Le Marche e la Calabria sono più vicine, grazie alla biografia di don Pietro Capocasa partigiano marchigiano e sacerdote nell’Arcidiocesi di Crotone e Santa Severina, ricostruita dalla sezione Anpi di Petilia Policastro. Ad alcuni mesi dalla nascita dell’associazione nel territorio, alcuni suoi iscritti hanno sentito la necessità recuperare più informazioni possibili sulla vita del partigiano sacerdote per abbozzarne una biografia, considerato che sulla sua storia non c’era nulla di edito.
Utile per avviare la ricerca, la collaborazione di Antonio Bruni dell’Anpi di San Benedetto Del Tronto e dell’anagrafe di Grottammare, che ci ha messo in contatto con Rosalia Lucente, nipote acquisita di don Pietro, che nel periodo estivo si trasferisce a Foresta di Petilia Policastro, nel Marchesato Crotonese, dove don Pietro, è stato per più anni sacerdote. Rosalia, in un emozionante incontro, insieme al marito Giacomo ci ha regalato alcuni suoi ricordi.
Dall’anagrafe di Grottammare risulta che il sacerdote partigiano era figlio di Giacomo Capocasa e Chiara Virgulti e che era nato il 10 gennaio 1915. Terminati gli studi liceali, ci ha raccontato Rosalia, grazie all’aiuto del sacerdote don Giuseppe Chiesa, si era trasferito ad Alba, iniziando a lavorare presso la tipografia della Comunità San Paolo. Fu proprio nelle Langhe piemontesi che Pietro decise di aderire alla Resistenza, salendo in montagna con la brigata “Mauri” dell’alpino Enrico Martini, e prendendo il nome di battaglia di “Pasquale Ceci” e il soprannome di “Ombra”.
La brigata autonoma “Mauri” operava fra il Piemonte e la Liguria e radunava al suo interno partigiani con posizioni monarchiche e cattoliche che avevano scelto di schierarsi col governo del Regno del Sud e gli Alleati.
“La vocazione al sacerdozio, ‘zio Prete’, come affettuosamente lo chiamavo – ci ha raccontato Rosalia, maestra di scuola materna in pensione – l’aveva avuta fin da ragazzo, ma si è accentuata durante la Resistenza. Nella formazione “Mauri” era legato ad Antonietta, staffetta partigiana e nipote di don Chiesa, che finita l’esperienza partigiana si è fatta suora in una comunità di missionarie”.
Tra gli altri ricordi che Rosalia ha voluto donarci relativamente alla stagione di don Pietro, c’è anche il suo impegno per la liberazione di alcuni ebrei e l’amicizia con un partigiano famoso: Sandro Pertini.
Entrato in seminario grazie al sostegno economico di una benefattrice, la contessa Cetazzo, Pietro Capocasa aveva completo gli studi ed era stato consacrato sacerdote il 4 maggio 1944. Il suo trasferimento nell’Arcidiocesi di Santa Severina, allora non aggregata alla Diocesi di Crotone, avvenne contestualmente dall’arrivo di mons. Giovanni Dadone che, nato a Carrù in provincia di Cuneo nel 1908, nel luglio 1952 era stato ordinato Arcivescovo dell’antica Metropolia calabrese.
Spulciando nella biografia dello stesso Arcivescovo, si apprende che mons. Dadone era stato parroco dal 1938 al 1952 a Murazzano in provincia di Cuneo dove, fra il 13 ed il 27 marzo del 1944, si era svolto un rastrellamento contro i partigiani della formazione “Mauri” e si era impegnato per farne liberare alcuni prigionieri che erano stati imprigionati dai nazifascisti.
Nell’Arcidiocesi santaseverinese, mons. Dadone trovò una situazione problematica per lo scarso numero di sacerdoti e don Pietro Capocasa fu fra quelli che vi arrivarono e vi rimase più a lungo; fino alla fine degli anni Ottanta quando, anziano e malato rientrò a Grottammare presso alcuni parenti, morendovi il 30 luglio 2001.
Nei pochi documenti relativi al suo impegno in Calabria, conservati nell’Archivio diocesano di Santa Severina, risulta che don Pietro era stato nominato canonico della cattedrale il 14 novembre 1956. Contestualmente, aveva lavorato nell’Ufficio tecnico dell’Arcidiocesi e aveva progettato, fra le altre cose, la trasformazione della chiesa di Santa Caterina, detta dell’Oratorio, nella sede della Pontificia Opera dell’Assistenza. Nei pressi dalla cattedrale di Santa Severina, attualmente, gli stessi locali ospitano alcuni uffici comunali. Nel 1961, papa Giovanni XXIII l’aveva aveva nominato monsignore.
“Zio Prete – aggiunge Rosalia – con una proverbiale bonomia ed una simpatia fuor dal comune, incarnava nella propria vita sacerdotale i valori del Concilio Vaticano II, prendendo delle posizioni avanzate rispetto al clero del suo tempo. A Petilia, per esempio, a differenza di altri sacerdoti non ebbe problemi a celebrare in chiesa il matrimonio religioso di un giovane sindaco comunista, ma anche a celebrare a Crotone il funerale di una giovane studentessa universitaria che si era suicidata”.
Proficuo, anche a Foresta, l’impegno del prete marchigiano. Al suo tempo, l’attuale chiesa parrocchiale era una semplice cappella in cui, saltuariamente, scendevano a celebrare messa i missionari Ardorini di comunità a Petilia. Don Pietro, grazie alle offerte degli operai della Società Forestale Meridionale riuscì ad ampliare la chiesa pensata per il popolo e ammodernata dallo stesso popolo.
Importante anche il suo impegno fra i giovani. È stato, infatti, insegnante di religione nell’istituto agrario di Catanzaro, ma anche nelle scuole medie di Petilia Policastro.
Nella canonica che realizzò sognava di creare una scuola materna. Il progetto non si concretizzò solo perché dalla Curia non arrivarono gli aiuti economici che erano stati promessi. Comunque, in tutte le ore del giorno, don Pietro promosse una delle prime radio libere dell’entroterra crotonese, ma anche uno dei primi gruppi di boy scouts, offrendo alle nuove generazioni la possibilità di nuove esperienze formative. Ecco perché, trascritta la storia del sacerdote marchigiano, la sezione policastrese dell’Anpi si impegnerà nelle prossime settimane a immaginare la realizzazione di un segno di concreta solidarietà.
Francesco Rizza, giornalista, componente della sezione Anpi di Petelia Policastro (KR)
Pubblicato lunedì 10 Luglio 2023
Stampato il 06/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/ci-guidavano-le-stelle/don-pietro-capocasa-storia-di-un-partigiano-ritrovato/