Declassificata. Mai un tal verdetto era stato tanto atteso e accolto con soddisfazione dalla società civile e dalla ricerca scientifica. La cannabis, sostanza stigmatizzata da sempre, ha avuto finalmente il suo riscatto poiché declassificata dalla tabella della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 che la annoverava tra le sostanze più dannose per la salute, come l’eroina, riconoscendole il valore medico e terapeutico.
Una decisione storica approvata lo scorso 3 dicembre dalla maggioranza dei 53 Stati membri della Commissione narcotici delle Nazioni Unite, in base alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, e con l’Unione Europea che ha votato compatta, ad eccezione dell’Ungheria. Non vi è tuttavia alcuna modifica della legge internazionale che ne vieta l’uso ricreativo.
Le proprietà terapeutiche della cannabis sono note da tempi remotissimi, come attesta il Classico sulle Radici di Erbe del Contadino Divino, il più antico testo cinese sui farmaci del 2738 a.C. e attribuito a Sheng Nung, imperatore e padre della medicina cinese, poi venerato anche come divinità protettrice dell’agricoltura e della medicina.
Oggi studi scientifici confermano che i benefici sul sistema nervoso della cannabis sono molteplici e viene utilizzata per il trattamento del morbo di Parkinson, sclerosi, epilessia, dolore cronico ma anche tumori, disordine da stress post traumatico, insonnia, distonia, asma solo per citarne alcune. Non solo. In Canada e in Israele è in fase di sperimentazione come farmaco nella lotta contro il Covid.
In Italia, l’attenzione mediatica si è di recente concentrata sulla testimonianza di Walter De Benedetto, affetto da una grave forma di artrite reumatoide, che, come molti altri, ha deciso di autoprodurre il quantitativo necessario di cannabis medica per lenire i dolori della sua patologia degenerativa, dopo aver avuto difficoltà a reperirlo attraverso i canali ufficiali consentiti dalla legge. Per questo De Benedetto, costretto a vita in un letto, sarà sottoposto ad un processo “accusato di coltivazione illegale perché produceva in giardino quello che lo Stato non gli forniva”, ha dichiarato l’esponente dei Radicali Marco Cappato durante il digiuno a staffetta promosso da diverse associazioni per l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani per rilanciare la lettera aperta al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da parte di De Benedetto e chiedere a Parlamento e Governo di legalizzare la produzione, consumo e commercio della cannabis per tutti gli usi.
Il servizio sanitario nazionale consente l’erogazione gratuita ai pazienti con regolare prescrizione medica, sancita dal decreto Lorenzin del 2015, attraverso un iter cavilloso che varia in base al territorio di appartenenza. «Intanto c’è una disparità di trattamento per patologia da regione a regione e questo è già un primo problema – spiega Carlo Monaco, presidente dell’associazione Canapa Caffè di Roma –. Inoltre – continua il leader dell’associazione che dal 2016 supporta pazienti in questo mondo macchinoso – nelle strutture pubbliche c’è una forte carenza di medici competenti in questo ambito e se la regione dispone di una legislazione congrua alla patologia che si ha, allora si può pensare ad un percorso nel servizio sanitario. Spesso questo non accade». Chi non possiede la disponibilità economica, non può quindi permettersi le cure, perché gran parte dei professionisti che si occupano di questo tipo di terapie sono fuori dal sistema pubblico.
«In questo momento ci sono ritardi a causa dei problemi di approvvigionamento perché dal ministero della Salute le ordinazioni sono scarse rispetto alle necessità. La continuità terapeutica è complicata perché richiede un dosaggio più alto della media» conclude Monaco, che con la sua associazione chiede da tempo alle istituzioni di discutere della proposta di legge grazie alla quale i malati in possesso di prescrizione medica potrebbero coltivare quattro piante di cannabis per le proprie necessità mediche – o delegare qualcuno nel farlo – senza più temere ripercussioni legali.
Molti malati infatti per sopperire a questa mancanza e non potendola coltivare, si rivolgono al mercato nero. Secondo il report Estimated World Requirements of Narcotic Drugs 2020 dell’International Narcotics Control Board, l’Italia avrebbe un fabbisogno di 1.950 kg all’anno di cannabis medica. Solo una piccola parte di questo fabbisogno è soddisfatto dalla produzione nazionale, il resto viene importato principalmente dall’Olanda, ma sempre in quantità insufficienti. La coltivazione nazionale della pianta avviene all’interno di uno stabilimento farmaceutico militare a Firenze, approvato dallo stesso decreto del 2015, come progetto pilota e attualmente l’unico ad approvvigionare le poche farmacie galeniche con tempi di attesa lunghissimi.
Assodato che si è riusciti a chiedere in farmacia il quantitativo necessario di cannabis medica per la propria patologia, l’odissea non è ancora conclusa. Una nota ministeriale dello scorso 23 settembre vieta ai farmacisti la consegna del prodotto tramite servizio postale o corriere, generando ancora disagio nei malati costretti a spostarsi per chilometri data l’esiguità dei laboratori galenici che lo preparano.
Pubblicato martedì 5 Gennaio 2021
Stampato il 11/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/cannabis-medica-sdoganata-ma-introvabile/