Le loro storie di donne che scelsero da che parte stare sono lì, a rispondere dove da anni i saluti romani, gli slogan, le parate fanno straccio della Costituzione. A Dongo e Giulino di Mezzegra, lungolago di Como, per esempio, in oltraggio alla Costituzione rendendo gli onori a Mussolini, con prima volta al tempo del governo della destra nera. Le loro storie continuano a vivere e gridare un coraggio da rasentare l’incredibile ancora oggi. Le loro storie sono nei quartieri delle città e dei borghi italiani dove targhe le ricordano, strade intitolate spesso grazie all’impegno di memoria attiva dell’Anpi.
Da tempo l’associazione nazionale dei partigiani dedica iniziative alle donne nella Resistenza, protagoniste indispensabili della lotta di Liberazione. E quest’anno il 25 aprile con #sonorosefioriranno è stato nel segno corale di un omaggio a quei fiori di libertà. Perché, se di una donna, anche il massimo sacrificio è stato spesso sottaciuto dalle narrazioni ufficiali, una mancanza che forse ha una responsabilità nel far avere gioco facile al ricorrente tentativo di rimuovere l’essenza popolare e antifascista della Repubblica e della Costituzione.
Scritta anche grazie a ragazzine, giovani madri, operaie, contadine, crocerossine, impiegate, donne di popolo che non restarono alla finestra. Consapevoli della sorte riservata se fossero finite nelle mani di fascisti e nazisti. Tortura, violenza sessuale, morte.
Nell’80° dell’anno in cui tutto ricominciò – aspirazione alla vita, alla democrazia, al futuro – reagendo all’occupante e a venti anni di regime, le donne Anpi, staffette combattenti di adesso, hanno promosso decine di convegni, mostre, presentazioni di libri e portato una rosa o mazzi di fiori, uniti spesso a bandiere della pace, sotto le targhe nelle vie che ricordano, simboli evidentemente scomodi se quelle lapidi, monumenti in memoria sono sovente bersaglio di infami vandalismi.
A voce alta hanno ripercorso biografie, vicende drammatiche di donne decise a riscattare la vergogna e il terrore del mondo, un tributo per sancire una volta di più un perenne debito alle 15 Medaglie d’Oro Valor Militare alla Memoria per abbracciare tutte, ripetiamoli i numeri, le 2.812 fucilate o impiccate e le 1.070 Cadute in combattimento che non ebbero decorazioni, le 4.653 sopravvissute all’arresto e alle sevizie, le 2.750 deportate in Germania, le 35mila partigiane, le 70mila dei GDD.
Il fascismo le esaltava nel ruolo di madri e spose, ma non si tirò indietro quando si trattò di straziare donne incinte. Per Mussolini e accoliti erano destinate a far figli, carne da cannone da immolare alla guerra, poi forza lavoro sfruttata per surrogare, in fabbrica e nei campi, agli uomini al fronte, non per garantire loro indipendenza, dignità e rappresentanza.
Parole, sembrerebbe, malintese dalla presidente del Consiglio, che ora si appresta all’assalto della mai digerita Carta. Indigesta nel tempo a reduci saloini, missini, neofascisti e postfascisti, fino all’attuale seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, avvocato e presidente del Senato, l’antiantifascista che non riesce proprio a leggere l’antifascismo in quel magnifico testo. Fino all’ultima mossa della destra al potere, smontare la Repubblica parlamentare in una virata presidenzialista, o almeno in un premierato forte e un capo del governo eletto direttamente dal popolo.
Stravolgimenti della Costituzione annunciati in campagna elettorale evidentemente diventati urgenti, convocazioni martedì 10 a palazzo Chigi, per provare a seppellire sotto il tappetino i magri risultati dei 226 giorni dell’esecutivo. Mentre si fa macerie di decreti che, pur con grandi limiti, tentavano di porre un argine allo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori, mentre il cognato di Meloni, il ministro Francesco Lollobrigida, è tornato a ventilare il pericolo della “sostituzione etnica”, espressione che aveva usato in passato riferendosi alle poche nascite dell’italianità tanto riesumata (e a distanza di nemmeno tre settimane “c’ha arifatto”, come si dice in gergo romanesco, sostenendo che “l’etnia italiana va tutelata”).
Ma lo scorso 25 aprile, il Paese ha dimostrato dal Nord al Sud, con una straordinaria e gioiosa militante partecipazione alle celebrazioni, la vocazione antifascista popolare e transgenerazionale, che si riconosce nella Costituzione. E ci sono quelle rose a tornare a far parlare le madri della Repubblica Italiana, coloro che morirono per lei e le sopravvissute che tradussero in articoli i perché del sacrificio supremo.
A Castelfranco Emilia, al cippo dedicato a Gabriella Degli Esposti, Medaglia d’Oro al Valor Militare, c’era Savina, la figlia della partigiana “Bruna” che da piccola assistette alla cattura della madre, in casa. La vide picchiare dai nazisti in combutta coi fascisti e portare via. Era incinta sua madre, per la terza volta, ritrovata senza occhi (anche Irma Bandiera venne accecata nella prassi dell’orrore), il ventre squarciato e i seni tagliati. Torturata prima essere fucilata, unica donna di dieci compagni di lotta e di morte. La figlia Savina Reverberi Catellani, le rose, insieme alle antifasciste.
Gli scatti che vi propone Patria raccontano solo una parte delle tante mobilitazioni, delle 10-100-1.000 rose della memoria attiva. Ci accompagneranno a Firenze, con le rose per la MdO VM Irma Marchiani, e per la madre costituente Teresa Mattei, e per tutte le donne della lotta di Liberazione, deposte alla presenza del sindaco.
Anche a Caserta, il primo cittadino non è voluto mancare all’appuntamento lanciato dall’Anpi e insieme al comitato provinciale dell’associazione in omaggio a Carmelina Varone, partigiana uccisa il 4 ottobre 1943 nella “Strage di San Clemente”. E a Lanciano nel Chietino è arrivato dalla Campania il sindaco di Terzigno per dare voce a Maria Auricchio, uccisa a 18 anni, originaria del Comune metropolitano partenopeo, commemorata insieme a Dora Manzitti, alla monaca Edith Stein morta ad Auschwitz e alle donne Rom. Deportate mai tornate come l’italianissima Liliana Ampola “Maria”, di Rapallo, la vita finita a vent’anni a Mauthausen.
A Roma a Porta San Paolo, le partigiane Iole Mancini e Luciana Romoli, 103 e 92 anni, hanno deposto il fiore delle partigiane sotto la targa che ricorda le donne della Resistenza. Intorno una marea di antifasciste, e antifascisti. In tante tornavano dal pellegrinaggio civile che ha toccato più quartieri della capitale, scandendo a ogni sosta, sotto le targhe, le storie delle cadute, prendendo atto che la lastra di Ines Bedeschi, divelta da un atto vandalico non è ancora stata ripristinata.
Le antifasciste di Brindisi, con uno straordinario impegno delle nuove generazioni, hanno realizzato monumenti grafici e hanno raccontato a rappresentanti delle istituzioni e a cittadine e cittadini quelle storie di coraggio estremo e di sacrificio in nome della libertà e dell’antifascismo. Rose rosse sono state deposte in loro onore nella piazza principale della città “in memoria con e gratitudine per sempre”.
Vedrete i boccioli del Trentino per le giovanissime Medaglie d’Oro VM Ancilla Marighetto “Ora” e a Clorinda Menguzzato “Veglia” e andrete a Macerata con Maria Assunta Lorenzoni “Tina”, crocerossina, MdOVM uccisa a Firenze dai criminali nazisti con una raffica di mitra il 21 agosto 1944, pensando anche a Teresa Noce, Adele Bei, e tutte le partigiane che hanno contribuito alla Liberazione dal nazifascismo. Passando per Padova, Genova, Ravenna, Novara, Catania, Udine e tanti borghi.
Quelle voci che mai si spegneranno grazie alle antifasciste si leveranno contro ogni atto che proverà a sfregiare la storia di ieri di oggi e di domani. Voleranno sul lungolago di Como, su Dongo e Giulino di Mezzegra, dove si aduneranno i nostalgici financo delle ultime tappe del regime, del duce Mussolini in fuga per mettersi in salvo in Svizzera, con Claretta Petacci e alcuni favoriti gerarchi. Nella nera domenica di maggio al tempo della destra ricorre anche l’anniversario della resa tedesca nella seconda guerra mondiale, firmata a Reims e ripetuta il giorno dopo, che molti gruppi di ispirazione neofascista commemorano come un lutto.
Ma c’è un candido, meraviglioso, angelo che continua a essere accanto agli antifascisti in piazza a Dongo in segno di protesta.
Pochi chilometri per incontrare la memoria della MdO VM Livia Bianchi “Franca”, umile bracciante originaria di Melara, staffetta portaordini e combattente nella zona montuosa del Lago di Lugano. Fa freddo, c’è la neve in quel gennaio ’44, così rigido non si rammenta da anni. I militi delle brigate nere circondano la casa dove si trova con altri compagni. Dopo una asprissima battaglia saranno tutti fucilati, i corpi gettati in acqua. Livia ha rifiutato la grazia.
In sua memoria e delle altre ragazze della Resistenza le antifasciste, e gli antifascisti, di oggi sono chiamati all’impegno attivo. Per la Costituzione conquistata da Livia e le altre.
Perché le rose della libertà e dei diritti non sono sempreverdi, vanno protette, ma con l’unità democratica nella lotta, vincente in ogni stagione della Repubblica, fioriranno profumante e inebrianti. Perché anche dopo il più lungo inverno, la storia lo certifica, arriva sempre la festa d’aprile.
Pubblicato domenica 7 Maggio 2023
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