“Gli Austriaci all’estero salvano l’Austria”, “Van der Bellen come Prodi”, “Un immigrato, verde, batte i neonazi”.
Di questi tre commenti, ascoltati a caldo dopo la lunga notte di conteggio dei voti a Vienna, uno solo è profondamente, vero: Alexander Van der Bellen ha battuto il candidato di estrema destra, l’ingegnere che ama le pistole.
Il nuovo Presidente della Repubblica austriaca aveva 14 anni quando è diventato cittadino austriaco, quindi, benché nato a Vienna durante l’occupazione nazista, giuridicamente è un immigrato estone. E come molti europei ha un passato d’emigrazione, antenati olandesi che lasciano i Paesi Bassi per la Russia, nonni che fuggono la rivoluzione bolscevica per stabilirsi in Estonia, genitori che conoscono le realtà dei campi di rifugiati nella Baviera degli anni ’30 per poi approdare a Vienna.
Ma non sono gli austriaci all’estero ad aver sconfitto Hofer, anche se di poco. 30.000 – mi dice un collega di un quotidiano di Vienna – sono una piccola parte dei quasi 900.000 che hanno votato per corrispondenza ed i cui voti sono stati scrutinanti dopo gli altri, tenendo l’Europa con il fiato sospeso. In Austria è comune richiedere di votare per posta se il giorno delle elezioni hai altro da fare (un amico su Facebook sintetizza il concetto con “viaggi di lavoro, partite in trasferta, camminate in montagna, visite alla zia”) e chi sceglie d’inviare la scheda invece di recarsi al seggio appartiene in genere alla sinistra progressista, parti delle frange sociali più mobili, aperte, spesso più ricche. E quindi più sensibili da una parte al rischio d’isolamento del Paese qualora avesse prevalso il candidato di destra, dall’altra idealmente lontani da quel disegno politico populista che accomuna Hofer a Trump, Boris Johnson o a Madame Le Pen.
Ma c’è una profonda differenza tra il sembrare un outsider, ruolo così ben interpretato dal miliardario americano e dall’irruente britannico che cerca di far dimenticare i suoi studi ad Oxford e l’essere al centro di una contrapposizione netta che affonda le sue radici nei conti non sanati col passato, come il Front National in Francia.
Il candidato austriaco sconfitto per un pugno di schede, l’eccentrico giornalista britannico e “the baron” (soprannome preferito da Trump, che lo ha usato anche come pseudonimo quando, per anni, si è spacciato per il suo addetto stampa nelle conversazioni con la stampa) possono contare su una “struttura partito”, sull’esperienza di governo in varie amministrazioni e sulle realtà esperienziali di situazione di coalizione, mentre il Front National è escluso da ogni forma di governo e continua ad incarnare, almeno in molta stampa e, fortunatamente, in una buona parte della popolazione, il “male” ed il passato oscuro della Francia di Vichy.
Ecco quindi una delle probabili cause sia dell’importante successo di Hofer al primo turno sia della sconfitta di misura al ballottaggio: il tentativo di accreditarsi come “fuori dagli schemi” funziona in quella parte di Paese in cui la mondializzazione trova gli sconfitti ed i rassegnati, le campagne, l’Austria periferica e rurale. Van der Bellen invece, pesca i suoi voti nella “Felix Austria”, i centri urbani ed i ceti più istruiti, quelli che da una parte temono meno la mondializzazione perché più sicuri delle loro capacità ad evolvere e trovare risposte e dall’altra non sono intimoriti dalle nuove sfide.
La scelta di un ecologista, fortemente legato al Paese per nascita e studi, ma con un “patentino” di immigrato, risponde quindi meglio ai loro bisogni, sociali, civili e professionali. Nonostante le similitudini, l’Austria del giugno 2016 non è la Francia del 2002, quando gli elettori socialisti, ancora sotto choc per l’eliminazione di Jospin, furono obtorto collo obbligati a votare per Chirac pur di non eleggere Monsieur Le Pen alla Presidenza della Repubblica.
Certo, la paura della destra radicale al potere ha presumibilmente giocato un forte ruolo, ma molti dei voti andati a Sascha, il soprannome del nuovo Presidente austriaco che testimonia il suo legame con il mondo russo, sono voti convinti o comunque ben meno difficili di quelli che furono i francesi. Peraltro, Van der Bellen ha cominciato la sua carriera politica nel partito socialdemocratico austriaco ed i Verdi hanno spesso collaborato con lo Spoe sia a livello locale sia nazionale.
Nel suo discorso d’investitura, il settantaduenne neo Presidente ha immediatamente riconosciuto le sue responsabilità verso tutto il Paese e ha salutato con rispetto lo sconfitto, benché il campo avverso non abbia esitato a definirlo un dittatore fascio-ecologista e Hofer abbia commentato, sulla sua pagina Facebook, che gli sforzi della campagna elettorale non sarebbero andati perduti e che erano un investimento per il futuro, lasciando intendere la sua ferma intenzione di condizionare la politica austriaca dall’alto del suo quasi 50 per cento.
La risposta, nemmeno troppo velata, non si è fatta attendere: Van der Bellen, in un’intervista alla televisione tedesca ARD ha chiaramente detto che non avrebbe affidato nessun mandato, nemmeno esplorativo, ad un esponente del Fpoe (il partito di Hofer e del fu Haider) suscitando le ovvie ire dei militanti di estrema destra che hanno rafforzato la campagna di insulti ed intimidazioni verso il Presidente.
Arduo fare previsioni a così pochi giorni dalla vittoria, ma tutto lascia presupporre una difficile coabitazione, che si inserisce nel più ambio contesto di crisi generale.
Certo che, se ci dovessimo rifare al verso attribuito a Mattia Corvino, Alii bella gerunt, tu felix Austria nube – ovvero “mentre gli altri fanno la guerra tu Austria Felice, sposati” – questa convivenza forzata tra due metà così opposte sembra più una “Guerra dei Roses” che un matrimonio felice.
Filippo Giuffrida, giornalista, Presidente ANPI Belgio, membro del Comitato Esecutivo della FIR in rappresentanza dell’ANPI
Pubblicato mercoledì 1 Giugno 2016
Stampato il 06/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/hofer-ce-posta-per-te/