Il monumento ufficiale e sotto il contro-memoriale, Monumento vivente

Budapest – In piazza della Libertà è presente da qualche anno un “monumento vivo” che contesta, attraverso la volontà e la determinazione di tanti cittadini e associazioni, una scultura commemorativa creata dal governo di Viktor Orbán tacciata di revisionismo storico.

Quasi mille giorni di proteste quotidiane attraverso foto dei cari, morti di stenti nei campi di concentramento, piccoli oggetti di uso quotidiano appartenuti ai deportati, lettere, documenti, candele, fiori, testimonianze dei sopravvissuti. Una partecipazione attiva di varie associazioni della società civile ungherese per dire no a chi cancella la storia, un esercizio di memoria quotidiano a pochi passi dal Parlamento, in una delle piazze più grandi di Budapest.

Siamo in Szabadság tér (piazza della Libertà) dove si trova appunto un monumento chiamato “Memoriale per le vittime dell’occupazione tedesca” voluto dal primo ministro per commemorare l’invasione nazista dell’Ungheria che ebbe inizio il 19 marzo del 1944 e mai inaugurato ufficialmente a causa delle proteste dei cittadini.

Il monumento raffigura l’arcangelo Gabriele, simbolo dell’Ungheria, che viene soggiogato – innocente – dall’aquila imperiale tedesca; ma in questa rappresentazione ideale vengono tralasciate -da qui il falso storico – le colpe del governo dell’ammiraglio Miklós Horthy, dei nazisti ungheresi e del regime delle croci uncinate di Ferenc Szálasi, divenuto primo ministro proprio nel 1944, che ammirava sia l’alleato Hitler che Mussolini.

La statua contestata

Perciò tanti cittadini, allarmati da tale racconto storicamente falso dei fatti, hanno deciso di protestare creando un “contro-monumento”, un Monumento vivente (Eleven Emlékmű) che restituisse la verità storica occultata proprio ai piedi delle statue revisioniste.

L’Olocausto costò la vita a circa mezzo milione tra ebrei, rom e omosessuali ungheresi; l’Ungheria ebbe delle responsabilità e non fu innocente come invece racconta metaforicamente il memoriale di piazza della Libertà costato ai contribuenti magiari 317 milioni di fiorini (circa un milione di euro). “Non i tedeschi! Questa statua è una bugia!”, si legge in uno dei biglietti del contro-memoriale.

Le testimonianze sugli ebrei deportati

Le proteste sono iniziate nel gennaio del 2014 e vanno avanti ancora oggi: «Finché il Presidente Victor Orbán non avrà riconosciuto la necessità di un dialogo con la società civile ungherese noi continueremo», denunciano le associazioni, tra cui “Monumento vivente/ Eleven Emlékmű”, “Memoria pulita/ Tiszta Emlékezet”, “Piattaforma umana/ Humán Platform”, che, ogni giorno nel tardo pomeriggio, si riuniscono in piazza della Libertà. «Pazientemente e con perseveranza vogliamo testimoniare che l’unico modo per capire e superare il passato non è attraverso la negazione o il revisionismo ma mettendosi faccia a faccia con le proprie colpe», si legge in una nota scritta dalle associazioni che partecipano al sit-in permanente. «Questa è la nostra unica possibilità per non essere condannati a ripetere gli errori del passato ancora e ancora».

La fontana in piazza della Libertà

La fontana scenografica di fronte al monumento contestato – dotata di sensori ottici che la fanno attivare quando ci si avvicina o si allontana – attira i bambini e molti turisti che, dopo le foto di rito, si incuriosiscono vedendo cartelli in tutte le lingue che spiegano il perché di un monumento vivo e fotografano gli oggetti dei deportati. Un biglietto, un paio di scarpe logore, una foto ingiallita dal tempo, una valigia, piccole cose che, contrapposte al bianco del monumento revisionista che incombe alle spalle, fanno da contrasto e inducono i passanti a sostare per qualche minuto.

Purtroppo il Monumento vivente è stato vandalizzato più volte da gruppi di estrema destra che hanno strappato foto, rubato documenti e distrutto gli oggetti presenti anche se la protesta per la memoria continua.

Inoltre, sempre nell’ambito del revisionismo storico compiuto dal governo di Orbán e dal suo partito Fidesz, nella stessa piazza della Libertà (di fronte alla chiesa presbiteriana) alla fine del 2013 è stata inaugurata non senza controversie una statua proprio del governatore collaborazionista Miklós Horthy, celebrato come un eroe nazionale dalla destra. Nella stessa piazza sorge, ironia della sorte, un monumento all’esercito sovietico che liberò l’Ungheria dai nazifascisti, l’unico di questo tipo rimasto a Budapest.

Le sedie vuote del Monumento vivente documentano lo sterminio della Comunità ebraia ungherese e sono un atto d’accusa verso i nostalgici del nazismo

L’Ungheria ospita una delle comunità ebraiche più grandi d’Europa, eppure da un po’ di tempo l’antisemitismo è tornato a galla assieme ai rigurgiti neofascisti. Va ricordato che alle prossime elezioni politiche che si terranno nel 2018 i principali partiti sono la formazione di destra Fidesz del primo ministro Orbán e lo Jobbik, il partito nazionalista di estrema destra che si avvale di un braccio armato detto Guardia ungherese.

La comunità ebraica è presente in Ungheria sin dal IX secolo d.C. e gli ebrei hanno contribuito allo sviluppo culturale, artistico e commerciale del Paese. A Budapest si può ammirare la seconda sinagoga più grande del mondo, dopo quella di New York.

Quando l’esercito tedesco occupò l’Ungheria, gli ebrei furono costretti a esibire la stella di David e videro pian piano ridurre la loro libertà. Nel luglio del 1944 circa 200mila ebrei di Budapest dovettero trasferirsi nelle case all’interno di Erzsébetváros che diventò il ghetto principale della città. Dieci mesi prima della fine del conflitto però circa metà della popolazione ebraica della capitale – assieme a rom e omosessuali – fu deportata ad Auschwitz e in altri campi. Nel frattempo, molti di quelli che erano riusciti a mettersi in salvo o a nascondersi in case protette nella città venivano trucidati a seguito dei rastrellamenti compiuti dai seguaci del partito fascista delle Croci uncinate.

L’esercito sovietico liberò i due ghetti di Budapest il 16 gennaio 1945. Quando tornarono i sopravvissuti e quanti erano in clandestinità si calcolò che la popolazione di ebrei ungheresi di Budapest era diminuita di circa due terzi. Invece, la comunità ebraica delle province fu quasi completamente deportata. “Meditate che questo è stato”, scriveva Primo Levi in una poesia.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi