. Per due ragioni: la prima esistenziale, generata cioè dallo scock della pandemia e oggi dalla complicata gestione della questione vaccini; la seconda per il blocco che malgrado le urgenze della pandemia, si è prodotto nel sistema politico istituzionale del nostro Paese. Al primo problema l’Italia sostanzialmente ha risposto come le altre democrazie, con le difficoltà ma anche con le scelte necessarie e anche coraggiose per contenere un nemico invisibile e sconosciuto che ha scardinato le priorità secondo cui funzionava la nostra società.
Fino alla crisi del governo Conte 2 il difficile equilibrio tra la necessità di salvaguardare la salute dei cittadini e l’esigenza di non compromettere gravemente l’economia è stato salvaguardato anche se i costi sono stati molto pesanti. Poi la crisi di governo ha rotto l’equilibrio e si è aperta una fase al buio che ha reso evidente l’incapacità del Parlamento di trovare una soluzione. Di fronte ad urgenze e necessità fondamentali la massima istituzione rappresentativa del Paese non è stata in grado di rispondere alle attese dei cittadini. Non torniamo qui sulle responsabilità, che ci sono state, gravi, per certi versi intollerabili. Il dato che interessa è che il Parlamento è entrato in blocco.
Di qui l’intervento del Presidente Mattarella. Bisogna rileggere con attenzione il messaggio con cui il Presidente ha motivato l’incarico a Draghi. Riflette una tensione fortissima che dice al Paese: la scelta del Presidente non ha alternative perché chi doveva proporle non lo ha fatto.
Questo non è solo, come è stato detto e scritto, il fallimento delle forze politiche, ma è il fallimento di un sistema che non è in grado di selezionare la sua classe dirigente. Di qui il rischio del dramma che i passi successivi hanno confermato.
Infatti se il messaggio del Presidente è arrivato chiaro e forte, la risposta non è stata all’altezza perché ciò che il governo Draghi dovrà fare non potrà andare bene a tutti quelli che gli hanno dato l’appoggio e non può risolvere le difficoltà che vengono da lontano e che richiederebbero un riassetto del sistema. La corsa alle poltrone che ha accompagnato la nascita del governo Draghi dice che per ora non è stata colta a pieno la gravità della crisi. Tanto che qualcuno ha ritenuto di dovere tirarsi fuori per dire che qui sta il nodo della questione.
L’unica possibilità è che le forze politiche maturino in fretta questa consapevolezza e che si possa aprire almeno nelle componenti più responsabili un riassetto dei fondamenti del sistema. Come? La politica deve ritrovare un rinnovato rapporto con la società raccogliendo da essa le indicazioni fondamentali per rivedere obiettivi, progetti e prospettive.
Un’operazione non facile perché nel frattempo la pandemia complica la vita di tutti, ci costringe in limiti angusti mentre bisogna alzare lo sguardo ad un orizzonte ampio che comprenda Europa, Occidente e il resto del mondo; perché bisogna cercare dove ci sono gli elementi di unità e non quelli di contrapposizione; perché l’informazione “corrente”, salvo poche eccezioni, non vede e non vuole vedere le difficoltà della situazione in cui ci troviamo.
L’Anpi ha un’immagine pubblica positiva che è il risultato di più fattori. Il primo, fondamentale, è il costante richiamo della memoria, delle origini della Repubblica, di ciò che ha significato scegliere in tempi più difficili dei nostri; perché è stata testimone delle trasformazioni del Paese essendo la sua storia lunga quanto la storia della Repubblica; perché è presente e attiva nel denunciare pubblicamente ogni offesa arrecata alla convivenza civile e democratica da fanatismi, razzismi, terrorismi, nazionalismi, totalitarismi; perché c’è ogni volta che si offendono persone per affermare un passato inaccettabile.
L’Anpi è un ente morale; è portatore di una moralità che si ispira a valori e principi come libertà, giustizia sociale, democrazia, che sono quelli della Carta costituzionale. Giustamente alcuni dei suoi dirigenti (penso a Carlo Smuraglia, a Carla Nespolo) hanno sostenuto uno sforzo notevole per far conoscere i fondamenti ed educare al rispetto della Costituzione.
Impegno rinnovato nel momento in cui l’Anpi si è aperto al rinnovamento generazionale. Con qualche problema e tensione perché la debole disponibilità delle forze politiche a offrire spazi ai giovani produce spinte alla militanza di coloro che cercano nell’Anpi un riferimento organizzativo. È un errore comprensibile, ma non coerente con i compiti dell’associazione. Perché l’Anpi sta in una dimensione che viene prima dell’impegno politico nei partiti; può motivarlo, ma non può confondersi con esso. In un lungo percorso la vocazione dell’Anpi si è fatta sempre più unitaria, proprio perché il riferimento alla Costituzione e a tutto ciò che esso significa è diventato centrale.
Mi sembra infine che l’Anpi con le sue antenne allenate a percepire i segnali di difficoltà del nostro sistema, avverta con più intensità di altri soggetti il pericolo che stiamo correndo, il rischio del dramma. Il recente appello alle forze politiche, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni della società civile per dare risposte unitarie ai molti problemi che ci aspettano è un segnale forte di questa attenzione. Questa attenzione andrebbe incrementata e declinata su più piani. Verso il mondo della cultura, ad esempio, che un tempo era un interlocutore importante. Per diverse ragioni, che qui non possiamo affrontare ma su cui sarebbe bene riflettere, quel rapporto si è in gran parte perso.
Sarebbe buona cosa se l’Anpi provasse a riattivare questo rapporto, certo con modalità diverse rispetto al passato, perché da un lato la preoccupazione per le sorti della Repubblica e dall’altro l’enorme sforzo di innovazione necessario per affrontare i problemi che ci aspettano, richiedono un salto culturale notevole. Un cambio di paradigma, come si dice. Che richiede un’intelligenza collettiva disponibile. A pensare e a fare. Con riferimento costante, strutturale, al Paese, attivando le forze della società civile, e aprendo al rapporto con i giovani e le donne perché solo da loro può venire la carica e la passione necessaria per provare a cambiare.
Claudio Dellavalle, presidente dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Istoreto)
Pubblicato venerdì 19 Marzo 2021
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