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Si può ben rischiare la retorica quando è in gioco l’entusiasmo per un rilevante evento di consapevolezza civile che coinvolge larghe masse di popolo. E annotare: il 25 aprile di Palermo è stato un grande “venticinque aprile”, memorabile per la portata quantitativa della partecipazione, dal fitto corteo di anziani e di giovani delle più varie condizioni sociali e dalle più varie lealtà antifasciste, festosamente fluente sulla grande strada della Libertà  a partire dal cippo in memoria dei martiri di Cefalonia e dal busto del Comandante “Barbato”, fino alla gran piazza del teatro Massimo, con la folla pigiata come non si vedeva dai tempi dei comizi dei grandi partiti della cosiddetta prima repubblica, con Togliatti, De Gasperi, Berlinguer. Un’impressionante manifestazione (preceduta da un festoso ballo notturno in altra piazza, come accade a Parigi  ogni 14 luglio), ed anche, al di là del rito, un’elaborazione collettiva di memoria storica in coordinati, sempre molto partecipati, momenti di dibattito. Ha da esserne fiera l’Anpi-Palermo “Comandante Barbato” che l’ha organizzata insieme alla Cgil, all’Arci e a numerose organizzazioni di volontariato giovanile. Il tutto (analogamente a quanto realizzatosi con successo in numerose altre località dell’isola) si è svolto al segno di una consapevole unità di patriottismo popolare, con una nota emotiva dominante che potrebbe dirsi quella di una corale rivendicazione del diritto degli italiani a celebrare la festa del loro essere e sentirsi nazione, e di condividerla con i molti di altri popoli e culture che hanno trovato asilo a Palermo,  contro quanto di intolleranza, di odio razziale e di divisione sta imperversando. Ma, per meglio valorizzarne gli esiti nel bilancio critico-civile dell’esperienza dell’Anpi, è bene che la cronaca di questa eccezionale manifestazione faccia subito spazio ad una più complessa riflessione sul clima politico nel quale si è svolta.

Pompeo Colajanni, comandante “Barbato”

La festa nazional-popolare ha certo assunto a Palermo un’imprevista peculiarità non estranea al suo rilevante successo, paradossalmente in conseguenza di una particolare situazione creatasi in Sicilia per la visita ufficiale del ministro dell’Interno, progettata con non troppo nascosti propositi di oscurarla o di renderla irrilevante. Infatti, come è noto, con dichiarato proposito Matteo Salvini ha inteso sottrarsi al suo dovere istituzionale di celebrare il 25 aprile (il dovere, appunto, che gli competerebbe in quanto ministro della Repubblica generata dalle vittoriose lotte di popolo contro il nazifascismo), negandosi provocatoriamente ai riti pubblici delle festa nazionale e decidendo, in alternativa, e come mediocre diversivo, di dedicarsi all’inaugurazione di un Commissariato di polizia a Corleone. In questo modo ha eluso, tentando nel contempo di deprivarla di senso concreto ‒ e forse anche di umiliarla consegnandola, a suo dire, agli “estremisti di sinistra” ‒ la memoria nazionale della Resistenza. Per farlo ha scelto un luogo di cui è assai dubbio che conosca altra storia se non quella legata alla truce fama di certi “corleonesi”.

Certo, Corleone è il Comune-simbolo sia di una Sicilia che mai l’Italia migliore avrebbe desiderato; sia dell’altra che l’ha fieramente respinta e contrastata, dai tempi di fine Ottocento dei Fasci dei lavoratori a tutto il secondo dopoguerra fino i nostri giorni. È la Corleone che ha unito nella storia del Novecento, sul filo esistenziale di un comune sacrificio della vita nell’antimafia e nelle lotte per la giustizia sociale, i nomi di Bernardino Verro capolega contadino protosocialista e di Placido Rizzotto, prima partigiano combattente nel Lazio e subito dopo, in perfetta continuità ideale, dirigente del movimento contadino. In una complessa vicenda che ha coinvolto ingenti masse popolari, a Corleone si sono drammaticamente intrecciate anche le esperienze di portata nazionale di Pio La Torre e di Carlo Alberto Della Chiesa: la migliore società civile e il migliore Stato.

Matteo Salvini

Qualcuno questa storia a Matteo Salvini avrebbe dovuto spiegarla e c’è da essere certi che nessuno l’abbia fatto, dato che è sceso a Corleone, con quella sua certa prosopopea nordista a stento rattenuta e con il recente bottino legislativo del cosiddetto “decreto sicurezza” e della legge per la cosiddetta “legittima difesa”, come ministro di polizia, esibendo a fini elettoralistici il suo filofascista culto per l’“ordine” e proclamando il suo indefettibile impegno per sconfiggere definitivamente la “criminalità organizzata”. Se non fosse privo di corretta memoria storica, nonché di elementari conoscenze sulle dinamiche che hanno prodotto una storia mafiosa ancora non superata nel Sud italiano ed inquietantemente estesasi al Nord e fuori d’Italia, Salvini avrebbe forse capito di avere tutt’altro che titoli di cui vantarsi per esibire un credibile impegno antimafia proprio mentre dal suo seggio di governo si dava da fare per minimizzare e mettere a tacere quanto  di raccapricciante circa i rapporti tra mafia e politica  sta ancora una volta emergendo dal lavoro della magistratura, e questa volta a danno proprio dell’etica politica del suo partito, con il caso che coinvolge il sottosegretario Siri. E sì, quell’inquietante “caso Siri”, che ‒ a prescindere dalle responsabilità penali ancora tutte da accertare ‒ rinvia ad un contesto affaristico-mafioso al quale non sarebbe estraneo il boss latitante Matteo Messina Denaro (il “successore” dei Riina e dei Provenzano alla guida di Cosa nostra), è da solo sufficiente a mettere in luce come i potentati mafiosi possano allearsi anche con le forze politiche che dichiarano di voler combattere strenuamente la “criminalità organizzata”, a condizione che tali forze politiche , magari  eliminando un po’ di ufficiali criminali,  risultino però propizie alla continuità dei  loro affari e alla salvaguardia dei loro interessi: così era accaduto varie volte nella storia d’Italia, prima con la Sinistra parlamentare, poi con Giolitti e via via con il fascismo e molte altre volte in seguito nel Novecento; e sembra che possa nuovamente accadere nel contesto dell’operazione politica con la quale la Lega sta tentando la sua conquista della Sicilia e del Sud.

Questo perché la mafia, la vera mafia-mafia che si intreccia con il potere politico, è cosa ben diversa da un’elementare, per quanto possa essere vistosa e flagellante, “criminalità organizzata”. Il che dovrebbe risultare ben chiaro a quanti abbiano conoscenza della lunga storia sociale della mafia e soprattutto degli accertamenti giudiziari effettuati dalla magistratura, fino a quelli più recenti, e di nuovo illuminanti, dei giudici di Palermo che hanno condannato esemplarmente taluni responsabili della cosiddetta “trattativa Stato-mafia” svoltasi alla fine del secolo scorso.

La natura eminentemente politica del fenomeno mafioso si evidenzia con particolare forza nel rapporto che i potentati affaristici (i cosiddetti “colletti bianchi”) della mafia tendono a conseguire ‒ tramite una rete complessa di corruzione ‒ con le forze politiche che essi reputano “vincenti” e specialmente con quelle che si dimostrino (come oggi certamente la Lega) dotate di capacità di imposizione autoritaria. Si apre così la strada ad alleanze tra la mafia-mafia dell’affarismo e degli interessi illegali e la politica, spesso, anche a prescindere e persino, se necessario, a danno della cosiddetta “criminalità organizzata”.

Marcello Dell’Utri (da https://www.ilmattino.it/primopiano/politica/mafia_utri_condannato_7_anni_senatore_mangano_resta_eroe-178270.html)

La lezione storica di quanto accadde con il fascismo in proposito è tuttora illuminante: il fascismo combatté strenuamente la “delinquenza” e ne scompaginò l’organizzazione con la famosa operazione del prefetto Cesare Mori, ma i grandi capi e già protettori dei delinquenti, tutti,  vestirono d’orbace in camicia nera, sicché non ci sarebbe stata più differenza tra l’essere fascisti e l’essere mafiosi e, conseguentemente, combattere la mafia sarebbe stato identica cosa del combattere il fascismo. È questo un dato storico sul quale occorre riflettere oggi mentre è in corso, come si è rilevato sopra, il tentativo salviniano-leghista di conquistare la Sicilia e l’Italia meridionale (reiterando quanto era già pienamente riuscito a Berlusconi con i suoi Dell’Utri) e il “caso Siri” fa suonare l’allarme circa una nuova fase di alleanze tra la mafia-mafia e la politica. Ed ecco perché ‒ si sottolinei bene questa affermazione ‒ la grande manifestazione di Palermo del 25 aprile, dato il clima politico che l’ha caratterizzata, è stata oggettivamente anche una grande manifestazione antimafia del popolo siciliano, tanto unitariamente patriottica nel suo empito civile, quanto eticamente “partigiana”. Non certamente una kermesse di estremismo di sinistra. Data l’evidente, e maldestra provocazione del ministro di polizia, avrebbe potuto diventare occasione di contro-provocazioni ovvero di risposte aggressive di piazza. Invece, la risposta si è concretizzata in una festa civile di popolo, consapevole dei valori della Costituzione repubblicana. E questo, forse, Salvini non se l’aspettava.

Leoluca Orlando, sindaco di Palermo

Nella grande piazza cittadina, densa di presenze militanti dalle molteplici valenze democratiche come da tempo non era facilmente accaduto, si è addensato  lo stesso popolo che in passato aveva contrastato gli orditori e i complici delle stragi mafiose e delle stragi di Stato da Portella della Ginestra  in poi e che infine, recentemente, si era raccolto nel sostegno di massa a Nino Di Matteo e alla Procura di Palermo in occasione del processo sulla “trattativa Stato-mafia”; lo stesso popolo che aveva espresso le migliaia di partigiani siciliani combattenti al Nord nell’esercito della Liberazione dal nazifascismo e  anche in Francia dopo aver partecipato alla difesa della repubblica spagnola. Si è ritrovato finalmente anche in un solenne e pacifico rito di testimonianza collettiva, dall’emozione unificante dell’inno nazionale di Mameli al canto partigiano di Bella ciao. E, ancor più, nella riflessione (che ha avuto seguito organizzativo nell’acquisizione di altre centinaia di iscrizioni all’Anpi) su valori e fini per nuovi impegni antifascisti; una riflessione attivata dagli importanti discorsi del nostro vice-presidente nazionale Ottavio Terranova (testimone ed epigono delle generazioni che condussero in Sicilia le lotte  inscindibili per la democrazia e per la giustizia sociale), di Enzo Campo, segretario generale della Camera del lavoro e, in conclusione, di Leoluca Orlando (il coraggioso sindaco della città che ama definirsi, degnamente, “partigiano della Costituzione”). Particolarmente significativo e toccante è stato il quasi religioso silenzio con il quale la densa folla ha ascoltato la lettura, effettuata dallo stesso Leoluca Orlando, della Dichiarazione del Sindaco e del Consiglio comunale della città, approvata all’unanimità, intitolata “Per un presente ed un futuro di responsabilità delle italiane e degli italiani per la salvaguardia della democrazia e della libertà di tutti”: un documento che definisce il quadro ideale e strategico del nuovo impegno antifascista della Sicilia e dell’Intero Sud d’Italia, a fronte delle regressioni  filofasciste che sono pericolosamente in atto nel Paese; un documento che, data la sua importanza, merita di essere pubblicato qui di seguito per intero.

Professor Giuseppe Carlo Marino, storico, Presidente onorario dell’Anpi Palermo

La Dichiarazione del Sindaco di Palermo Leoluca Orlando e della Giunta comunale sul 25 aprile 2019 “Per un presente ed un futuro di responsabilità delle italiane e degli italiani per la salvaguardia della democrazia e della libertà per tutti”: 

Le recenti direttive emesse da un Ministro – e nei fatti condivise da alcuni esponenti del Governo nazionale – per il contrasto delle attività di salvataggio di naufraghi in mare ed in merito alla possibilità di istituire di “zone rosse contro i balordi” nelle città rappresentano la trasposizione, ancorché non legislativa, di posizioni che tentano di ridurre l’autonomia costituzionale di organi il cui ruolo è, appunto, sancito, garantito e disciplinato dalla Costituzione: le Forze Armate da un lato, i Comuni dall’altro.

Questi atti non hanno valore giuridico alcuno e ne è costituzionalmente doverosa la non applicazione; essi però assumono, soprattutto nel silenzio dei vertici del Governo, un forte valore circa un disegno che non è più o rischia di non essere più del singolo politico o della singola forza politica, ma dell’Esecutivo nel suo complesso, aprendo quindi scenari inquietanti per il futuro del nostro Paese. Un futuro che non vorremmo si richiamasse a fatti e pratiche del passato di cui, con la festa della Liberazione, celebriamo la sconfitta.

Assistiamo ad atti e comportamenti che si accompagnano ad un accurato, pianificato ricorso al una vera e propria “distrazione di massa”, ad un continuo alimentare paure e sentimenti di insicurezza, anche lì dove paure ed insicurezza non hanno ragione di esistere, distogliendo da temi importanti della vita civile italiana ed internazionale, quali la corruzione nella pubblica amministrazione e nella politica, la riscontrata presenza di interessi e metodi mafiosi nelle istituzioni anche ai più alti livelli di Governo, cronaca di queste ore, l’attacco costante a quei diritti umani e civili che sono pietre miliari della nostra comunità,  il taglio di risorse per le politiche e i servizi sociali, sanitari e culturali, l’aggravarsi della crisi ambientale globale.

Dietro lo spauracchio di continue minacce alla sicurezza pubblica e privata, si rischia di costruire e si potrebbe realizzare un sistema di progressiva e sempre più violenta limitazione dei diritti individuali e collettivi trasformando il doveroso prendersi cura di chi è più fragile in irrazionale paura di chi è diverso e più debole; di fatto stravolgendo principi costituzionalmente garantiti di libertà, uguaglianza, solidarietà.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera e propria escalation, iniziata con l’individuazione, quali primi “nemici”, dei migranti e di coloro che hanno testimoniato e praticato la cultura della accoglienza che dell’Italia è stato motivo di orgoglio. In un continuo crescendo non sono mancati poi gli attacchi ai cittadini con disabilità, ai nomadi, agli omosessuali e ai transessuali, alle minoranze religiose, a chiunque si facesse portatore di una alterità rispetto a quello che qualcuno vorrebbe come un pensiero unico ed uniformato.

Comportamenti e parole di più o meno aperta istigazione che hanno trovato fondamento ed alimento in provvedimenti disumani e criminogeni e visto come obiettivi anche le massime cariche dello Stato, i rappresentanti di diverse fedi religiose, il Papa, oltre che decine di cittadini comuni esposti, nel generale clima di odio che si è tentato di fomentare, anche a pericoli personali.

Comportamenti e parole di più o meno aperta istigazione alla violenza, da parte di cariche istituzionali che hanno culturalmente e politicamente legittimato, se non coperto, atti violenti, aggressioni e sempre più spavalde manifestazioni xenofobe, anche di esplicita ispirazione neofascista che si ripetono quotidianamente.

Oggi, proprio nell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo crediamo fondamentale ribadire i valori democratici repubblicani che da quella lotta sono nati e confermare piena adesione e fiducia nella Costituzione e nel suo essere garanzia di libertà, uguaglianza e diritti per tutte e per tutti.

Crediamo fondamentale richiamare tutte e tutti coloro che hanno a cuore il bene comune e la civile, pacifica e democratica convivenza nel nostro Paese e in Europa ad una riflessione e ad uno sforzo di impegno ed unità. Oggi come durante la guerra di liberazione, occorre capacità di volare alto, di unire le forze oltre le differenze, fare comunione dell’intento di resistere al ritorno di culture illiberali e violente.

Da Palermo e dalla Sicilia, per i quali la Liberazione dal nazifascismo proseguì con la battaglia per i diritti e la legalità che vide cadere vittime decine di sindacalisti e lavoratori, non possiamo che mandare all’Italia intera un invito ad essere partigiani, “partigiani della Costituzione”.

Palermo ha scelto di essere “partigiana della Costituzione”; di essere, a partire dalla lotta al sistema di potere politico-affaristico e politico-mafioso, dalla parte degli ultimi e con gli ultimi, in un impegno corale che vede tutta la comunità, le sue istituzioni, le sue scuole, i suoi lavoratori, le sue guide religiose e spirituali tutti uniti.

Non possiamo quindi che dirci ancora una volta e sempre partigiani, partigiani dei diritti e partigiani della Costituzione, che dei diritti è la garante.

Noi che abbiamo scelto di unire le forze per il bene della comunità e di adottare il dialogo e l’ascolto come metodo di lavoro ed incontro fra i cittadini e le istituzioni; che abbiamo scelto il dialogo fra le persone per affrontare i problemi rivolgiamo a tutte le italiani e e a tutti gli italiani, a tutti coloro che hanno ed hanno scelto come Patria l’Italia, l’invito ad un nuovo patto partigiano.

Palermo che oggi ripete con forza “Io sono persona, noi siamo comunità”, ponendosi in radicale alternativa agli egoismi individualistici e alle soffocanti logiche di appartenenza a gruppi, vuole così rendere un omaggio doveroso, oggi ed ogni giorno, ai partigiani e ai sindacalisti di allora, perché solo così se ne onora la memoria e se ne prosegue l’impegno.

 I partigiani come i sindacalisti, al Nord come al Sud, furono i primi “Padri Costituenti” non solo dando con la Liberazione lo slancio all’Italia democratica, ma soprattutto richiamando metodi e valori che la Costituzione ha accolto per riconoscere diritti inviolabili: il metodo del dialogo e dell’incontro fra culture diverse; il rifiuto della violenza fine a sé stessa, la scelta della solidarietà e dell’attenzione agli ultimi e ai diversi, il riconoscimento dei diritti per tutti gli esseri umani e lo stesso equilibrio fra i poteri dello Stato a garanzia delle libertà, dei diritti di tutti e di ciascuno.

Quei metodi e quei valori che sono il cuore della nostra Costituzione restano il nostro faro ed in loro nome oggi crediamo che coloro che hanno scelto e rispettano l’Italia come propria casa e come propria comunità debbano e possano tornare a far sentire la propria voce, la propria capacità di essere protagonisti e presenti nella vita del Paese; un Paese nel quale, siamo certi, questi valori e metodi sono della maggioranza delle cittadine e dei cittadini.

Viva le italiane e viva gli italiani partigiani della Costituzione!