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Uno sguardo ti invita da lontano, puoi rispondere annuendo o spostare l’attenzione su altro in segno di disinteresse. Se l’intesa funziona, iniziano le danze e lo sguardo si fa vicino, diretto, i corpi si uniscono in un abbraccio mentre i passi fraseggiano la musica in un fluttuare di emozioni. Il tango è questo e poco importa se a praticarlo sono due donne, due uomini o un uomo e una donna, come afferma il movimento Lgbtqia+ che sovverte la regola “uomo che conduce” e “donna che segue” – il ruolo iconografico, cioè, non cambia a prescindere dall’identità sessuale –, dando luogo al tango queer, termine anglosassone che significa “strano, bizzarro”, usato in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali nel XIX secolo di cui il movimento si è appropriato per rivendicare con fierezza la propria identità.

Cartolina degli anni 20

Un avvenimento rappresentativo della caduta del bastione del machismo, stereotipo di questo ballo, è stato nel 2013 con l’apertura a coppie dello stesso sesso al Mondiale del tango di Buenos Aires, un processo graduale e inarrestabile che si è attestato a seguito dell’approvazione, nel 2010, dei matrimoni tra omosessuali, voluto dall’allora governo argentino di Cristina Kirchner che in un acceso confronto con la Chiesa guidò il primo Stato del cattolicissimo Latinoamerica a eliminare le differenze di genere nella scelta di una vita insieme.

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Negli stessi anni il tango queer compariva anche nelle principali città europee e in Italia, ultimo tra i sei membri fondatori dell’Ue a riconoscere e regolarizzare, nel 2016, le unioni civili tra coppie dello stesso sesso. Un ritardo che è valso anche una condanna da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nel 2015 per aver violato l’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo sul diritto al rispetto della vita familiare e privata.

Racconta Cristiano Bramani, maestro e ideatore di La Malquerida, milonga queer che si svolge stabilmente a Roma: “Per me il tango è uno strumento potente nella lotta contro le intolleranze perché è il luogo dove si annidano fortemente gli stereotipi e i pregiudizi di genere legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Romperli diventa un gesto politico e di emersione di una problematica”.

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Il progetto ha l’obiettivo di “abbracciare l’altro e ballare con l’altro senza che l’automatismo del ruolo e del gender interferisca con la scelta. Questo significa anche offrire le stesse possibilità e le stesse libertà a tutti, anche nel tango” continua Bramani mentre lo scorso aprile il Pd ha annunciato una proposta di legge con un contenuto identico al cosiddetto ddl Zan, il disegno di legge contro l’omotransfobia che è stato di fatto affossato in Senato nell’ottobre 2021, dopo essere stato approvato dalla Camera quasi un anno prima.

Gaucho argentini

Il tango è infatti un ballo eteronormativo e la ragione si spiega dalle sue radici, quando, alla fine dell’Ottocento, viene ballato da uomini soli, arrivati senza le loro famiglie nei porti sudamericani del Rio de la Plata, tra Argentina e Uruguay, in fuga da guerre e carestie e attratti dalle politiche agricole del governo argentino. Immigrati europei e gauchos delle pampas argentine danno così vita a un nuovo linguaggio musicale e gestuale, influenzato dalle sonorità africane che da secoli persistevano nelle Americhe nonostante i divieti imposti alle persone vittime di schiavitù. Questo nuovo ballo viene poi danzato nei bassifondi e nei postriboli di Buenos Aires “a dieci centesimi il giro compresa la dama” scriveva Jorge Luis Borges. Etichettato come indecente e non accessibile alle donne “oneste”, gli uomini lo ballano tra loro per esercitarsi.

Rodolfo Valentino nel film “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” (1921)

Ai primi del Novecento, grazie all’industria di Hollywood con Rodolfo Valentino che incarna il tanguero doc, il tango conquista le classi sociali più alte fino a spopolare nei salotti europei ed è qui che hanno inizio i primi dissidi: affiora il dubbio se accettare o meno una danza nata dai bassifondi malavitosi di una città sudamericana. La carica erotica espressa dal tango è così intensa che nel 1913 è addirittura oggetto di analisi papale: Pio X, dopo aver esaminato personalmente una coppia di ballerini esibirsi, consentirà la sua pratica. Ne parla anche il poeta romano Trilussa, che scrive “Er Papa nun vo’ er Tango perché, spesso, er cavajere spigne e se strufina sopra la panza de la ballerina”.

La valenza socio-politica è intrinseca al tango che rappresenta da sempre uno dei balli in cui confluiscono le diversità. “Non è un genere musicale uniforme – scrive il filosofo dell’università di Buenos Aires Gustavo Varela in Tango e politica –. Tanto è l’estraneità che lo abita, che nei diversi periodi della sua storia la domanda sull’identità del tango è stata una costante. Melting pot di musica, melting pot di pensieri, melting pot di razze, lingue e costumi, si parla ancora oggi delle influenze dominanti nella sua genesi senza avere risposte chiare perché il tango è tutto questo e non si può scindere nulla”.

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Una delle obiezioni che viene posta al tango queer è che non ha nulla di nuovo perché, aprendo il ballo alle persone dello stesso sesso, si rimarcano le origini, quando si danzava tra uomini, sminuendo quindi la portata culturale di questo cambiamento. “Questo è un grande equivoco – spiega Bramani –. Il tango delle origini viene ballato solo da uomini perché in primis erano in gran parte uomini senza le loro famiglie e poi perché alle donne non era permesso farlo. Si trattava pertanto di una necessità e non di una scelta di libertà determinata dalla consapevolezza. Questa è la differenza”.

(foto di Rafael Rumao)

Ci sono poi contestazioni dure da scardinare. “Di recente un organizzatore di milonga mi ha chiesto perché ci ghettizziamo – racconta l’ideatore del progetto –. Loro, sosteneva l’organizzatore, non specificano che l’evento è per eterosessuali. Perché dunque noi ci teniamo a farlo? Mi proponeva di andare lì e di stare con loro, ‘balli con il tuo amico e nessuno ti dice niente’. Il senso di queste affermazioni è ‘vieni con lui e balli con lui’, mentre per tutti gli altri è implicito ballare con chiunque. Io quindi posso starci solo perché mi tollerate. Messa così è evidente che non ho le stesse libertà di tutti, io come tutte le persone non eterosessuali. Questa, a mio avviso, è la nuova frontiera dei finti aperti”.

Solo il fatto di disconoscere una unione e definire un partner amico dimostra quanta strada ci sia da fare in questo ambito. Non sembrano affatto lontani i tempi vissuti e denunciati da Pasolini, quando l’omosessualità era definita “vizio” da una società perbenista che preferiva evitare l’argomento. “La vera tolleranza – conclude Bramani – non è l’omogeneizzazione della diversità all’interno della cosiddetta normalità, ma è la celebrazione delle differenze e mantenerle al suo interno senza che questo arrechi un pregiudizio o una discriminazione di qualsiasi genere”.

Mariangela Di Marco