«La giustizia è stata crocifissa»: così si legge sul braccialetto indossato da molte delle 400.000 persone che seguono i funerali di Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco. Sono stati folgorati sulla sedia elettrica, il 23 agosto 1927, nel penitenziario di Charlestown, presidiato dall’esercito statunitense.
La creazione di comitati per la loro innocenza, la forte mobilitazione in campo internazionale, con numerose manifestazioni in Europa, Asia e in tutti gli Stati Uniti, non riescono a scongiurare l’infausto esito della vicenda giudiziaria, trascinatasi per ben sette anni, che ha per imputati i due anarchici italiani, uccisi per un delitto mai commesso. Romain Rolland, l’intellettuale francese distintosi nel 1914 per il suo antimilitarismo, biasima l’America e gli uomini che «l’hanno insudiciata con questo orribile crimine giudiziario». È uno dei tanti esponenti del mondo della cultura – come Anatole France, George Bernard Show, Bertrand Russell, Albert Einstein, Dorothy Parker, John Dewey, John Dos Passos – schierati in difesa dei due militanti anarchici, capri espiatori dell’avversione nei confronti degli stranieri e dei «sovversivi» diffusa a piene mani dall’establishment statunitense a partire dalla fine del primo conflitto mondiale.
Ma chi sono effettivamente Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 1888) e Nicola Sacco (Torremaggiore, 1891)? Sono due emigranti: il primo, proveniente dalla provincia di Cuneo, il secondo da quella di Foggia. Giovanissimi sbarcano in America in cerca di un futuro migliore, il miraggio che spinge, tra la fine dell’Ottocento e il 1920, milioni di italiani ad affrontare un lungo, faticoso viaggio in nave pur di trasferirsi oltreoceano e lasciarsi alle spalle un destino di povertà e precarietà.
Vanzetti, che si stabilisce nel Massachusetts, accetta qualsiasi umile impiego, vivendo in condizioni particolarmente disagiate (giunge addirittura a dormire per strada). Avido lettore, soprattutto delle opere di Marx, Pisacane e Mazzini, nel gennaio 1916 si mette alla testa di uno sciopero contro la «Plymouth Cordage» e per questo motivo stenta a trovare un’occupazione. Avvicinatosi a un gruppo anarchico di italoamericani, nel 1917 con l’ingresso degli Usa in guerra, per sottrarsi all’arruolamento, si rifugia in Messico, in compagnia anche di Nicola Sacco.
Da allora, Nick e Bart – come li chiamano negli States – diventano inseparabili. L’uno calzolaio e l’altro pescivendolo lavorano nella zona di Boston e frequentano assiduamente i circoli anarchici. Cominciano a girare armati, dopo aver appreso della morte di un loro compagno e amico, il tipografo siciliano Andrea Salsedo, il cui corpo viene trovato schiantato sul marciapiede, il 2 maggio 1920, alla base del Park Row Building di New York. L’Fbi, che l’ha trattenuto per due mesi nei suoi uffici al quattordicesimo piano, impedendogli di contattare parenti, amici e avvocati, afferma che si è tolto la vita saltando dalla finestra. Il caso di Salsedo precede di alcuni decenni quello del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, ‘precipitato’ dalle finestre della Questura di Milano il 16 dicembre 1969, dopo essere stato fermato in relazione alla strage attuata qualche giorno prima alla Banca Nazionale dell’Agricoltura dai neofascisti in combutta con i servizi segreti deviati.
Comunque, non passano che tre giorni dal «suicidio» di Salsedo e Nick e Bart, in un clima d’isteria antisovversiva e xenofoba, finiscono in prigione, perché nascondono volantini propagandistici e alcune armi. Vengono poi accusati di una rapina con duplice omicidio avvenuta in un calzaturificio a South Baintree, un paio di settimane prima. Sottoposti a un processo farsa, presieduto dal giudice Webster Thayer, – un processo fatto di contraddizioni e testimonianze pilotate, pesantemente condizionato dalla temperie politico-ideologica allora dominante – i due anarchici italiani sono dichiarati colpevoli. È evidente che si tratta di una sentenza politica. A nulla valgono i ricorsi in appello; né serve la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che ammette di aver partecipato alla rapina e di non aver mai visto Sacco e Vanzetti.
La condanna alla pena di morte di Nick e Bart è destinata ad assurgere a simbolo di una palese ingiustizia, della feroce, discriminatoria campagna contro chi si discosta dallo stereotipo dell’americano wasp (bianco, anglosassone e protestante) ed è considerato un pericoloso attentatore all’ordine socio-economico del capitalismo. La caccia contro radicali e dissenzienti di ogni tipo, promossa soprattutto dal ministro della Giustizia, il democratico Palmer (i famigerati Palmer raids), è alimentata dalla «paura dei rossi» (la red scare), acuita dalla vittoria dei bolscevichi in Russia: 9.000 persone incarcerate senza processo; i comunisti costretti alla clandestinità dal 1920 al 1923; l’Iww (Industrial Workers of the World), il combattivo sindacato internazionale fondato a Chicago nel giugno 1905, pressoché distrutto da una legislazione repressiva introdotta in molti stati dell’Unione all’indomani degli imponenti scioperi del 1919. La stessa moderata Afl (American Federation of Labor) risente dell’ondata reazionaria: tra il 1920 e il 1929 i suoi iscritti diminuiranno da cinque a tre milioni e mezzo.
I timori delle élite dirigenti statunitensi sono tutt’altro che infondati. Basti pensare alla vigorosa ondata di proteste e lotte innescata, nel gennaio 1919, dai lavoratori dei cantieri navali di Seattle. Lo sciopero generale, che paralizza questa città della costa del Pacifico, si svolge in una fase in cui nel mondo, anche sull’esempio della Rivoluzione d’Ottobre, divampa un aspro scontro politico e sociale. «Il fenomeno più straordinario attualmente […] – scrive a caldo un giornalista di «The Nation» – è la rivolta senza precedenti delle masse». In quell’anno quattro milioni di americani scendono in sciopero da Boston a Seattle.
Tuttavia nel 1920, quando Sacco e Vanzetti vengono ammanettati, gli Usa sono proiettati verso una età di espansione e prosperità economica: gli agglomerati urbani, in cui vive la maggioranza della popolazione, sono il perno di ogni attività e l’industria dell’intrattenimento (cinema, riviste, fumetti, spettacoli sportivi, varietà), la cui capacità di penetrazione è rafforzata dalle trasmissioni della prima stazione radio, cattura strati sempre più ampi della società. Si è agli albori dei «ruggenti Anni Venti», che saranno caratterizzati da un’impetuosa crescita del capitalismo industriale e finanziario e dal trionfo dell’americanismo interclassista.
Anche con il contributo del rinato Ku Klux Klan, l’organizzazione dei suprematisti bianchi, che nel 1924 arriva a contare 4 milioni e mezzo di aderenti, e dei veterani di guerra dell’American Legion, sorta nel 1919, i ceti dominanti mettono a tacere, in quel cruciale passaggio storico, l’opposizione sociale e politica di sinistra. Rientra in questo disegno la promulgazione, il 26 maggio 1924, della legge federale, nota come Johnson-Reed Act, con cui si vieta l’immigrazione dall’Asia, in particolare dal Giappone, e si stabilisce una quota totale di 165.000 immigranti per i Paesi al di fuori dell’emisfero occidentale. È un insieme di misure che mirano ad impedire l’afflusso, soprattutto dall’Europa orientale e meridionale, di quanti vengono ritenuti «indesiderabili» per ragioni sociali (indigenza), per credo religioso (cattolici ed ebrei) e per convinzioni politiche (comunisti, socialisti ed anarchici).
Sacco e Vanzetti – «un paio di wops nei guai», come li definisce un articolista di New York, inviato a seguire il loro processo – sono, dunque, vittime del pregiudizio etnico e politico allignante nella presunta società senza differenze di classe degli Stati Uniti, secondo l’immagine edulcorata che l’America ha teso e tende a fornire di sé, ora smentita dall’affiorare di profonde spaccature interne, come drammaticamente ha attestato l’assalto al Campidoglio da parte dei seguaci di Donald Trump, il 6 gennaio 2021.
Bisognerà attendere esattamente cinquant’anni, il 23 agosto 1977, perché il governatore democratico del Massachusetts, Michael Dukakis, riabiliti i due italo-americani. Tante le opere che, però, ne hanno tenuto in vita la memoria. Tra queste due su tutte vanno segnalate: le Sacco & Vanzetti Ballads, una sorta di «poema a trentatré giri», uscite nel 1964, ma commissionate nel 1947 dagli ambienti della cultura newyorchese impegnata a Woody Guthrie, l’inimitabile cantastorie della lotta di classe negli States; l’epico film del 1971, Sacco e Vanzetti, diretto da Giuliano Montaldo, con l’emozionante canzone dei titoli Here’s to You, interpretata da Joan Baez. Splendidi omaggi a due uomini che non hanno mai ripudiato i propri ideali, sino a sacrificare la loro vita.
Toccante è l’ultimo messaggio di Sacco al figlio Dante, una sorta di testamento spirituale, che è anche un invito rivolto a milioni di altre persone:
Così, figlio, invece di piangere, sii forte, in modo da poter confortare tua madre […] portala a fare una lunga passeggiata nella campagna tranquilla, a raccogliere fiori selvatici qui e là […]. Ma ricordati sempre, Dante, nella felicità non pensare solo a te stesso […] aiuta il perseguitato e la vittima perché sono i tuoi migliori amici […]. In questa lotta che è la vita troverai più amore e sarai amato.
Francesco Soverina, Istituto campano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Pubblicato lunedì 22 Agosto 2022
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