“L’ideologia del fascismo – scriveva il filosofo Norberto Bobbio – era stata un’ideologia negativa: la negazione della democrazia, l’antidemocrazia. Contro il principio dell’eguaglianza, il fascismo aveva esaltato la gerarchia; contro il potere dal basso, il potere dall’alto; contro la libertà, l’autorità”. Al contrario, l’ideologia della Resistenza risiedeva nella democrazia, conquistata con il sacrificio e la determinazione di tante donne e uomini.

Dal 1943 al 1948, infatti, l’Italia ha vissuto una fase straordinaria, capace di rovesciare il regime fascista e monarchico e regalare al Paese una Repubblica e una Costituzione.

Sono cinque anni determinanti, imprescindibili, raccontati con gusto e correttezza da Aldo Pirone nel suo ultimo libro I cinque anni che sconvolsero l’Italia. La rivoluzione democratica, 1943-1948, pubblicato dalla casa editrice romana Bordeaux. Leggere queste vicende è di fondamentale importanza non soltanto per conoscere la nostra storia ma anche per riconoscere la cultura dei tiranni che, sempre, si ripresenterà e sempre bisognerà sconfiggere.

“La rivoluzione democratica – racconta Pirone – voleva rimuovere le radici sociali, culturali e politiche del fascismo che risiedevano nel conservatorismo reazionario del Paese. Le masse popolari, allora essenzialmente contadine, escluse dal moto risorgimentale, furono in prima fila nella rivoluzione democratica e le forze repubblicane che erano state minoranza nel Risorgimento divennero maggioranza ed egemoni nella Resistenza. La rivoluzione democratica e antifascista, che si produce negli anni che vanno dal 1943 al 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione, non è solo un episodio, per quanto eroico, della storia nazionale ma un atto rifondativo dell’unità dell’Italia su basi democratiche, repubblicane e progressiste”.

partigiani Emilia Romagna

 

Un episodio collettivo al quale partecipano tutte le forze democratiche, popolari e repubblicane, laiche e cattoliche, e che non va limitato ai soli gruppi partigiani: infatti “La Resistenza – precisa l’autore – è stato un movimento esteso e popolare. Accanto alla Resistenza armata ci fu una vasta Resistenza civile, dedita a nascondere i renitenti alla leva fascista della repubblica sociale italiana – ebrei, antifascisti in genere, gli stessi prigionieri alleati scappati dai campi di concentramento nazisti –. Per certi versi, una forma di Resistenza fu anche il fenomeno dell’attesismo, che ebbe al suo interno varie gradazioni. Da chi combatteva limitandosi ad azioni di sabotaggio a chi informava gli Alleati con le radio clandestine sui movimenti dei nazifascisti, da chi rifuggiva l’impegno attivo per paura e, appunto, attendeva la liberazione dagli Alleati. Ma costoro, anche quando si limitavano per paura a obbedire ai nazifascisti, non collaboravano con loro. Per esempio, non denunciavano se vedevano o sapevano di persone che partecipavano attivamente alla Resistenza. E non vedevano l’ora che i nazifascisti soccombessero e si togliessero di mezzo. Nell’esplosione di gioia popolare all’arrivo degli Alleati ci sono anche loro. Non sostengo nel mio libro che l’intera popolazione sostenne la Resistenza, ma la maggioranza sì”.

Secondo alcuni dati, le donne che hanno partecipato alla Resistenza sono oltre 70 mila: una presenza fondamentale, perché senza il loro impegno di staffette, combattenti,  infermiere, cuoche, sarte, informatrici, organizzate nei Gruppi di difesa della donna, la Resistenza non ci sarebbe stata. “Il loro ruolo determinante – spiega l’autore – è stato sottovalutato. I numeri ufficiali del loro contributo dicono tanto ma non dicono tutto. Molti episodi rimangono sconosciuti. Le donne del popolo furono particolarmente restie nel dopoguerra a farsi riconoscere come patriote e combattenti. Molte, anche protagoniste di atti eroici, pensarono di aver fatto solo il loro dovere. Le donne fecero parte e sostennero la Resistenza e, contemporaneamente, sopportarono il fardello della famiglia. Erano loro a fare le file interminabili davanti ai forni del pane, alle latterie, alle farmacie, a prendersi cura dei piccoli, dei vecchi, dei malati, a fronteggiare la fame, a sopportare il terrore nazifascista e i bombardamenti a tappeto degli Alleati, avendo, spesso, l’anima oppressa dall’assenza dei figli, dei mariti, dei fratelli dispersi o deportati o prigionieri”.

Ed è proprio a una donna che si lega uno degli eventi più toccanti e drammatici della Resistenza: la barbara uccisione da parte dei nazisti di Teresa Gullace a viale Giulio Cesare a Roma, una donna al settimo mese di gravidanza che cercava di portare da mangiare al marito fatto prigioniero. La sua vicenda è stata resa celebre dal regista Roberto Rossellini, con il personaggio della Sora Pina che a lei si ispira in Roma città aperta, regalando una delle scene più forti e iconiche interpretate da Anna Magnani.

La Resistenza, dunque, si delinea come evento collettivo, come epopea di una gran parte di popolo coeso contro il fascismo. Un ruolo decisivo nella lotta, ad esempio, lo ebbero i contadini e la classe operaia almeno in tre momenti: “Nel marzo del ’43 – si legge ne I cinque anni che sconvolsero l’Italia – con gli scioperi che dettero la spallata al regime di Mussolini. Nel marzo ’44 con gli scioperi nelle città industriali del nord organizzati dai comunisti sotto l’egida del Clnai che, in piena occupazione tedesca, dettero un’altra spallata agli occupatori. Lo sciopero, durato sette giorni, fece capire tra l’altro che gli operai non abboccavano all’amo della socializzazione delle fabbriche lanciato da Mussolini. L’avvenimento colpì molto le opinioni pubbliche dei Paesi Alleati, il New York Times scrisse che “in fatto di dimostrazioni di massa, non è avvenuto niente nell’Europa occupata che si possa paragonare alla rivolta degli operai italiani”. Infine, con l’insurrezione del 25 aprile, quando occuparono le fabbriche e vi si rinchiusero, impedendone la distruzione.

Questo quinquennio così determinante per il futuro dell’Italia democratica è anche il frutto di un movimento spontaneo del popolo, basti pensare alle manifestazioni popolari e festose del 25 luglio per la caduta del fascismo, o anche “l’8 settembre, la battaglia di Porta San Paolo a Roma e i numerosi episodi di Resistenza ai tedeschi in varie città in cui civili e militari si opposero agli occupanti; e ancora i focolai di Resistenza di reparti italiani nei Balcani, in Grecia, nelle isole come Cefalonia. Non ultima l’insurrezione di Napoli. L’incontro fra spontaneità popolare e direzione politica dei partiti antifascisti fu immediata. Soprattutto fu un’intelligenza politica mirante a far sì che la rivolta popolare divenisse rivoluzione democratica e che la Resistenza divenisse guerra di Liberazione nazionale. Con tutti i limiti e le contraddizioni che la rivoluzione democratica ebbe e che il libro non tace. Ma non nasconde neanche i fortissimi vincoli esterni che rendevano l’Italia un Paese occupato, vinto, sotto stretta sorveglianza da parte degli Alleati angloamericani con una predilezione da parte di Churchill e degli inglesi ad appoggiare la monarchia e Badoglio. In questa situazione non è per niente detto che in Italia non si potesse finire come in Grecia. Se ciò non accadde lo si deve all’intelligenza politica di Togliatti che riuscì, con la svolta politica di Salerno, a far uscire dal vicolo cieco le forze antifasciste e progressiste, di portarle al governo e creare le condizioni politiche di fondo per l’insurrezione nazionale unitaria, la conquista della Repubblica e della Costituzione”.

Torino, gli scioperi del 1944

Secondo l’autore, la Costituzione è stata un “miracolo”, varata nel pieno della rottura dell’unità antifascista, quando socialisti e comunisti sono stati cacciati dal governo e quando “cominciarono a soffiare forte i venti della guerra fredda fra i vecchi Alleati antinazisti: Urss, Usa e Gran Bretagna. A resistere a quello spirito di divisione e di scissione, che non veniva solo dall’estero ma aveva radici anche nel Paese, fu il legame che aveva unito le forze popolari nelle Resistenza e nella guerra partigiana”.

Aldo Pirone

Tuttavia, precisa Pirone, alla nostra Costituzione manca una piena attuazione: “Dopo un primo trentennio animato da lotte popolari molteplici, in cui ci si è avvicinati al suo inveramento, è succeduto un quarantennio, segnato dal dissolvimento dei vecchi partiti antifascisti e dalla cosiddetta seconda Repubblica, di progressivo allontanamento, quanto meno sul piano sociale, della società dalla Costituzione. È il periodo dominato dalla globalizzazione neoliberista e della rivoluzione conservatrice. A perdere nettamente terreno ed egemonia culturale sono stati i lavoratori e le forze popolari. A dominare pienamente, fino a rendere le forze progressiste subalterne, sono stati i ceti dominanti, i ricchi, le multinazionali industriali e finanziarie. Si potrebbe dire che in Italia, nel più ampio quadro internazionale marcato dal crescente dominio neoliberista, si è manifestata una controrivoluzione sostanzialmente antidemocratica. Fino alle ignominie di oggi, al riemergere preoccupante a livello di massa del brodo di coltura del virus del fascismo, che è sotto gli occhi di tutti. Basta guardare al consenso che la destra nazionalista ottiene fra gli operai e nelle periferie sociali. E come sia riuscita a rendere strumentali le tesi no vax in tempi di covid.

La responsabilità di ciò è anche della sinistra post-comunista e post-socialista che, anche sul piano della memoria storica, ha rotto agli inizi degli anni 90 l’unità fra storia e politica di cui parlava Gramsci, aprendo il varco al berlusconismo prima e al salvinismo-melonismo poi. Ma l’essenziale della rivoluzione democratica è ancora in piedi, ed è la Costituzione. Attorno a essa e per essa occorre organizzare una larga riscossa democratica”.

Un libro, quello di Pirone, interessante e utile, che coinvolge il lettore in riflessioni legate alla stringente attualità: fra tutte quelle sulla libertà, sul perché “riconquistarla costa dolore, lacrime e sangue” e sulla nostra Costituzione “frutto di ideali di libertà e giustizia sociale che animarono la Resistenza e la lotta partigiana e, al tempo stesso, di intelligenza nell’agire politico”.

Francesca Gentili