La tessera da partigiano di Erich Heinrich Rahe “Enrico” (da Neue Westfälische)

Erich Heinrich Rahe, nome di battaglia “Enrico”, traduzione di entrambi i suoi nomi di battesimo, aveva 97 anni. Nel 1998 Mauro Del Bene, partigiano nella “Gramsci”, lo ricordò così: “Con noi c’erano anche due tedeschi, due ragazzi veramente in gamba, che erano stati nelle SS. Da loro abbiamo sentito parlare per la prima volta dei campi di concentramento, dei quali nessuno allora sapeva niente. Uno dei due si chiamava Enrico. Quando gli chiedevamo perché avesse disertato lui rispondeva che si era arruolato per combattere i bolscevichi. Era convinto che fosse giusto combattere il comunismo. Prima lo avevano mandato in Polonia, e lì aveva partecipato ai rastrellamenti contro la popolazione civile, poi in Ungheria e poi in Italia, a fare la stessa cosa. Allora aveva capito che lo usavano per una causa non giusta. Erano molto esperti nell’uso delle armi. Uno è stato con noi fino alla fine della guerra, l’altro mi pare che l’abbiano fucilato a Sarzana” [1].

Nello scatto preso pochi giorni prima della liberazione di La Spezia, alcuni partigiani provenienti da formazioni garibaldine della IV Zona (Istituto storico della Resistenza spezzina, isrlaspezia.it/)

Rahe raccontò la sua “scelta morale” in un’intervista del 2016 al giornale “Neue Westfälische”, che ho in gran parte riportato nella ricerca Quei disertori del Reich nel Vento del Nord, pubblicata su “Patria Indipendente”. Nel 1942 – fabbro diciassettenne – entrò volontario nelle SS. Non mascherava la sua passione giovanile per tutto ciò che era militaresco: “Mio zio era ufficiale nella Marina durante la Prima guerra mondiale ed era il mio modello. Quando passavo davanti alle vetrine guardavo sempre se camminavo dritto”. (…) “Ero entusiasta del sistema”, diceva. Nel febbraio 1943, dopo varie tappe, giunge in Ungheria, a Debrecen. Là, la sua divisione viene divisa fra le missioni in Russia e quelle in Italia, e Rahe fa una esperienza che lo segna: “Vidi per la prima volta come gli ebrei venivano caricati sui carri bestiame”. Un evento che gli rimarrà impresso per sempre nella memoria.

Alcuni componenti della 16. SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer SS” e il logo della divisione

Come membro della 16ª divisione dei granatieri corazzati delle Waffen SS “Reichsführer”, Rahe è trasferito sul fronte italiano in Toscana, vicino a Livorno. Durante l’estate gli giungono le notizie dell’attentato a Hitler, ma non solo: “Si diceva che interi paesi in Italia venissero annientati, che donne e bambini venissero uccisi – e tutto questo prevalentemente da parte delle SS. Si diceva inoltre che i tedeschi sequestrassero cavalli, bovini e pecore alla popolazione che finiva quasi per morire di fame”. Il mondo di Rahe crolla: “Prima, in Ungheria, vidi come venivano trasportati gli ebrei, poi venni a sapere che si uccidevano donne e bambini. Tutto questo mi atterrì. Non ero andato in guerra per uccidere civili, ma per combattere altri soldati per la vittoria tedesca – non sapevo che questo” [2].

Da sinistra: Giorgio Giuffredi; “Enrico” Rahe; Vera Del Bene, partigiana della “Gramsci”; la moglie di Giorgio e la moglie di “Enrico”. Giorgio era un partigiano che combatté con “Facio”, fu uno dei nove eroi della battaglia del Lago Santo del 19 marzo 1944

Un nuovo modo di vedere le cose stava maturando in lui. Nel settembre 1944, quando è costretto a una degenza nell’ospedale militare a causa di un’itterizia, il diciottenne Erich cerca un contatto con gli italiani, le persone del luogo lo portano da Levanto al Bardellone, in collina, presso la famiglia Raso e poi dai partigiani, sulle montagne della Val di Vara. Vera Del Bene “Libera”, sorella di Mauro e partigiana nella “Gramsci”, raccontò nel 2004: “Ricordo un tedesco di stanza a Levanto che, avvisandomi di una rappresaglia, ci salvò. Con Enrico Rahe siamo rimasti in amicizia, ancora oggi ci frequentiamo, perché lui è salito in montagna a combattere con noi” [3].

Rudolf Jacobs con i figli Wilhelm e Rudolf jr, s.d. ma 1942/43. Dettaglio della copertina di Lorenzo Vincenzi (a cura di), Rudolf Jacobs. Le radici della democrazia europea, Comune di Sarzana – Assessorato alla Cultura/Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea Pietro “Mario” Beghi/ Anpi – Sarzana, 2004. Fotografia dall’Archivio privato della famiglia Jacobs

Rahe trovò sostegno in un altro tedesco: “Leonhard Wenger aveva combattuto nella guerra civile spagnola contro Franco e successivamente si era unito ai partigiani italiani. Lui mi ha addestrato” [4].

“Enrico” stesso me lo ha confermato nei colloqui che ho avuto con lui nel 2021 per la ricerca citata: “Ho conosciuto Wenger ai monti, siamo stati insieme nella ‘Gramsci’. Aveva fatto la guerra di Spagna, poi fu arrestato in Francia, fuggì e venne in Italia a combattere con i partigiani. Nel gennaio 1945 cercò di passare il fronte sulle Apuane, una bomba che era a terra esplose, morì sul colpo”.

Wenger era l’altro tedesco ricordato da Mauro Del Bene.

La 16. SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer SS” fu responsabole, tra gli altri, degli eccidi di Marzabotto e sant’Anna di Stazzema. Nella foro alcuni bambini scampati alla strage ospiti dei lavoratori sangiorgesi a una festa organizzata dalle donne dell’Udi

“Enrico” mi ha poi raccontato la sua partecipazione alla tentata rapina alla sede spezzina della Banca d’Italia, organizzata da Primo Battistini “Tullio”, comandante di un distaccamento della Brigata Garibaldi “Muccini” – segno di una collaborazione tra Brigate diverse: “Ci servivano soldi per poter comprare viveri dai contadini. Così nacque l’idea di rapinare la Banca d’Italia, dove c’era un collaboratore che era una spia della Resistenza. Indossavo un’uniforme della Wehrmacht per non dare nell’occhio, ma l’operazione fu interrotta. Cominciò un rastrellamento e dovemmo venire via”.

Il racconto di “Enrico” coincide con quello di “Tullio”, nel manoscritto inedito consegnatomi dai figli. Era la fine del novembre 1944, insieme a “Enrico” c’erano due disertori che combattevano con “Tullio”: Mario, capitano austriaco, ed Enrico, tenente tedesco.

Partigiani tedeschi della brigata Garibaldi. A sinistra Heinz Brauwers e Hans Juergens

Seguirono tante azioni – “Rahe” entrò in possesso di una pistola mitragliatrice dopo un lancio alleato. E tanta era la fame: “La polenta fu una costante”, diceva sempre. “Enrico” e Leonhard erano “due ragazzi veramente in gamba, molto esperti nell’uso delle armi”, per dirla con Mauro Del Bene, ma una volta sbagliarono bersaglio, come raccontò lo stesso Mauro in un’altra testimonianza, del 2005: “[I disertori tedeschi] erano… e non conoscevano niente, guarda poi abbiamo fatto un assalto che c’avevano detto che era Kesselring, eravamo proprio io e Enrico i primi sul ponte lì prima di Pogliasca, dalla parte di là, verso Borghetto. E invece era il comando della Todt, avevamo decimato tutto il comando della Todt. Loro dicevano, il comando su diceva deve passare Kesselring e invece … è passato poi un’auto colonna con avanti i blindati ma erano della Todt e noi abbiamo fatto saltare tutto lì. Non era Kesselring, perché poi diversi prigionieri erano civili della Todt, insomma civili, vestiti da militari ma facevano lavori. Sa cosa faceva qui la Todt? Faceva quei famosi… il Vallo Ligure quei… quel… quei muraglioni grossi sul mare come era Levanto fino a Chiavari. Poi andavano a inaugurare, mi pare, a Chiavari quando sono passati di qui” [5].

Infine la cattura e poi la liberazione dalle carceri di Chiavari, pochi giorni prima del 25 aprile.

Nella “Gramsci”, Rahe e Wenger non furono gli unici disertori tedeschi. Sappiamo della morte, l’11 novembre 1944 nel rastrellamento a Cornice di Sesta Godano, di Hans, ufficiale delle SS e disertore. Ricorriamo ancora ai ricordi di Mauro Del Bene: “Il rapporto [con i disertori tedeschi] era amichevole, fraterno, ci si aiutava uno con l’altro. Ad esempio quando c’è stato l’11 novembre, l’attacco a Cornice che anche lì abbiamo lasciato tre o quattro partigiani morti, lì ci ha salvato un tedesco, che era un ex ufficiale tedesco e che ci ha insegnato come sfuggire all’accerchiamento, che noi eravamo… insomma io di questioni militari non ero pratico, ero stato imbarcato sulle navi civili, non conoscevo nulla. Infatti ci ha detto: ‘Buttiamo bombe a mano, loro si sdraiano, mentre sono sdraiati noi passiamo’ e in effetti siamo riusciti poi a scapolare il rastrellamento del… mi pare che sia stato l’11 novembre del ’44, adesso non mi ricordo, a Cornice” [6].

In IV Zona il primo disertore tedesco – un altro Hans, di Colonia, della banda giellista di Piero Borrotzu – fu tra i primi caduti della Resistenza spezzina, il 26 marzo 1944. Oltre a Rudolf Jacobs – ormai un “mito” – ucciso il 3 novembre 1944 in un attacco alla sede delle Brigate Nere di Sarzana condotto dalla “Muccini”, caddero altri disertori, fino al ventiduenne austriaco Josef Bauer della Brigata Garibaldi “Borrini”, ucciso nella battaglia di Licciana Nardi il 23 aprile 1945.

La ricerca continua: sto cercando il certificato di nascita di Bauer nel suo Comune natio, molto probabilmente Graz. Solo con i dati anagrafici completi, infatti, potrò rivolgermi al Bundesarchiv di Berlino e cercare di ricostruire la storia della sua giovane vita.

Una parte della IV Zona operativa, non è infatti evidenziato il territorio del Parmense (wikipedia)

La “scelta morale” dei disertori fu un fenomeno di grande significato storico e civile, se si pensa alla mentalità e alla cultura, nazionaliste e razziste, dentro cui si erano formati. Fu un fenomeno assai meno limitato di quanto si pensi, come ho spiegato nella ricerca pubblicata su “Patria Indipendente”. I disertori tedeschi in IV Zona furono, secondo le mie ricerche, oltre quaranta, in Italia 2-3 mila, sostiene lo storico Carlo Greppi. In Europa vi furono ben 15 mila esecuzioni di disertori tedeschi: un numero impressionante.

La Resistenza al nazifascismo fu universale, internazionale, transnazionale. Basti pensare alla piccola Brigata “Gramsci”. Leggiamo ancora Mauro Del Bene: “C’era gente di tutte le qualità. Molti erano giovani che avevano rifiutato il servizio di leva, e poi tedeschi, austriaci, polacchi, russi” [7].

In particolare la guerra di Liberazione fu europea. La linea di divisione non fu solo tra i due campi opposti ma anche all’interno degli Stati in guerra. In questa forma non era mai accaduto nella storia europea. Anche la vicenda di “Enrico” ci spiega che c’è una saldatura tra antifascismo ed europeismo che va recuperata nel nostro immaginario. L’idea dell’Europa unita, libera, sociale è nata allora, sulle ceneri del nazionalismo, in uno scontro cioè con la questione dell’identità nazionale. La nostra Europa smemorata avrà un futuro se non dimenticherà questo suo momento di vera e propria ricostituzione e rinascita.

Giorgio Pagano, copresidente del Comitato Unitario della Resistenza della Spezia in rappresentanza dell’Anpi, storico, sindaco della città di La Spezia dal 1997 al 2007


[1] Mostra Permanente della Cultura Materiale di Levanto, Comune di Levanto, “Levanto nella seconda guerra mondiale. testimonianze e documenti”, Compagnia dei Librai, Genova, 1998, pp. 150-151.
[2] Michael Schuh, “Nach dem Anblick deutscher Kriegsverbrechen schloss sich SS-Soldat Rahe dem Gegner an”, “Neue Westfälische”, edizione di Gütersloh, 23 giugno 2016.
[3] “La partigiana Vera Del Bene (Libera) nel racconto della figlia Oretta Jacopini”, nel sito dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Spezia, s.d. ma 2013. Il racconto fu scritto nel 2004. Su Vera Del Bene cfr. Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello, “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona operativa, tra La Spezia e Lunigiana”, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2017, pp. 101-110.
[4] Michael Schuh, “Nach dem Anblick deutscher Kriegsverbrechen schloss sich SS-Soldat Rahe dem Gegner an”, cit.
[5] Intervista a Mauro Del Bene, nel sito dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Spezia, 2005.
[6] Ibidem.
[7] Mostra Permanente della Cultura Materiale di Levanto, Comune di Levanto, “Levanto nella seconda guerra mondiale. testimonianze e documenti”, cit., p. 150.