“Una storia della Resistenza nel Mezzogiorno non è stata mai scritta. Di tutto quanto avvenne nel 1943 sotto la linea di Montecassino, si ricordano soltanto le quattro eroiche giornate di Napoli della fine di settembre”. Scriveva così, alcuni anni fa, lo storico partenopeo Mario Avagliano e ancora oggi, ampie zone del Mezzogiorno italiano non sono riuscite a “riappacificarsi” con il proprio contributo dato alla Liberazione italiana dal nazifascismo.
“Eppure, spiega sempre Avagliano, nel breve periodo dell’occupazione tedesca, in Campania, in Puglia, in Lucania e negli Abruzzi si verificarono numerosi episodi spontanei di resistenza militare e civile ai tedeschi. Pochi sanno della battaglia di Barletta o delle insurrezioni di Matera, di Scafati, di Teramo e di Lanciano, che videro la partecipazione di larghi strati della popolazione. Solo di recente alcuni studiosi (Gloria Chianese, Aldo De Jaco) stanno tentando di colmare questo vuoto storiografico, mettendo in discussione la vulgata ufficiale che contrappone il vento del Nord all’immobilismo del Sud.
Nel ’43 il contesto sociale ed economico del Mezzogiorno era profondamente mutato rispetto agli anni del grande consenso al regime. La fame, il freddo, i bombardamenti e le ristrettezze economiche, avevano distrutto la credibilità del fascismo. I meridionali erano stanchi della guerra e desideravano ardentemente la pace. E così il 25 luglio, giorno dell’arresto di Mussolini, espressero in modo deciso il distacco dalla dittatura, con numerose manifestazioni di giubilo. D’altra parte, a quella data, il taglio del cordone ombelicale col fascismo era già maturo”.
Emblematico di questa situazione generale può essere, per esempio, ciò che è accaduto a Petilia Policastro, cittadina della Provincia di Crotone, dove il monumento ai Caduti di tutte le guerre, opera dello scultore Mimmo Grano, uno dei tanti meridionali trapiantati a Milano, fu realizzato intorno al 2000, probabilmente fra gli ultimi monumenti costruiti in Italia in onore dei Martiri delle due guerre mondiali. Nella stessa cittadina è novità degli ultimi giorni la scoperta che nella pagina partigianiditalia.it, portale del ministero della Cultura dedicato al fondo Ricompart (sversato all’Archivio centrale dello Stato dal ministero della Difesa su sollecitazione dell’Anpi) sono elencati 12 partigiani policastresi la cui storia, purtroppo, aspetta ancora di essere ricostruita.
Ancora a distanza di quasi ottanta anni dalla fine della Resistenza, infatti, le loro vicende non sono note nella loro terra allo stesso modo di quelle di Eugenio Jerardi e di Giuseppe Pace, ricostruita nel 2007 quando i suoi resti mortali sono tornati nel camposanto cittadino, dopo essere stati sepolti nelle Marche, e di don Pietro Capocasa, partigiano marchigiano che, dopo la Resistenza in Piemonte nelle Langhe, ha deciso di farsi sacerdote con la Comunità San Paolo e arrivò a Petilia Policastro, dove oltre che primo parroco della frazione di Foresta è stato docente nelle scuole medie Guglielmo Marconi, e la cui storia è stata ricostruita nel luglio scorso.
Ai tesserati dell’Anpi cittadina entrati in possesso dei nominativi di questi partigiani è bastato poco più che guardarsi negli occhi per trovare la voglia di accettare la sfida di raccoglierne informazioni, magari intervistandone gli eredi diretti che potrebbero essere ancora in vita; pur nella consapevolezza che ormai siamo arrivati in “zona Cesarini” per il lungo tempo inutilmente trascorso.
Il più anziano fra di loro, Giovan Battista Lucchetta era infatti nato il 13 marzo 1908 e il più giovane, invece, era Giuseppe “Nico” Perri nato il 12 settembre 1924, l’anno in cui erano nati gran parte degli altri partigiani policastresi. I loro nomi sono Mario Cappa (15 marzo 1924), Santo Cistaro (6 marzo 1919), Gaetano “Gino” Cepale (1 luglio 1916), Giuseppe Greco (24 novembre 1914), Isonzo “Piave” Gentile (13 novembre 1914), Mario Elia (11 marzo 1923), Vito Mazzuca (23 maggio 1924), Giuseppe Pisani (19 agosto 1924), Tommaso “Leone” Medaglia (10 aprile 1922) e Vincenzo Pace (2 febbraio 1913). Evidentemente i loro figli sono quasi tutti morti, eppure vale la pena di provare a tratteggiarne almeno delle brevi schede biografiche dal momento che, nell’80° del secondo anno della Resistenza, la prima Conferenza organizzativa dell’Anpi del Meridione ha deciso di tornare a guardare con maggiore intensità al Sud italiano.
Al tempo della Guerra di Liberazione, Petilia Policastro era uno dei maggiori Comuni di quella che sarebbe diventata la Provincia di Crotone. Aveva una popolazione di oltre 10.000 abitanti e una vivace classe di professionisti, ma la maggior parte della popolazione era impegnata nell’agricoltura e in un artigianato che sino agli anni Sessanta del Novecento era talmente fiorente da essere rinomato nel circondario. Come in diverse contrade del Sud, non vi mancavano i soprusi dei “signorotti” locali e del ceto impiegatizio.
Correva l’anno 1917 quando vi avvenne la “Rivolta delle Frascare” che, esasperate dai ritardi del Municipio nel distribuire i sussidi governativi per le famiglie dei soldati al fronte, incendiarono il Comune appunto con le “frasche”: rami secchi degli alberi che raccoglievano nelle campagne e che solitamente vendevano ai numerosi forni a legna del centro cittadino.
Si trattò di una delle poche rivolte quasi al femminile nella Calabria del tempo e nel primo centennario l’Amministrazione comunale del sindaco Amedeo Nicolazzi ha voluto ricordare l’evento nel corso di una edizione della “Giornata del Coraggio Femminile”, affiggendo anche una lapide sulle mura del vecchio edificio municipale, Palazzo Santa Caterina, antico convento di domenicane la cui chiesa dedicata a San Pietro e ormai sconsacrata era stata, sino al XVI secolo e la cacciata di Carlo V di tutti gli ebrei dal Regno mentre lo stesso “Popolo del Libro” era sopportato nella Roma papalina, la Sinagoga cittadina. Per ironia della sorte, la demolizione e l’assorbimento della chiesa, forse l’unica in Provincia a pianta ortogonale, nel Municipio non fu decisione di un sindaco di sinistra e quindi per la nomea di quei tempi espressione di uno Stato laico ma il democristiano Luigi Carvelli, medico condotto.
Analoga protesta si registrò nel 1947 quasi alla vigilia dei “Fatti di Melissa”, che nel 1949 misero fine al latifondismo che nel Meridione Italiano era nato nel periodo del Regno Normanno. Tornata la democrazia e le libere elezioni, almeno sino al 1975 le Amministrazioni erano espressione di quel Partito Comunista Italiano che ebbe proprio nel Crotonese un ottimo serbatoio di voti. Basta pensare che nelle frazioni pedomontane petiline di Pagliarelle e Cammellino il Pci raccoglieva, elezione dopo elezione, percentuali di voti spesso superiori al 90%.
È dunque facile capire come contrariamente a certa storiografia come i partigiani del Meridione non furono semplicemente degli “sbandati” dopo l’Armistizio del 1943, ma giovani militari ben convinti di una scelta convinta ed ideologica dalla parte di quella che, ancora oggi, noi riteniamo la “parte giusta”.
Riusciranno gli iscritti all’Anpi policastrese a riallacciare i sottili fili della memoria e raccogliere alcune informazioni su questi combattenti di cui si è persa la memoria? Comunque, in un periodo non certamente facile come il nostro in cui anche le discipline storiche sono contaminate da un becero e massificante revisionismo, già porre l’elenco dei partigiani cittadini in una lastra ai piedi del monumento dei caduti insieme ai soldati morti nelle due Guerre Mondiali potrebbe essere un piccolo ma significativo gesto per la tutela della memoria cittadina.
Francesco Rizza, giornalista, iscritto alla sezione Anpi di Petilia Policastro (Kr)
Pubblicato domenica 9 Giugno 2024
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