Con l’intervento di Paolo Berizzi prosegue ed entra nel vivo il dibattito aperto su queste pagine sul neofascismo e sulle politiche di contrasto a tale fenomeno, a partire dall’articolo di Carlo Smuraglia dal titolo “Il pericolo in camicia nera” (http://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/il-pericolo-in-camicia-nera/) pubblicato sull’ultimo numero di Patria Indipendente. Sul proliferare di gruppi di stampo neofascista e neonazista Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, ha pubblicato diversi articoli, fra i quali – recentemente – il seguente: http://www.repubblica.it/cronaca/2016/12/07/news/naziskin_a_varese_viaggi_dentro_la_comunita_che_nega_l_olocausto-153619132/. La risposta del gruppo neonazista Do.Ra. non si è fatta attendere: basta guardare lo striscione in fotografia. Ringraziamo Paolo Berizzi per l’impegno antifascista e per il suo stimolante contributo.
Mentre scrivo queste righe – è la mattina di sabato 4 febbraio – ricevo una mail: il direttore della testata on line Varese News, Marco Giovannelli, un collega, mi informa che all’alba i Do.Ra. hanno appeso uno striscione sulla recinzione della redazione e che è appena arrivata la Digos. L’hanno affisso dalla strada, rivolto verso le finestre. Lo striscione è dedicato al sottoscritto: “Berizzi la tua parola vale quanto il tuo giornale: 1,50 euro!” (firmato Do.Ra.).
Non hanno gradito che la sera prima abbia partecipato a un incontro organizzato dall’ANPI di Varese mettendo in fila con la mia trascurabilissima “parola” alcuni fatti riguardanti loro, i Do.Ra. Guardo la foto e mi viene quasi da sorridere. Un sorriso breve. Penso: rispetto al solito, almeno stavolta sono riusciti a metterci un po’ di sarcasmo, con buona pace di Repubblica e del prezzo in edicola. Normalmente i neonazisti della Comunità dei Dodici Raggi di Varese, e i loro soci del Manipolo d’Avanguardia di Bergamo, e tutti i gruppi dell’ultradestra italiani, da Forza Nuova a CasaPound a Lealtà Azione, in risposta a un’inchiesta o a un servizio sul loro delirio impastato di odio e violenza si producono in pensieri e offese molto meno creative: come da tradizione, e secondo lo stile, la fantasia lascia il posto al trucidismo, ogni possibile ed eventuale ironia è cannibalizzata dall’esibizione muscolare e dagli insulti. Al solito – va così da molti anni – il cronista è apostrofato nei modi più scontati: dall’«infame» in su. Fosse questo il problema. No, il problema è un altro e lo sappiamo bene.
Il problema è che in Italia, a oltre 70 anni dalla fine dei regimi di Mussolini e di Hitler, partiti, movimenti, associazioni, gruppi di stampo e di chiara ispirazione fascista e nazista – teoricamente illegittimi perché in violazione di due leggi della nostra legislazione (Scelba e Mancino) e dei principi stabiliti dalla Costituzione – prosperano e fanno propaganda politica. In piazza, nelle scuole e nelle università, negli stadi di calcio e nei palazzetti del basket.
I “fascisti del terzo millennio” – definizione coniata da CasaPound che estendiamo qui per comodità a tutte le bande nere d’Italia – sono attivissimi e fanno proseliti nonostante (pure) numerose sentenze della Corte di Cassazione. Come direbbe Mussolini: “Se ne fregano”. Organizzano raduni, cortei, parate di stampo militare, convegni. Esibiscono simboli e veicolano messaggi che in molti casi rimandano direttamente all’esperienza che Italia e Germania hanno vissuto tra il 1922 e il 1945. Festeggiano (Do.Ra.) ogni anno il compleanno di Hitler; negano (oppure inneggiano all’) l’Olocausto; irridono la Shoah; marciano e prosperano sulle macerie e le ferite della storia calpestando e oltraggiando la memoria delle vittime, le migliaia di partigiani morti per dare la libertà all’Italia, l’orrore del genocidio che sotto il Terzo Reich causò 15 milioni di morti, tra cui 5-6 milioni di ebrei, di entrambi i sessi e di tutte le età, e altri milioni di categorie umane ritenute “indesiderabili”.
Questa è la risposta alla prima delle tre domande che pone retoricamente Carlo Smuraglia: sì, i fascisti ci sono ancora, eccome.
Alla seconda domanda (“costituiscono un pericolo reale per la democrazia italiana?”) rispondo così: raccontando prima alcuni episodi. Poi cercando di trarne una deduzione che a me pare logica. Da cronista mi occupo delle formazioni dell’ultradestra italiana (e non) da molti anni. Lascio sullo sfondo ogni possibile (a mio avviso doverosa) considerazione sul significato intrinseco del nostro lavoro: che è sì raccontare i fatti e i fenomeni, e comprenderne le cause, soprattutto quelle meno evidenti, ma è anche, oltreché un servizio al cittadino-lettore, impegno civile, denuncia.
Torno agli episodi e, in questo caso, ai loro protagonisti: i militanti neonazisti della Comunità dei Dodici Raggi. Ho raccontato questa realtà per la prima volta poco dopo la loro nascita (2012: compiono cinque anni tra qualche giorno). Sono andato avanti a farlo e continuerò il mio lavoro di denuncia e di approfondimento non badando alle affettuose attenzioni che mi dedicano da tempo. L’ultima prodezza di questa formazione di neonazisti – sono la più numerosa e organizzata comunità dichiaratamente nazionalsocialista d’Italia – ha dell’incredibile (ma è tutto vero): una petizione per chiedere la messa al bando dell’ANPI e un processo per crimini di guerra per tutti i partigiani ancora in vita…. Quando l’Osservatorio sulle nuove destre – fonte preziosa – me lo ha segnalato, ho subito dato conto sul mio giornale di questa notizia. Che è un abominio. È seguito un coro di indignazione: associazioni, politica, parte (una parte sempre troppo ristretta) dell’opinione pubblica. Il caso è finito in parlamento, anzi sul tavolo del governo e il ministro dell’Interno Minniti ha risposto in aula a un’interrogazione urgente. Ora sui Do.Ra. indaga la Procura: attenderemo gli esiti delle indagini. Non riguardano solo la vergognosa petizione contro i partigiani. Ci sono anche altri capolavori che la banda neonazista varesotta ha firmato e continua a firmare da quando ha visto la luce in quel di Caidate, frazione di Sumirago. Ricordiamo i due più tristemente celebri: le puntuali profanazioni del sacrario sul Monte San Martino – luogo simbolo dove i partigiani combatterono contro le SS – a suon di rune conficcate nella terra e foto ricordo in parata. E le feste – annuali anche queste – per celebrare ogni 20 aprile il compleanno di Adolf Hitler. Come le consideriamo queste iniziative? Semplici provocazioni? Goliardate? Sono o non sono discriminazione? Sono o non sono apologia di nazifascismo?
“Le idee non si processano”, hanno sentenziato dei giudici in questi anni, in più di un tribunale, a proposito di atti ritenuti eversivi ma non supportati da azioni e disegni violenti. Già. Ma c’è un però. Propagandare idee e farne apologia – se queste “idee” sono state seppellite dalla storia e bandite dalle leggi di un Paese democratico – può costituire reato. Non è un disegno violento andare in pellegrinaggio in un luogo simbolo della Resistenza partigiana contro il regime nazifascista e sporcarne la memoria con simboli che proprio al regime nazifascista rimandano? Non è un azione violenta raccogliere firme per chiedere di mandare a processo i partigiani ancora in vita? E non è, tutto questo, un pericolo per la democrazia? Lasciar correre creerebbe un precedente. E troppi ne sono stati creati in questi anni. La lista è lunga, inutile stare a ripercorrerla. Ecco la seconda risposta: sì, le formazioni neofasciste e neonaziste sono un pericolo per la democrazia. Sono un pericolo che interpella la dignità, l’etica, la legge ancor prima dell’ordine pubblico. Lo sono anche e prima di tutto nei territori dove questi gruppi attecchiscono.
Prendiamo ancora i Do.Ra.. Sumirago non è l’Illinois e Caidate non è la Chicago degli anni 70. Lo dico così offriamo un po’ di campo a chi volesse cimentarsi con simpatiche ironie tipo “nazisti dell’Illinois” (che peraltro tutto sono stati eccetto una goliardata). Forse i militanti dei Dodici Raggi – formalmente sono un “associazione culturale”! – nel loro delirio intriso di odio si sono messi in testa di prendere questo pezzo di provincia varesotta e elevarlo a riproduzione, in scala, della Berlino degli Anni 30 – tra 1933 e 1945 – quando la capitale tedesca era il cuore del Terzo Reich. Il sistema “di governo” tanto amato dai Do.Ra. Ma siamo a Varese, Italia, Europa, e corre l’anno 2017. Roba di questo tipo non solo è fuori dalla storia: è intollerabile.
E vengo al terzo quesito posto dal dibattito ospitato su queste pagine: come si possono contrastare i fenomeni dell’ultradestra neofascista e neonazista? Scusate se rispondo con una domanda. Chiedo: qual è il perimetro dell’«apologia», quali i suoi confini? Fino a dove è dilatabile la soglia della tolleranza rispetto a chi propaganda messaggi, simboli, iniziative di chiaro stampo nazifascista, svastica compresa? E da quale momento deve o dovrebbe scattare lo stop della magistratura? Questo è il primo tema (in ordine di priorità): l’intervento della magistratura. Di chi deve far rispettare le leggi (che già esistono) in materia. “Per sciogliere i Do.Ra. occorre una sentenza”, ha spiegato il ministro Minniti. Bene. Si facciano le indagini, si istruisca un processo e, se il processo accerta i reati contestati dal pm, si vada a sentenza. Punto. Pragmatismo? No, mi pare normalità. Ma le indagini e i processi non bastano. Ci vuole dell’altro. Per contrastare, arginare e sconfiggere definitivamente i nostalgici dei regimi totalitari e le loro folli iniziative occorre un costante lavoro di informazione e di denuncia. È fondamentale. I “fascisti del terzo millennio” hanno trovato in questi anni formidabili praterie dove scatenarsi e ampliare il proprio raggio d’azione. Hanno potuto guadagnare consensi e accreditarsi agli occhi delle nuove generazioni grazie anche al colpevole disimpegno di chi – istituzioni, amministrazioni, forze dell’ordine, magistratura, politica, informazione – ha preferito minimizzare o addirittura girarsi dall’altra parte anziché intervenire e arginare. Non è un generico atto d’accusa: è una triste constatazione. Ma non è mai troppo tardi per accorgersi e riparare alle nostre leggerezze. Ognuno di noi ne ha commesse. Ora basta. Ora rispetto a questi temi è arrivato il tempo della piena responsabilità. Dell’azione, della concretezza. Informare e sensibilizzare. E intervenire. Farlo nelle scuole iniziando dalle elementari. Farlo nei luoghi: non solo nelle piazze o nei convegni al chiuso. Farlo con forme comunicative nuove, più moderne e “larghe”, meno ingessate. Scegliere la parola e fuggire il silenzio. Tiraredritto anche se, colpiti nel vivo, ti dicono che la tua parola vale 1.50 euro. Porsi questa domanda: possiamo fare finta di niente? Ho sempre rifiutato l’idea – e la trovo offensiva – che esistano gli antifascisti di professione. No. Esistono gli antifascisti e basta. Sono un cane da guardia della democrazia così come si dice che i giornalisti siano il cane da guardia del potere (a volte per fortuna è ancora così). È un impegno civile, dovrebbe essere una condizione dell’anima di ogni cittadino che abbia a cuore i principi della democrazia. Un mantra per chiunque ami la libertà e abbia la memoria abbastanza lunga per ricordare che quella libertà non è piovuta dal cielo.
Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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