I reati di propaganda del regime fascista e nazifascista, complessivamente intesi, trovano la loro disciplina in due diverse disposizione normative: da un lato, la cosiddetta “legge Scelba” (l. n. 645/1952), attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, dall’altro la cosiddetta “legge Mancino” (l. n. 205/1993), con la quale è stata ratificata ed eseguita la Convenzione internazionale di New York del 1966 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
In particolare, la legge n. 645 del 1952, oltre a sanzionare la condotta di riorganizzazione del partito fascista, punisce sia l’apologia del fascismo che le manifestazioni fasciste.
Sono, dunque, sanzionate penalmente le condotte di propaganda volte alla costituzione di associazioni, movimenti o gruppi aventi caratteristiche e ideologie tipiche del partito fascista, ovvero quelle di esaltazione di esponenti, principi, finalità dello stesso partito (art. 4), nonché quelle di chi, in pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del fascismo (art. 5).
In attuazione della strategia di contrasto alle forme di discriminazione razziale, la legge n. 205 del 1993 ha introdotto due diverse fattispecie di reato, estendendo l’area del penalmente rilevante fino alla condotta di chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; analogamente, la legge Mancino punisce chiunque istighi a commettere o commetta atti di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, vietando, inoltre, qualsivoglia organizzazione volta all’esaltazione della discriminazione o all’incitamento della violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.
In questo panorama normativo, in cui non sempre il legislatore penale è riuscito a tenere fede al principio di tassatività-tipicità, attesi i numerosi casi in cui le medesime condotte sono state ricondotte talvolta nell’alveo della legge c.d. Scelba, talvolta in quello della legge c.d. Mancino, va analizzata la proposta di legge del 2 ottobre 2015, finalizzata all’introduzione di una nuova ipotesi di reato, segnatamente “Propaganda del regime fascista e nazifascista”.
Un intervento, questo, che trova la sua ratio nell’esigenza di sanzionare una serie di condotte, non necessariamente volte alla costituzione di associazioni e gruppi con finalità fasciste o, comunque, finalizzati alla riorganizzazione dello stesso partito, che, tuttavia, di quella ideologia sono una chiara espressione e affermazione. Su tutte, gesti quali il saluto romano ovvero la vendita di merchandising e di beni chiaramente ispirati all’ideologia in considerazione.
Il reato di propaganda fascista e nazifascista
La proposta di legge C 3343 composta da un unico articolo introduce nel codice penale (art. 293-bis c.p.) un’ipotesi di reato che punisce la propaganda del regime fascista e nazifascista.
La motivazione sulla quale si basa la proposta di Legge C 3343 consiste, in base a quanto contenuto nella relazione illustrativa, nel «[…] delineare una nuova fattispecie che consente di colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alla normativa vigente» (Atti parlamentari 2/10/15).
Infatti, così è riconosciuta una sostanziale inadeguatezza degli strumenti giuridici individuati dal legislatore per la repressione di comportamenti individuali di propaganda, quali ad esempio l’utilizzo del saluto romano (in manifestazioni di piazza).
Il tema della repressione penale di atti e comportamenti ritenuti fascisti o apologetici del fascismo è stato effetto di una pronuncia (datata) della Corte Costituzione in merito alla costituzionalità della legge 645/1952 (legge Scelba).
La Corte in merito alla sanzionabilità dell’apologia del fascismo, con sentenza n.1/1957 ha risposto ai plurimi dubbi di costituzionalità con riferimento alla violazione dell’art. 21 Costituzione che, come noto, afferma: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto o altro mezzo di diffusione».
Questa, in particolare, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione ma ha precisato che «l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una semplice difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista […]».
Il contenuto della proposta di legge
Il nuovo articolo 293-bis c.p., che sarà aggiunto ai delitti contro la personalità interna dello Stato, punisce come delitto la propaganda del regime fascista e nazifascista.
Le condotte, punite con la reclusione da sei mesi a due anni, si sostanziano:
- nella propaganda di immagini o contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie, anche solo mediante la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni che raffigurino persone, immagini o simboli chiaramente riferiti a tali partiti o ideologie;
- nel richiamare pubblicamente la simbologia e la gestualità del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie.
In particolare appare essenziale, per la realizzazione della fattispecie di cui alla lett. a), l’inequivocabilità («chiaramente riferiti») del nesso tra i beni e i partiti o le ideologie fascisti o nazionalsocialisti.
L’articolo 293-bis c.p. punisce, dunque, come delitto perseguibile d’ufficio:
– da un lato, la propaganda attiva e quella che si manifesta anche solo nei diversi passaggi della filiera produttiva (dalla produzione, alla distribuzione, alla diffusione, alla vendita) di immagini, oggettistica, gadgets di ogni tipo che comunque sono chiaramente riferiti all’ideologia fascista e nazifascista o ai relativi partiti (lett. a);
– dall’altro – mediante il richiamo alla gestualità, oltre che alla ideologia – comportamenti quali il saluto romano (o nazifascista) fatto in pubblico e l’ostentazione pubblica di simboli che a tali partiti o ideologie si riferiscono.
Costituisce aggravante del delitto di cui all’art. 293-bis c.p. (aumento di un terzo della pena) la propaganda del regime fascista e nazifascista commessa attraverso strumenti telematici o informatici.
L’aggravante riguarda, quindi, sia i siti internet di propaganda delle ideologie fasciste e nazifasciste sia il merchandising online dei gadgets e degli altri beni chiaramente riferiti al partito e all’ideologia nazifascista.
È comunque opportuno, al di là di ogni questione di carattere ideale, ideologico o politico, fornire una valutazione di carattere strettamente tecnico nella quale siano contenute considerazioni in ordine alla efficacia della norma in via di adozione, con particolare riferimento alla capacità di sanzionare effettivamente ciò che il legislatore si prefigge, ossia le condotte di propaganda sopra descritte.
Sotto tale profilo, deve innanzitutto evidenziarsi la scarsa tassatività della disposizione in oggetto, la cui “confusione” nel descrivere le condotte illecite impedisce di identificare con chiarezza ciò che è penalmente rilevante nonché di individuare il limite di applicazione e il rapporto funzionale con altre disposizioni penali, vedi legge Scelba e Mancino.
Inoltre, la proposta in oggetto sconta un dubbio di legittimità costituzionale, proprio in considerazione del limite sancito, da un lato, dalla Costituzione e, dall’altro, dalle sentenze della Corte Costituzionale che hanno delimitato il campo di applicazione in ossequio all’art. 21 Costituzione.
Infatti, nel caso di specie non si ravvisa quel legame tra l’esaltazione e la ricostituzione del partito fascista cui la Consulta ha subordinato la legittimità del reato di apologia e di manifestazioni fasciste.
Certamente da un punto di vista più generale, anche in considerazione del diffondersi sempre più accentuato di manifestazioni di chiaro contenuto fascista e nazifascista (non solo saluti romani ma vera e propria costituzione di gruppi che a quei principi antidemocratici si rifanno) si manifesta la necessità di una norma che sanzioni questi ambiti di condotte, ma appare allo scrivente opportuno che la formazione di una nuova fattispecie penale sia più compiutamente individuata e dettagliata ai fini di scongiurare quanto sia pure sommariamente espresso nelle precedenti considerazioni.
Il proposito di adeguare la normativa penale in materia di sanzione delle condotte apologetiche per svolgere efficacemente il proprio ruolo deve, dunque, essere il frutto di un attento e ponderato esame delle condotte perseguibili e dei diritti garantiti (art. 21 Costituzione), pena il rischio di censura della Corte Costituzionale o di una sostanziale inapplicabilità della norma in esame.
Emilio Ricci, avvocato, componente del Comitato nazionale dell’ANPI
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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