Il referendum e il pasticcio dei 900 sindaci. Ma che c’entra Debora Serracchiani? Occorre ripercorrere l’intera vicenda.
La cronaca: il 9 ottobre alcuni quotidiani riferiscono di un appuntamento. 900 sindaci si raduneranno in piazza del Popolo a Roma, coordinati dal sindaco di Milano Beppe Sala, a sostegno del Sì al referendum. Gli organizzatori sono il ministro Graziano Delrio e il sottosegretario Angelo Rughetti. L’iniziativa non cade dal cielo: ai primi di agosto i due inviano una lettera ai sindaci invitandoli ad attivarsi per il Sì con motivazioni straordinariamente convincenti: dopo aver recitato l’atto di fede e costrizione (“la nostra Costituzione è bellissima!”, notare il punto esclamativo) si sgrana il rosario dei cambiamenti necessari per renderla attuale, e così descrivendo l’Eden che ci aspetta in caso di vittoria dei Sì. E si aggiunge che “il Sì al referendum vuol dire puntare sulla crescita”, mentre col No, come oramai abbiamo imparato da tempo, “l’Italia tornerebbe dentro le sacche delle politiche di austerity”. Tornerebbe? Il che vuol dire che da qualche tempo l’austerity è un fastidioso ricordo del passato, la sgradita memoria del tempo che fu, il superato inciampo di una trascorsa stagione di crisi, essendo del tutto evidente che, invece, il nostro Paese vive una straordinaria rinascita economica e sociale, nel mentre si va verso la piena occupazione, le imprese rigogliosamente producono e i consumi aumentano in progressione geometrica. Ma se vincesse il Sì queste sarebbero pinzillacchere: in breve tempo il PIL supererebbe il tasso d’incremento della Cina. Viceversa se vincesse il No, alla bancarotta italiana e, per trascinamento, europea, si potrebbe addirittura aggiungere – ma questo solo per gli osservatori più pessimisti – l’obbligo per tutti i cittadini di assistere ogni sera a “Porta a porta”.
In attesa del promesso Favoloso Mondo di Amélie, la lettera desta molti malumori, dato l’uso alquanto disinvolto dell’autorità di un ministro, coadiuvato da un sottosegretario, e il tentativo conclamato di coinvolgere i sindaci in quanto tali nella disputa referendaria. Poi, pochi giorni fa, la comunicazione del raduno dei 900 previsto per il 27 ottobre, cioè della scelta di scendere nell’agone da parte di istituzioni terze, come dovrebbero essere i sindaci, rispetto alla delicatissima questione della modifica della Costituzione. Un nuovo vulnus che si aggiunge a quello praticato da mesi dal governo. Calamandrei, durante i lavori della Costituente, affermava fra l’altro: “Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza…”; “nel campo del potere costituente il governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria”; “quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti”. Ma Calamandrei – va da sé – era un parruccone, da rottamare.
Di conseguenza, evidentemente, non solo il governo deve predisporre, scrivere, far approvare, sostenere in ogni modo la sua riforma, ma anche i sindaci – Delrio dixit – devono schierarsi, appositamente radunandosi. Eppure la legge 22 Febbraio 2000, n. 28 dal titolo “Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”, recita così al punto 1 dell’art. 9: “. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”. Certo, la carica dei 900 sindaci avviene astutamente prima. Ma se il legislatore oppone un divieto alla propaganda delle “amministrazioni pubbliche” da una certa data, è ovvio che da quella data è illegale, ma prima è evidentemente inopportuna, impropria, perché viola un codice di imparzialità, rivela uno scarso rispetto per le istituzioni e non rappresenta affatto la città.
A questo punto interviene il Presidente nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia che, nel corso di una lunga intervista a Radio Popolare (http://www.radiopopolare.it/2016/10/presidente-anpi-carlo-smuraglia-modifiche-allitalicum-solo-chiacchiere-e-spiega-no-al-referendum-costituzionale-agli-ascoltatori/), afferma fra l’altro: “Nella mia concezione, il sindaco rappresenta tutti i cittadini e certamente con questo non perde il diritto di votare come gli pare e anche di dirlo. Trovo però improprio che si organizzi una manifestazione dei sindaci per il ‘sì’ (e sarebbe stato lo stesso se fossero stati per il ‘no’) perché una parte dei cittadini in quel momento non si sentirà rappresentata”.
Non l’avesse mai detto! Si scatena il giudizio. In mancanza di quello di Dio, subentra quello della Serracchiani, la quale sentenzia: “È sorprendente l’attacco dell’ANPI contro i sindaci che hanno deciso di schierarsi per il Sì al referendum”. “Appare incomprensibile – prosegue la Serracchiani – che Smuraglia ‘conceda’ ai sindaci il diritto di votare secondo coscienza e di manifestare le loro convinzioni ma non ammetta che gli stessi sindaci possano farlo in gruppo e in piazza. Quanti hanno la massima responsabilità di guida dei Comuni sono qualificati per giudicare le riforme e per esprimersi sul nuovo assetto costituzionale: il loro parere dovrebbe essere sollecitato, non silenziato. Che il vertice nazionale dell’ANPI abbia nuovamente voluto inserirsi in un modo così pesante e oggettivamente di parte nel dibattito referendario purtroppo non aiuta la serenità del confronto”.
Cioè l’ANPI nel dibattito referendario si inserisce in modo di parte, nuovamente. Notare l’avverbio. Se ne deduce che già in passato l’ANPI “si è inserita”. Ingerenza indebita. Inopinato disturbo al manovratore. Fastidioso intralcio alle magnifiche sorti e progressive di una riforma portentosa. Non solo: l’ANPI si inserisce in modo di parte, mentre, con tutta evidenza, la Serracchiani e il Governo esprimono una opinione al di sopra delle parti, demiurgica, e perciò inconfutabile. Avete mai visto il Presidente del Consiglio esprimere un’opinione di parte sul referendum? Vi pare sia pur lontanamente immaginabile che la ministra Boschi esprima un’opinione di parte sulla riforma? Non ritenete francamente offensivo supporre – sia pur alla lontana – che la lettera di Delrio ai sindaci in cui li si invita a sostenere il Sì al referendum rappresenti un’opinione di parte? Suvvia! Ma come si fa a non vedere che chi critica una manifestazione istituzionale per il Sì è di parte, mentre chi promuove quella manifestazione per il Sì è incontrovertibilmente al di sopra delle parti? Per dirla tutta, ci rendiamo conto o non ci rendiamo conto che chi sostiene il No è di parte mentre chi sostiene il Sì non lo è?
Serracchiani story conclusiva. La dirigente del Pd ai primi di marzo del 2014 silenziò – lei sì – il Presidente del Senato Pietro Grasso che si era permesso di sostenere, proprio a proposito della riforma costituzionale, l’opportunità che il Senato rimanesse elettivo, e pronunciò le fatidiche parole: “Grasso è un presidente di garanzia ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”. Insomma, Presidente sì, ma subordinato al comando del partito, cioè dei suoi dirigenti, cioè della Serracchiani.
Anche nel caso della sentenza su Smuraglia, dunque, la giovine dirigente conferma la sua visione del mondo: bene le persone delle istituzioni, bene in generale le persone, ma subordinate ad alcune idee. Le sue. Sennò, sono di parte. Le va garbatamente rivolta la nota citazione dall’Amleto: ci sono più cose in cielo e in terra, Debora, di quante ne sogni la tua filosofia.
Pubblicato giovedì 13 Ottobre 2016
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